Robert Faurisson – Auschwitz e le camere a Gas, una storia di propaganda?

campo di concentramento di Auschwitz
Figura 1 –  L’entrata del campo di concentramento di Auschwitz con la celebre scritta “Arbeit macht frei” (che in tedesco significa: “Il lavoro rende liberi”)

Nota dell’Editore:

Quanto esposto in questo articolo rappresenta unicamente uno spunto per riflessioni rispetto una differente prospettiva di osservazione. Non vogliamo in nessun modo suggerire conclusioni di alcun tipo. Quali ricercatori riteniamo sia nostro compito valutare materiale che abbia una credibilità tale da renderlo per noi interessante e meritevole di condivisione. Ad ognuno spetta, nella totale libertà di pensiero, le proprie valutazioni e considerazioni. Buona lettura.

Pasquale Galasso


Il Giorno della Memoria è una ricorrenza internazionale celebrata il 27 gennaio di ogni anno come giornata in commemorazione delle vittime dell’Olocausto.

Si è stabilito di celebrare il Giorno della Memoria ogni 27 gennaio perché in quel giorno del 1945 le truppe dell’Armata Rossa, impegnate nella grande offensiva oltre la Vistola in direzione della Germania, liberarono il campo di concentramento di Auschwitz.


Auschwitz è entrato nella storia come luogo di sterminio di 6 milioni di ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale per mano del III Reich, ovvero della Germania Nazista. Si dice vi fossero, all’interno di questo ed altri Lager, camere a Gas atte allo sterminio di massa.

C’è chi sostiene, contrariamente, che nessuna camera a Gas fu mai ritrovata e che è ben diverso cremare nei forni  morti a seguito di epidemie frequenti all’interno dei campi di lavoro forzato .

Chi sostiene ciò, afferma che nessuno prima del 1960 ha mai effettuato indagini circa il ritrovamento di tali camere a gas, peraltro tecnicamente impossibili, e che inoltre le testimonianze, raccolte nei “processi di guerra”, non possono ritenersi prove certe, soprattutto se tali processi hanno in sè “vizi di forma”.

Asserzioni di gran lunga  dissonanti dalla versione storica ufficiale che, insieme ad altre, si possono ridurre ai 4 punti che troviamo elencati su Wikipedia  nella pagina dedicata a Robert Faurisson:


  1. non sarebbe mai esistito un piano preordinato di sterminio fisico degli ebrei, bensì un progetto per una loro emigrazione fuori dell’Europa (ad es. Madagascar o Uganda) e, in tempo di guerra, un piano di evacuazione verso i territori dell’Est appena occupati;
  2. non sarebbero stati uccisi 6 milioni di ebrei ma un numero molto inferiore (circa 500.000), a causa delle operazioni militari, della durezza dei campi di lavoro forzato, delle epidemie di tifo e dei bombardamenti alleati sui campi di concentramento;
  3. l’esistenza delle camere a gas nei campi di sterminio tedeschi sarebbe tecnicamente impossibile;
  4. l’intera storia dell’Olocausto sarebbe un’enorme invenzione della propaganda alleata a favore dello stato d’Israele.

Data la portata di un argomento come questo dai risvolti umani drammatici ed inquietanti, per amore della verità abbiamo voluto approfondire e quindi compiere una ricerca a tale proposito.

L’intento è di chiarire chi sia l’autore di tali asserzioni, se si tratta di un folle o se, a discapito di una versione conclamata ed accettata ufficialmente, vi possano essere realmente risvolti di questa drammatica vicenda lasciati, per così dire, in sospeso o, peggio ancora, volutamente oscurati alla conoscenza dell’umanità intera.

Se questa ultima ipotesi si rivelasse reale, sarebbe un gravissimo atto di circonvenzione e plagio, un colossale inganno dalle implicazioni politiche e sociali vastissime.

Dunque iniziamo questa indagine partendo dal conoscere, almeno per grandi linee, chi è Robert Faurisson in una breve biografia.


Robert Faurisson
Figura 2 – Il Dott. Robert Faurisson

Il Dott. Robert Faurisson è nato a Shepperton, in Inghilterra, nel 1929. Dopo essersi laureato alla Sorbona, egli è stato Professore all’Università di Lione dal 1974 al 1990, finché non è stato allontanato dall’insegnamento a causa delle sue scoperte «politicamente scorrette».

Cresciuto in una famiglia permeata da marcati sentimenti anti-tedeschi, egli rimase scandalizzato quando il 19 agosto 1960 lo storico tedesco Martin Broszat negò per la prima volta, in un articolo pubblicato su Die Zeit, l’esistenza di «camere a gas» nei vari campi nazisti. Solamente nel 1974, dopo aver  soppesato a lungo le tesi dei revisionisti e quelle degli «sterminazionisti», egli giunse alla certezza assoluta che nessuna «camera a gas» era mai esistita.

A causa di questa sua convinzione, egli è stato vittima di almeno 10 assalti fisici da parte dei sostenitori dell’Olocausto. In molte altre occasioni ha rischiato di essere assassinato. Ha avuto le mascelle fracassate, i denti spezzati ed è rimasto ricoverato all’ospedale per diverse settimane. Egli è stato inoltre perseguitato spietatamente per mezzo di battaglie legali senza fine.

Il Prof. Faurisson, noto come il «preside del movimento» revisionista mondiale, fu il primo a scoprire i disegni tecnici ed architettonici degli obitori di Auschwitz, degli inceneritori e delle altre installazioni. Fu anche il primo ad insistere che solamente un esperto di camere a gas americano potesse districare le domande tecniche relative alla storia delle pretese gassazioni di Auschwitz. Faurisson fu anche consigliere e consulente dello storico revisionista canadese Ernst Zündel, oltre che testimone a suo carico durante le udienze preliminari del 1984 e nel corso dei grandi processi del 1985 e 1988.


Accusato di “negazionismo“, nel  5 febbraio 2008 Robert Faurisson risponde a sei domande della giornalista italiana Giovanna Canzano. Proponiamo di seguito in particolare l’ultima domanda e parte della relativa risposta di Faurisson dove, al di là di ogni opinione relativa ai suoi studi, traspare una ineccepibile e grande onestà intellettuale.


giornalista italiana Giovanna CanzanoG.C.: Da alcuni anni a questa parte, il revisionismo si trova ad essere comunemente chiamato “negazionismo” in quanto si dice che esso abbia un carattere eminentemente distruttivo. Lei che cosa ne pensa?

Robert Faurisson - miniaturaR.F.: “Negazionismo” è un barbarismo e, a coloro che mi danno del “negazionista”, io potrei ribadire, forgiando a mia volta un barbarismo, che essi sono degli “affermazionisti”.

Nel Faust di Goethe, Mefistofele è “lo spirito che sempre nega”. Ora, i revisionisti non sono affatto diabolici; non negano nulla, e soprattutto non negano l’evidenza. Al termine delle loro ricerche, essi si limitano ad affermare che quella convinzione, largamente diffusa, non è che un’illusione.

Galileo non negava nulla; egli constatava l’esistenza di un errore o di una superstizione ed insisteva affinché, in un ambito particolare della conoscenza, l’astronomia, si rivedesse, correggesse o revisionasse ciò che fino ad allora era stato creduto esatto e che, a suo avviso, era falso.

Il revisionismo è POSITIVO, talvolta anche positivista. Esso preconizza la riflessione, la verifica, lo sforzo, il lavoro, la ricerca. E poi si trova ad essere anche un UMANESIMO : offre agli uomini un mezzo per intendersi al di là di ogni appartenenza ad un gruppo nazionale, politico, religioso o professionale. Esso rigetta l’argomentazione basata sul principio d’autorità.

Per i revisionisti, ciò che affermano eruditi, professori, magistrati non è necessariamente esatto o conforme alla realtà, e deve poter essere sottoposto ad esame. Il revisionismo ce ne avverte: ciò che l’opinione pubblica ribadisce indefinitamente, fino alla noia, potrebbe non essere che una leggenda, una credenza infondata.[…]


In una precedente intervista del 18 marzo 2007, di cui alleghiamo il video con sottotitoli in italiano suddiviso in 4 parti, ci interessa estrapolare la parte in cui il Dott. Robert Faurisson (RF) racconta all’intervistatrice (IN) della sua indagine a proposito delle “camere a Gas” e le sue conclusioni sulla loro inesistenza. Per comodità, di seguito la trascrizione  della parte in cui ne parla:


(RF): Ecco, dunque vado sul posto; vado ad Auschwitz o a Majdanek o a Dachau o a Struthof, o in altri campi, e là dico molto semplicemente: “Mostratemi quella che viene chiamata una camera a gas. E scopro, ho scoperto, durante questa indagine, che non sono assolutamente in grado di mostrarmi quest’arma del delitto. Così a volte mi viene detto: “Oh, ciò non sorprende perché i tedeschi, si capisce, hanno distrutto tutto.” A quel punto rispondo: “Ammettiamolo che sia così; si badi che si tratta di una seconda accusa, ovvero la distruzione dell’arma del delitto. Mostratemi per cortesia un disegno tecnico che spieghi che cos’era una camera a gas.” Continuo? Ecco.

(IN): Vorrei che chiarisse una cosa. In che anno ha fatto questa indagine?

(RF): Ho iniziato a interessarmene negli anni 1960. E posso dire che a partire dal 1974 ho quasi consacrato la mia vita interamente a ciò che viene chiamato l’olocausto e che la cosa certamente mi è valsa notevoli problemi. (06:54)

(IN): Vuole dire che fino agli anni 1960, nessuna indagine di polizia e della polizia scientifica è stata fatta su questo crimine orribile per cui i nazisti non solo sono stati accusati, ma per cui sono stati condannati.

(RF): Sì.

(IN): La distruzione del mondo giudaico europeo e la distruzione fisica di 6 milioni di ebrei, queste accuse sono state formulate e confermate senza che fosse condotta un’indagine di polizia?

(RF): La mia risposta la sorprenderà. Non ci fu negli anni 1960, anzi fino al 74, nessuna vera perizia se non in un campo, quello di Struthof, in Alsazia, dove si è concluso che ciò che veniva chiamata “camera a gas” non era tale.

(IN): Sì. (07:53)

(RF): Bene. Ma da allora, dal 1960-1974, nulla più, fino a oggi, nel 2007. La Germania è accusata di crimini enormi; ora dico: “Voglio credervi, ma esibitemi una perizia criminale.” Quando mi si dice: “Qui, ad Auschwitz, si può visitare una camera a gas.” Dico: “Aspettate! Vedo una struttura inoffensiva e vedo anche l’impossibilità che si tratti di una camera a gas; poco importa però: esibitemi ciò che al riguardo qualsiasi funzionario della polizia anticrimine presenterebbe [come prova].”

(IN): Potrebbe per cortesia descrivermi il modo in cui procede?

(RF): Sì.

(IN): Credo che si sia lontani dalle storie che circolano sugli stermini che sarebbero avvenuti nelle camere a gas. Mi spieghi quindi che cosa ha fatto al suo arrivo ad Auschwitz, per esempio, ad Auschwitz.

(RF): È stato uno dei punti da cui sono partito. Quando ho detto: “Mostrami una camera a gas”, non sono stati in grado di farlo. Quando ho detto: “Mostrami una perizia,” non sono stati in grado di farlo. Quando ho detto “Portami le prove,” mi hanno portato, in sostanza, una confessione fatta da uno dei tre comandanti che si sono succeduti ad Auschwitz, Rudolf Höss, da non confondersi con Rudolf Hess. Quello che hanno, in effetti, è una confessione. Allora, prima di tutto, una confessione non è una prova; è una sorta di testimonianza; di bassa lega, oltretutto, perché si tratta della confessione di un crimine resa da uno sconfitto al vincitore. Ecco quindi la sua storia. Cercherò di riassumere. Höss ha detto che c’era, per esempio, in un certo posto nel campo, una camera a gas di grandi dimensioni dove potevano starci 1000, 2000, 3000 ebrei e ce ne sarebbero potuti stare 4000. E poi da 4 aperture del tetto venivano versati quelli che vengono chiamati granuli di Zyklon B; si tratta di acido cianidrico. Coloro i quali si trovavano all’interno iniziava poi a urlare; quando cessavano le grida, si capiva che erano morti. A quel punto, quella che si chiamava squadra speciale, composta da ebrei, sonderkommando, metteva in moto un apparecchio per la ventilazione ed entrava immediatamente. In modo negligente, fumando o mangiando, venivano presi i cadaveri, trascinati via per poi essere portali ai crematori dove venivano inceneriti.

– continua nel Video Parte 2

(RF): È impossibile! È una storia assurda.

(IN): Può spiegare perché dovrebbe trattarsi di una storia assurda?

(RF): È assurdo perché lo Zyklon B, inventato agli inizi del 1920, prodotto e in circolazione tuttora sotto un altro nome, e usato per uccidere i parassiti, è fondamentalmente una sostanza estremamente violenta chiamata gas cianidrico.

(IN): Sì, l’acido cianidrico.

(RF): L’acido cianidrico, il quale ha una caratteristica peculiare, ovvero aderisce fortemente alle superfici, penetrandole. È estremamente difficile da rimuovere; penetra anche nella vernice, nel legno, nei mattoni e, evidentemente, nel corpo umano. (00:58)

(IN): In tutte le superfici porose.

(RF): E poi, soprattutto se la superficie è viva, si forma una miscela che vi rimarrà. Pertanto, quando mi si viene a dire che si poteva entrare fumando e mangiando, significa allora, innanzitutto, che non venivano nemmeno indossate le maschere antigas; poi che si fumava sebbene l’acido cianidrico sia esplosivo; e infine, cosa impossibile, che venivano toccati i cadaveri di persone che erano state uccise dall’acido cianidrico.


E’ importante a questo punto chiarire un aspetto relativo alla figura di Robert Faurisson in termini di eventuali ideologie politiche. I suoi studi le sue ricerche non sono sostenute da ideologia simpatizzante nazista. Il motivo per cui pubblicò una sintetica esposizione nel giugno del 1978 sulla rivista “Défense de l’Occident” di proprietà di Maurice Bardèche, noto intellettuale fascista proprietario della testata, è da attribuirsi unicamente al rifiuto di altre editrici alle quali aveva proposto il suo materiale. Come si evince dall’avvertenza conclusiva di tale scritto, Faurisson prende infatti le distanze dalla linea ideologica del periodico sul quale ebbe a ripiegare. Eccone uno stralcio tratto da: Il caso Faurisson e il Revisionismo Olocaustico – “Il problema delle camere a gas” –  pag.42, emblematico della sua ricerca:


campo di concentramento di Auschwitz 2Nessuno, neppure i nostalgici del III Reich, si sogna di negare l’esistenza dei campi di concentramento hitleriani. Tutti poi riconoscono che alcuni di questi campi erano dotati di forni crematori. I cadaveri, invece di essere sepolti, venivano bruciati. La frequenza stessa delle epidemie imponeva la cremazione, ad esempio, dei corpi dei morti di tifo.

Numerosi autori francesi, inglesi, americani e tedeschi contestano, invece, l’esistenza, nella Germania hitleriana, di “campi di sterminio”. Questa espressione designa, presso gli storici della deportazione, campi di concentramento che sarebbero stati dotati di “camere a gas”. Tali “camere a gas”, a differenza di quelle americane, sarebbero state concepite per compiere uccisioni in massa. Le vittime sarebbero state uomini, donne e bambini di cui Hitler avrebbe deciso lo sterminio a causa della loro appartenenza razziale o religiosa. Si tratta di quello che viene indicato come il “genocidio”. L’arma per eccellenza del “genocídio” sarebbero [70] stati questi mattatoi umani chìamati “camere a gas” e il gas utilizzato sarebbe stato principalmente lo Zyklon B (insetticida a base di acido prussico o cianidrico).

Gli autori che contestano la realtà del “genocidio” e delle “camere a gas” sono definiti “revisionisti”. La loro argomentazione si puo riassumere come segue: “Basta applicare a questi due problemi i metodi usuali della critica storica per rendersi conte che ci si trova di fronte a due miti i quali, d’altronde, rappresentano un insieme indissolubile. Non si è mai potuto dimostrare l’interizione criminale attribuita ad Hitler. Quanto all’arma del crimine, nessuno, in verità, l’ha mai vista. Ci si trova così dinanzi ad un successo unico della propaganda di guerra e di odio.

La storia è piena di imposture siffatte, a cominciare dalle invenzioni religiose sulla stregoneria. Ciò che, in materia, distingue la nostra epoca da quelle che l’hanno preceduta, è che la formidabile potenza dei media ha orchestrato in moda assordante e fino alla nausea “l’impostura del secolo”. Guai, da trent’anni, a colui che osa denunciarla!

Conoscerà a seconda dei casi galera, multe, percosse, insulti. La sua carriera potrà essere spezzata o compromessa. Sarà denunciato come nazista. Oppure non si darà voce alle sue tesi o si deformerà il suo pensiero. Non ci sarà un paese più spietato verso di lui della Germania”. […]

…e come detto, in conclusione a pag.46:

Avvertenza

Leggendo queste pagine, qualcuno potrebbe interpretare le mie idee come un tentativo di apologia del nazional-socialismo. In realtà — per ragioni che non starò ad esporre la persona, le idee o la politica di Hitler mi affascinano tanto poco quanto quelle di un Napoleone Bonaparte. Semplicemente, rifiuto di credere alla propaganda dei vincitori, per i quali Napoleone sarebbe stato “l’orco”, mentre HitIer sarebbe stato “Satana”.

Dev’esser chiaro per tutti che l’unica preoccupazione che anima le mie ricerche è quella della verità; chiamo “verità” il contrario dell’errore e della menzogna.

Riterrò diffamatoria ogni accusa o insinuazione di nazismo. Di conseguenza, invito tutti, persone fisiche e persone morali, di diritto pubblico o di diritta privato, a riflettere prima di costringermi, con affermazioni, discorsi, scritti o azioni, a fare ricorso alla legge. Copia di questo testo sarà inviata a istanze giudiziarie ed amministrative, come pure a giornali, raggruppamenti ed associazioni.

Robert Faurisson 16 giugno 1978


Auschwitz particolare

Ovviamente ci si chiede che ne sia di tutte le testimonianze sui Lager tedeschi e sulle presunte camere a Gas. Vediamo a questa domanda cosa Faurisson risponde in una intervista rilasciata per il mensile “Storia Illustrata” nell’agosto del 1979:


Storia Illustrata: Come può affermare tutto ciò dopo quanto è stato detto e scritto in 35 anni? Dopo quanto hanno raccontato i superstiti dei campi, dopo i processi ai criminali di guerra, dopo Norimberga? Su quali prove e documenti basa questa sua affermazione?

Robert Faurisson: Molti errori storici sono durati ben più di trentacinque anni. Quanto alcuni superstiti hanno raccontato costituisce una testimonianza fra le tante. Delle testimonianze non sono delle prove. In quanto a quelle dei processi contro i «criminali di guerra», devono essere accolte con particolare diffidenza. Se non mi sbaglio, in trentacinque anni non un solo testimone è stato perseguito per falsa testimonianza, il che significa dare una garanzia esorbitante a chiunque desidera testimoniare sui «crimini di guerra».

Allora così si spiega il fatto che alcuni tribunali abbiano potuto stabilire l’esistenza di «camere a gas» in punti della Germania in cui si è finito per riconoscere che non ce n’erano state mai: per esempio, in tutto l’antico Reich.

Le sentenze emesse a Norimberga hanno un valore molto relativo, poiché dei vinti sono stati giudicati dai loro vincitori senza la minima possibilità di interporre appello. Gli articoli nº 19 e nº 21 dello statuto di quel tribunale politico dava cinicamente a quella assise il diritto di poter fare a meno di prove solide, e autorizzava addirittura il ricorso al «si dice».

Tutti gli altri processi per «crimini di guerra» si sono in seguito ispirati alla Legislazione di Norimberga. Ancora oggi in Germania i tribunali fondano il loro operato su quanto essi pretendono sia stato stabilito a Norimberga. E così che per secoli hanno proceduto i tribunali che dovevano giudicare streghe e stregoni.

Sono esistite, almeno in apparenza, prove e testimonianze di gassazioni a Orianenburg, a Buchenwald, a Bergen-Belsen, a Dachau, a Ravensbrüsck, a Mauthausen. Professori, preti, cattolici, ebrei, comunisti hanno attestato l’esistenza di «camere a gas» in questi campi e dell’impiego di gas per uccidere dei detenuti. Per non fare che un esempio, Monsignor Piguet, Vescovo di Clermont-Ferrand, ha scritto che dei preti polacchi erano passati per la «camera a gas» di Dachau. Ora, oggi si riconosce che mai nessuno è stato gassato a Dachau.

C’è di meglio: dei responsabili di campi hanno confessato l’esistenza e il funzionamento di «camere a gas» omicide laddove in seguito si è dovuto riconoscere che niente di tutto ciò era esistito. Per Ravensbrück, il comandante del campo (Suhren), il suo secondo (Schwarzhuber) e il medico del campo (Dr. Treite) hanno confessato l’esistenza di una «camera a gas» e ne hanno persino descritto, in modo vago, il funzionamento. Sono stati messi a morte o si sono suicidati. Stesso scenario per il Comandante Ziereis a Mauthausen, il quale, nel 1945, in punto di morte, avrebbe anche lui fatto delle confessioni.

Non si creda che le confessioni dei responsabili di Ravensbrück siano state strappate dai russi o dai polacchi. É l’apparato giudiziario inglese o francese che ha ottenuto queste confessioni. Circostanza aggravante: le ottenevano ancora molti anni dopo la fine della guerra. È stato fatto tutto il necessario affinché fino alla fine, fino al 1950, un uomo come Schwarzhuber collaborasse con i suoi inquisitori, o con i suoi giudici istruttori o i suoi giudici di tribunale.

Nessuno storico serio sostiene più che delle persone siano state gassate in un qualunque campo dell’antico Reich. Ora ci si accontenta solo di alcuni campi situati attualmente in Polonia. Il 19 agosto 1960 costituisce una data importante nella storia del mito delle «camere a gas». Quel giorno, il giornale Die Zeit ha pubblicato una lettera che ha intitolato «Nessuna gassazione a Dachau». Dato il contenuto della lettera, per essere del tutto onesto il giornale avrebbe dovuto intitolarla «Nessuna gassazione in tutto l’antico Reich», cioè nella Germania delle frontiere del 1937. Questa lettera era del Dr. Martin Broszat, diventato nel frattempo Direttore dell’Istituto di Storia Contemporanea di Monaco. Il dottor Broszat è un antinazista convinto, e fa parte degli storici «sterminazionisti». Egli ha creduto all’autenticità del «diario» di Rudolf Höss, che ha pubblicato nel 1958 con gravi tagli del testo nei passaggi in cui Höss aveva «un po’ troppo esagerato» per obbedire senza dubbio alle suggestioni dei suoi carcerieri polacchi. In poche parole, il Dr. Broszat il 19 agosto 1960 ha dovuto ammettere che non c’erano state gassazioni in tutto l’antico Reich. Aggiungeva anche, in modo contorto, che non vi erano state gassazioni innanzitutto (?) che in qualche punto scelto in Polonia, tra cui Auschwitz.

E questo, a quanto mi risulta, hanno finito per ammetterlo con lui anche tutti gli storici ufficiali. Personalmente deploro che il Dr. Broszat si sia contentato di una lettera, mentre si imponeva una comunicazione scientifica insieme a spiegazioni dettagliate. Si doveva spiegare perché prove, testimonianze e confessioni considerate fino ad allora come inattaccabili perdevano improvvisamente qualsiasi valore.

Sono quasi vent’anni che aspettiamo le spiegazioni del Dr. Broszat. Ci sarebbero preziose per determinare se le prove, testimonianze e confessioni che possediamo sulle gassazioni di Auschwitz o di Treblinka hanno più valore delle prove, testimonianze e confessioni che possediamo sulle false gassazioni di Buchenwald o di Ravensbrück. Intanto, è estremamente curioso che gli elementi raccolti soprattutto da tribunali francesi, inglesi e americani abbiano d’un tratto perso ogni loro valore, mentre gli elementi in mano soprattutto dei tribunali polacchi e sovietici sullo stesso soggetto lo conservino.

Nel 1968 è la «camera a gas» di Mauthausen (in Austria) che doveva a sua volta essere dichiarata una leggenda da uno storico «sterminazionista»: da Olga Wormser-Migot. Guardate a questo proposito, nella sua tesi su Le système concentrationnaire nazi («Il sistema concentrazionario nazista»), le pagine intitolate «Le probleme des chambres à gas» («Il problema delle camere a gas»). Peraltro, soffermiamoci su questa formula. Per ammissione stessa degli «sterminazionisti» esiste un «problema delle camere a gas». A proposito delle false confessioni, un giorno ho chiesto allo storico Joseph Billig (addetto al Centre de Documentation Juive Contemporaine) come le spiegava. Billig aveva fatto parte della delegazione francese al processo di Norimberga. Vi do la sua risposta. Si trattava, secondo lui, di «fenomeni psicotici»! Per quel che mi riguarda, ho una spiegazione da proporre per questi pretesi «fenomeni psicotici» come pure per «l’apatia schizoide» di Rudolf Höss il giorno della sua deposizione davanti al tribunale di Norimberga: Höss è stato torturato dai suoi carcerieri inglesi. É stato «interrogato con il nerbo e con l’alcool». Ai processi detti «di Dachau», gli americani hanno abominevolmente torturato altri accusati tedeschi, come doveva segnatamente rivelarlo una commissione d’inchiesta.

Peraltro, la tortura è molto spesso superflua. Molteplici sono infatti i modi di intimidazione. La formidabile riprovazione universale che viene fatta pesare sugli accusati nazisti conserva ancora oggi tutta la sua forza. Quando l’anatema esplode tra una umanità religiosa degna delle grandi comunioni medievali, non rimane che inchinarsi, soprattutto se gli avvocati si mettono di mezzo e sostengono che delle concessioni appaiono necessarie. Mi ricordo del mio odio personale per i tedeschi durante la guerra e dopo la fine del conflitto: un odio incandescente che credevo spontaneo, ma che con il trascorrere del tempo mi accorsi che mi era stato insufflato. Esso veniva dalla radio inglese, dalla propaganda di Hollywood e dalla stampa staliniana. Non avrei avuto pietà per un tedesco che mi avesse detto che era stato guardiano di un certo campo e che non aveva visto alcuno dei massacri di cui allora tutti parlavano. Se fossi stato suo giudice istruttore avrei ritenuto mio dovere di «farlo confessare». Da trentacinque anni il dramma di questo tipo di accusati tedeschi è paragonabile a quello delle streghe e degli stregoni del Medio Evo.

Poniamo mente al coraggio demente che sarebbe stato necessario a una di queste sedicenti streghe per osar dire al tribunale: «La prova migliore che non ho avuto commercio con il diavolo è che, molto semplicemente, il diavolo non esiste». Allo stesso modo, sono rarissimi i tedeschi che, come l’Ing. Durrfeld di Auschwitz, hanno osato dire che queste gassazioni non erano mai esistite e che era una vergogna diffamare così i tedeschi. La strega giocava d’astuzia con i suoi giudici, come i tedeschi, ancora oggi al processo di Düsseldorf, giocano di astuzia con i loro a proposito di Majdanek.

Per esempio, la strega ammetteva che quel tale giorno il diavolo c’era, ma diceva che si trovava in cima alla collina, mentre lei era giù, ai piedi. L’accusato tedesco, da parte sua, si sforza dl dimostrare che non aveva nulla a che fare con le «camere a gas». Talvolta arriva a dire persino che ha aiutato a spingere qualcuno nella «camera a gas», o anche che gli hanno fatto versare un prodotto da una botola posta sul soffitto perché minacciato, se non obbediva, di essere messo a morte. Spesso dà anche l’impressione di divagare.

Gli accusatori pensano: «Eccone un altro che cerca di salvarsi le penne. Questi tedeschi sono straordinari! Sembra che non abbiano mai saputo né mai visto niente». La verità è che in effetti non hanno visto né saputo niente di ciò che si vuol far loro dire in materia di gassazioni. Siamo noi accusatori che dobbiamo rimproverarci di questo modo di divagare, e non farne loro colpa, perché essi si muovono nel solo sistema di difesa che noi lasciamo loro. E nel fatto che adottino questo sistema anche gli avvocati hanno una grave responsabilità. Non mi riferisco a coloro che, come quasi tutti, credono che le «camere a gas» siano esistite. Parlo di quelli che sanno o sospettano di essere davanti a un’enorme menzogna, ma preferiscono, sia nel loro proprio interesse sia in quello del loro cliente, non sollevare questo problema.

L’avvocato di Adolf Eichmann (1906-1962) non credeva all’esistenza delle «camere a gas», ma al processo di Gerusalemme si è ben guardato dallo scoprire gli altarini. Non glielo si può rimproverare. Credo infatti che lo statuto di quel tribunale permettesse di sollevare l’avvocato dal diritto di difesa se si fosse prodotto un incidente «insostenibile», o definibile con un termine equivalente. Una vecchia ricetta degli avvocati, resa talvolta necessaria dai bisogni della difesa, è di perorare il verosimile piuttosto che il vero. Il vero talvolta è troppo difficile da far penetrare nell’animo dei giudici. Ci si contenta allora del verosimile.

Un esempio illustra molto bene questa situazione. Lo racconta l’avvocato Albert Naud, difensore di un tale Lucien Léger che tutta la stampa francese presentava come autore certo di un abominevole crimine. Lucien Léger si proclamava innocente, e scelse per avvocato Albert Naud. Quando questi andò a trovarlo in prigione gli disse: «Léger, parliamoci chiaro! Se mi vuole come avvocato dobbiamo perorare la sua colpevolezza, non l’innocenza». Affare fatto! Léger ebbe salva la testa. Qualche anno dopo Naud acquisì la convinzione che il suo cliente era innocente, e si penti terribilmente di averlo costretto a dichiararsi colpevole. Si battè con tutte le sue forze per ottenere la revisione del processo, ma troppo tardi. Morì senza ottenerla. In quanto a Léger, se è innocente, senza dubbio pagherà fino alla fine dei suoi giorni l’ignobile atteggiamento della stampa e la cecità del suo avvocato.

Un tribunale non ha alcuna qualità per determinare la verità storica. Spesso gli stessi storici hanno notevoli difficoltà a distinguere il vero dal falso su un punto della storia. L’indipendenza dei giudici è forzatamente molto relativa. Come tutti noi essi leggono i giornali, si informano in parte anche attraverso la radio e la televisione. Libri e riviste presentano loro, come a noi tutti, «documenti» o «foto» di atrocità naziste. A meno che non abbiano una pratica speciale alla critica di questo genere di documenti o di foto, cadranno nei più rozzi tranelli della propaganda orchestrata dai mezzi di comunicazione. D’altra parte, preoccupazione dei giudici è di far rispettare l’ordine pubblico, la moralità pubblica, certe norme e certi usi, certe credenze stesse della vita pubblica. Senza tener conto della preoccupazione di vedere il loro nome vilipeso nella stampa, tutto ciò non può che condurre, in materia di «crimini di guerra», a giudizi che lo storico, per quanto lo riguarda, non è tenuto a fare suoi.

La giustizia si è giudicala da sé. In questo genere di processi nemmeno una volta si è pensato di fare una perizia di quella che si chiama «l’arma del delitto». Quando si sospetta che una corda, un coltello, un revolver siano stati strumento di un crimine, si fa la perizia, benché siano oggetti che non hanno nulla di particolare.

Invece, nel caso delle «camere a gas», in trentacinque anni non c’è stata una sola perizia. È vero che si parla di una perizia fatta dai sovietici, ma possiamo immaginare con quale metro e, in ogni modo, sembra che il testo sia rimasto segreto. Al processo di Francoforte, durato un anno e mezzo, dal dicembre 1963 all’agosto 1965, un tribunale ha condotto l’affare «dei guardiani di Auschwitz» senza ordinare una perizia dell’arma del crimine. Lo stesso vale per il processo di Majdanek a Dusserdorf e, poco dopo la fine della guerra, per quello di Struthof in Francia.

Questa assenza di perizie è tanto meno scusabile in quanto non un giudice, non un procuratore, non un avvocato potevano vantarsi di conoscere per esperienza la natura e il funzionamento di questi straordinari macelli umani. Eppure a Struthof e a Majdanek, quelle «camere a gas» vengono presentate come fossero ancora allo stato originario. Perciò, è sufficiente esaminare sul posto «l’arma del crimine».

Ad Auschwitz le cose sono meno chiare. Al campo principale si lascia credere ai turisti che la «camera a gas» è autentica, ma, chiedendo insistentemente, le autorità del museo battono in ritirata e parlano di «ricostruzione» (che peraltro non è che una misera menzogna che si può facilmente smascherare con certi documenti di archivio).

All’annesso campo di Birkenau vengono mostrate solo delle rovine di «camere a gas», o qualcosa di meno, dei terreni che sarebbero stati occupati da «camere a gas». Ma anche qui le perizie sono possibilissime perché a un archeologo talvolta basta qualche piccolo indizio per conoscere la natura e la destinazione di un sito inabitato da diversi secoli.

Per dare un’idea della condiscendenza dimostrata dagli avvocati del processo di Francoforte nei confronti dell’accusa, ricordo che uno di essi si è persino fatto fotografare dai giornalisti mentre sollevava una botola (sic!) della sedicente «camera a gas» del campo principale di Auschwitz. Dieci anni dopo il processo ho chiesto a questo avvocato che cosa gli aveva permesso di considerare che l’edificio in questione era una «camera a gas». La sua risposta scritta è stata più che evasiva; assomiglia a quella datami dalle autorità del museo di Dachau quando chiesi su quali documenti basavano la loro affermazione che un certo locale del campo era una «camera a gas» incompiuta. Mi stupiva infatti il fatto che si possa affermare che un locale incompiuto era destinato a diventare, una volta ultimato, qualcosa che non si è mai visto.

Un giorno pubblicherò questa corrispondenza con queste autorità, e anche quella che ho avuto con i responsabili del Comitato Internazionale di Dachau a Bruxelles. Lei mi chiede su quali prove e su quali documenti io fondo l’affermazione che le «camere a gas» non sono mai esistite. Credo di aver già ampiamente risposto.

Aggiungerò che una buona parte di queste prove e di questi documenti sono… , quelli dell’accusa. Basta rileggere bene i testi dell’accusa per accorgersi che l’accusa consegue il risultato contrario a quello ricercato. I testi di base sono i 42 volumi del grande processo di Norimberga, i 15 volumi dei processi americani, i 19 volumi pubblicati sinora dall’università di Amsterdam, gli stenogrammi del processo Eichmann, diversi processi verbali di interrogatorio, le opere di Hilberg, di Reitlinger, d’Adler, di Langbein, di Olga Wormser-Migot, l’Enciclopedia Giudaica, il Memoriale di Klarsfeld (molto interessante per l’elenco dei falsi gassati), le pubblicazioni di diversi istituti.

Ho lavorato soprattutto al Centre de Documentation Juive Contemporaine di Parigi. Ne sono stato cacciato all’inizio del 1978, su iniziativa, in particolare, del signor Georges Wellers, quando si è saputo a quali conclusioni ero giunto sulle «camere a gas» e sul «genocidio». Il Centre de Documentation Juive Contemporaine è un organismo semipubblico, che riceve denaro pubblico. Tuttavia, si arroga il diritto di cacciare coloro che non pensano come si deve. E lo dice!


Sulla questione testimonianze, Robert Faurisson scrive anche a proposito del famosissimo manoscritto conosciuto come “Diario di Anna Frank” indicando gli elementi di una evidente manipolazione – aggiunte di testo con grafia differente – perciò alterazione dei contenuti che inficerebbero tutta la veridicità del racconto.  Per chi volesse approfondire questa ulteriore aspetto, riportiamo il link della sua indagine.

Ritorniamo nuovamente all’intervista del 2007, nella parte finale, per capire quali, secondo le riflessioni suggerite da Faurisson, siano state quindi i moventi di tale inganno. Leggiamo dalla trascrizione:


(RF): Sì! Di Adolf Hitler, o viceversa; allo stesso modo. Ci sono però molti altri aspetti dell’olocausto. Dunque, per esempio, ciò implica che Hitler non ha mai ordinato l’uccisione degli ebrei? Ebbene, ho studiato allo stesso modo, tale questione e la mia conclusione è che Hitler voleva che gli ebrei lasciassero l’Europa ed era alla ricerca di ciò che i tedeschi chiamavano “una soluzione finale “territoriale” della questione ebraica”; l’aggettivo “territoriale” però non l’ho mai sentito. (04:26)

(IN): Che vuol dire?

(RF): Quello che dico. E che i tedeschi, che intende con ciò …

(IN): No, voglio dire, che cosa sentiva? Non ha mai sentito la parola “territoriale”?

(RF): La parola “territoriale.”

(IN): Al suo posto cosa sente invece?

(RF): Beh, voglio dire semplicemente: “la soluzione finale della questione ebraica.” Tale formulazione fa pensare allo sterminio fisico degli ebrei, o almeno questo è quello che cercano di farci credere; se si ripristina però la parola “territoriale” si vede bene che l’intenzione tedesca era quella di trovare, finita la guerra, dato che i tedeschi stavano combattendo una guerra, era quella di trovare un territorio in cui gli ebrei potessero insediarsi. I tedeschi però erano stati espliciti al proposito e non volevano che quella terra fosse la Palestina, tanto che, prima della guerra e durante, continuavano a dire agli Alleati: “Trovate gli ebrei meravigliosi? Prendeteveli! Ma a una condizione: gli ebrei che vi libereremo,” e ce ne sono stati di ebrei liberati dai tedeschi, “dovranno rimanere in Inghilterra. Sia vietato loro di andare in Palestina; questo per rispetto a un popolo, nobile e valoroso, quale quello arabo, che ha già sofferto abbastanza. E concludo velocemente su ad altri aspetti e dico questo: non c’era intento criminale; quello che Hitler voleva era neutralizzare gli ebrei, provare quindi a trovare per loro un territorio che sarebbe potuto essere il Madagascar, l’Uganda, o una zona della Russia, ecc. E Hitler non autorizzò nemmeno che venisse giustiziato un solo ebreo perché lui stesso era ebreo. Ciò detto, devo essere chiaro su questo punto: gli ebrei hanno sofferto molto, così come i comunisti hanno sofferto molto dall’inizio del conflitto combattendo …

continua nel Video Parte 4

(RF): (00:10) … contro il Terzo Reich, ma anche i tedeschi hanno sofferto. Ho una formula per tutte le guerre, che vale quel che vale. Quello che dico, su cui si dovrebbe riflettere un po’, è: “Tutte le guerre sono un lavoro di macelleria; il vincitore è un buon macellaio, il perdente è un cattivo macellaio e, alla fine di una guerra, un vincitore può dare al vinto lezioni in macelleria, non di diritto, giustizia e virtù.” Che cosa facciamo tuttavia dal 1945? Non la smettiamo di dare lezioni di diritto, giustizia e virtù al vinto; aggiungo però questo: non sto prendendo le difese della Germania. Durante la guerra, da bambino, ero fortemente contrario ai tedeschi. È necessario rendersi conto che dicendo: “Hitler voleva uccidere gli ebrei, motivo per cui ha fatto costruire un’arma speciale che ha provocato la morte di 6 milioni di ebrei” si parla di una cifra che è completamente folle! Si tratta dell’equivalente della popolazione della Svizzera. Bisogna rendersi conto che dicendo qualcosa del genere senza prove, beh, si accusano il popolo tedesco, Adolf Hitler, Himmler, Goebbels, Göring, d’accordo, ma vengono accusati anche, e questo è ciò che fanno le organizzazioni ebraiche: le nazioni alleate alla Germania, quelle neutrali, come la Svizzera, e Papa Pio XII al quale si rimprovera: “Oh, il Papa, ma non ha fatto nulla per contrastare la cosa!” Papa Pio XII si è dispiaciuto per gli ebrei, ha cercato di aiutarli, ma non ha mai dichiarato: “Sapete, stanno per massacrarli sistematicamente!”. Il Papa allora appare come un complice, o, ancora meglio, andate a visitare i musei ebraici e vedrete che sono accusati anche Roosevelt, a cui viene detto: “Vergogna! Non hai fatto bombardare Auschwitz,” Churchill, De Gaulle, Stalin, la Croce Rossa, e il mondo intero. Se ne renda conto. (02:40)

(IN): Accusano anche il popolo palestinese?

(RF): Mi scusi?

(IN): Accusano anche il popolo palestinese?

(RF): Beh, non possono, a rigore, accusare il popolo palestinese, ma in Palestina possono dire: “Abbiamo sofferto tanto; siamo passati per sofferenze tanto straordinarie che abbiamo diritti speciali. Vogliamo questa terra e non potete rifiutarvi di darcela perché abbiamo sofferto veramente tanto.”

(IN): Il popolo palestinese deve soffrire per la redenzione dei peccato del popolo giudeo?

(RF): No! Non per i peccati del popolo ebraico, no! Per le sofferenze …

(IN): Le sofferenze? Certamente. (03:29)

(RF): … Sì! Ecco! Le sofferenze del popolo ebraico, che sembrano essere state provocate dai peccati degli europei, dagli americani, ecc, che però non sono stati commessi. Vorrei quindi che sia ben chiaro un punto: non faccio politica, sono veramente apolitico, e, in particolare, non sto prendendo le difese dello sconfitto. Dico semplicemente: “Quando si accusa, bisogna sempre fornire le prove e quando si accusa quasi tutto il mondo, bisogna fornire prove numerose e solide. Eppure, in questo caso, le prove non sono né numerose né solide.” Sono ciò che viene denotato in modo preciso dalla parola “calunnia.” Cerchi quindi di capire i propositi dei miei tanti libri, così come quelli di tutti i revisionisti, visto che la letteratura revisionista è considerevole, e va consultata, specialmente su internet, perché il nostro è un movimento generale di protesta contro una calunnia immensa, contro un’ingiustizia. Non mi si venga a chiedere di stare zitto: questo non è possibile.


A conclusione di questa nostra ricerca su di un argomento così importante quanto drammatico, riportiamo uno stralcio di uno scritto di Robert Faurisson risalente al gennaio 1995. Un encomio e ringraziamento che rivolge ai tanti ricercatori storici appartenenti al filone revisionista ed un accorato appello a far spazio alla verità dei fatti su quella che egli definisce “la leggenda di Auschwitz“.


Dichiarai nel 1980: “Attenzione! Nessuna delle 60 parole che sto per pronunciare mi è dettata da una opinione politica. Le prétendu génocide des juifs et Ies prétendues chambres a gaz hitlériennes forment un seul et même mensonge historique, qui a permis une gigantesque escroquerie politico-financière dont les principaux bénéficiaires sont l’Etat d’Israël et le sionisme international et dont Ies principales victimes sont le peuple allemand MAIS NON PAS SES DIRIGEANTS et le peuple palestinien tout entier (II preteso genocidio ebraico e le pretese camere a gas naziste formano una sola e medesima menzogna storiografica, che ha permesso una gigantesca truffa politico-finanziaria di cui i principali beneficiari sono lo stato d’Israele e il sionismo internazionale e di cui le principali vittime sono il popolo tedesco MA NON I SUOI DIRIGENTI e tutto il popolo palestinese).

Oggi non ritirerei una parola di questa dichiarazione, nonostante le aggressioni fisiche, i processi, e le multe che ho subito dal 1978 e nonostante l’incarcerazione, l’esilio o la persecuzione di tanti revisionisti. Il revisionismo storico è la grande avventura intellettuale di questa fine secolo. Ho solo un rimpianto: di non poter trovare, nei limiti di questo articolo, lo spazio necessario per rendere omaggio al centinaio di autori revisionisti che, dopo il Francese Paul Rassinier e passando per l’Americano Arthur R. Butz, il Tedesco Wilhelm Stäglich, l’Italiano Carlo Mattogno e lo Spagnolo Enrique Aynat, hanno accumulato sulla realtà storica della seconda guerra mondiale una mole di lavoro di pregio eccezionale.

Un’ultima parola: i revisionisti non sono dei negazionisti, né dei personaggi animati da turpi intenzioni. Essi cercano di dire ciò che è stato e non ciò che non è stato. Sono positivi. Ciò che annunciano è una buona notizia. Continuano a proporre un dibattito pubblico, in piena chiarezza, anche se, fin qui, è stato loro risposto soprattutto con l’insulto, la violenza, con la forza ingiusta della legge o ancora con delle vaghe considerazioni politiche, morali o filosofiche. La leggenda di Auschwitz deve, presso gli storici, lasciare il posto alla verità dei fatti.

11 gennaio 1995


Per chi desidera approfondire: Archivio Faurisson