Scienza e sistemi complessi

Scienza e sistemi complessi

sistema complesso“dire che è possibile spiegare tutte le vicende umane in termini strettamente fisici è pura sciocchezza” Erich Hart, 1995
Dal “demone di Laplace” ai sistemi complessi

Uno dei miti senz’altro più diffusi nella percezione comune della scienza, è che essa abbia sempre a che fare con la calcolabilità e la predicibilità delle cose.

In realtà i sistemi che possiamo calcolare e prevedere in maniera analitica, utilizzando la matematica, in natura sono molto pochi e molto semplici. Sono sostanzialmente tutti quei sistemi che appartengono al dominio limitato della fisica classica, sistemi ideali, chiusi, dove si studiano casi limite e comportamenti di corpi o particelle che rispondono semplicemente alle leggi del moto di Newton, per esempio, e dove quindi una volta conosciute posizione e velocità delle singole particelle e le condizioni al contorno, è possibile prevedere moti e traiettorie con una certa precisione. Viene allora in mente la celebre ipotesi del “demone di Laplace”, in cui l’imprevedibilità oggettiva di molti sistemi non sarebbe derivata tanto da insuperabili limiti intrinseci, ma soltanto dalla impossibilità pratica di poter conoscere in modo preciso posizione e velocità di tutte le particelle costituenti i sistemi stessi. Ma se per esempio un’ipotetica mente intelligente potesse giungere a questo livello di conoscenza per tutte le particelle dell’universo, si potrebbe benissimo riuscire a descrivere fedelmente passato, presente e futuro.

Siamo nel settecento e Laplace offre peraltro un grandissimo contributo alla radicazione scientifica del riduzionismo, metodo che più di ogni altro porterà indubbiamente a importanti successi della scienza nei decenni e nei secoli successivi.

Tuttavia il mondo reale, quello costituito principalmente dalla “terra di mezzo”, mediamente collocato tra l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande, ci appare altamente complesso e sembra prendere decisamente le opportune distanze da quanto invece postulato da Laplace. Questo grado di complessità peraltro, è in continuo aumento e segue da vicino la traiettoria evolutiva della nostra società.

In questi ultimi decenni, inoltre, anche la scienza stessa si è costantemente affinata nei metodi analitici, e soprattutto, ha spostato sempre di più il suo campo di applicazione dallo studio dei sistemi fisici classici (meccanica, termodinamica, elettromagnetismo) allo studio dei sistemi complessi (ecosistemi, sistemi biologici e sociali, clima), passando prima per la grande rivoluzione della fisica o meccanica quantistica.

Vi è insomma la diffusa e fondata sensazione che lo studio della complessità abbia inaugurato una nuova stagione scientifica dopo quelle della fisica quantistica e relativistica, nella quale le tre tipiche e fondamentali assunzioni della fisica classica, riduzionismo, determinismo e reversibilità sembrano essere venute definitivamente meno. Una vera e propria rivoluzione epistemologica, quindi, un cambio di paradigma per dirla con Thomas Kuhn.

La peculiarità fondamentale di un sistema complesso (dal latino complexus “intrecciato insieme”), è infatti quella di evolvere in maniera non lineare e sostanzialmente impredicibile in dettaglio; questo significa che gli elementi del sistema non sono più chiaramente correlati tra di loro da rapporti ben definiti e proporzionali tra causa ed effetto. La dinamica di un sistema complesso, pertanto, spesso complicata anche dall’instaurarsi di processi di retroazione (feedback), non è più quindi definibile in termini di certezza matematica, ma soltanto in termini di probabilità, ed è per questo, che nell’approccio allo studio di questi sistemi, è bene abituarsi ad acquisire una certa dimestichezza con concetti quali incertezza, caso, approssimazione, indeterminazione.

Del resto il problema della non determinabilità delle cose non è un concetto del tutto nuovo per la scienza, in quanto già noto fin dai tempi di Heisenberg che con il suo principio di indeterminazione ha dato avvio a infinite discussioni circa l’indeterminismo intrinseco in natura.

Per esempio, non possiamo sapere con precisione se il nostro cervello sia costituito da 79 oppure da 81 miliardi di neuroni, se una medicina possa funzionare sul 70% o il 72% dei pazienti, se uno stile di vita adeguato influisca sulla prevenzione del rischio cardiovascolare ed oncologico per una quota pari al 40% o al 50% rispetto alla componente genetica o se un attacco febbrile nel caso di un’influenza durerà tre o cinque giorni e se ci sarà o meno una complicanza.

Il punto importante però, è che questa incertezza, di solito, non è così determinante da precludere il progredire della conoscenza del sistema nel suo complesso, allo stesso modo per cui il fatto di non conoscere l’esatto valore del “Pi greco”, non costituisce un limite alla comprensione della geometria.

Complessità ed emergenza

Un’altra caratteristica importante di un sistema complesso è quella di essere fortemente accoppiato con l’ambiente circostante. Quando noi andiamo a studiare un sistema fisico semplice, non facciamo altro che prendere un pezzo di mondo, isolarlo da tutto il resto, e studiarne la struttura fondamentale. Una volta colte le proprietà fondamentali che caratterizzano gli elementi del sistema, andiamo a studiarne la frontiera e quindi come il nostro sistema si comporterà interfacciandosi con l’ambiente. In questo modo, come osservatori del sistema non possiamo che fare una scelta di tipo parmenideo e studiare, come meglio possiamo e in modo arbitrario, soltanto alcune delle infinite possibili interrelazioni con l’ambiente. Il problema però è che il mondo non è di natura parmenidea ma eraclitea e quindi il sistema che abbiamo isolato per comodità analitica, andrà poi ad incontrare ogni volta un ambiente che nel frattempo è cambiato e che ripercorrendo le interrelazioni di cui abbiamo detto, andrà a modificare di conseguenza anche il sistema stesso, in un continuo scambio biunivoco e dinamico di energia, materia e informazione. E’ pertanto impossibile tracciare un confine tra sistema e ambiente.

Il concetto di complessità inoltre è strettamente connesso al concetto di emergenza, termine con il quale si intende evidenziare il fatto per cui, quando in un sistema molti elementi/componenti/particelle “collaborano” insieme, si assiste all’acquisizione di comportamenti collettivi e di caratteristiche “nuove” ed imprevedibili da parte del sistema stesso e all’emergere di nuove configurazioni che dovranno essere poi descritte con variabili e parametri diversi da quelli utilizzati per il sistema iniziale.

Ma se un sistema complesso si caratterizza quindi per il fenomeno dell’emergenza, è possibile però anche distinguere ulteriormente tra emergenza computazionale ed emergenza intrinseca. Nella prima tipologia rientrano i sistemi caotici, caratterizzati da una complessità algoritmica se vogliamo, impredicibili sì, ma perché fortemente influenzati dalle condizioni iniziali e quindi legati ad una sorta di perdita di memoria durante l’evoluzione dinamica, per esempio automi cellulari, frattali ecc. Nella seconda invece rientrano i sistemi complessi propriamente detti, che sono la stragrande maggioranza dei fenomeni riscontrabili in natura (sistemi biologici, ecosistemi, sistemi economici, clima ecc.), caratterizzati da una continua rottura di simmetria (anche in seguito a eventi casuali) e conseguente continua riorganizzazione dei rapporti sistema-ambiente.

Concetto di emergenza intrinseca molto bene evidenziato anche nel celebre articolo di Anderson del 1972 “More is different” in cui si chiarisce come le proprietà globali non possono essere sempre dedotte da quelle locali, in particolare dall’analisi dei componenti. Ne consegue che è assolutamente illusorio pensare che esista un livello fondamentale dal quale poter dedurre tutto il resto, utilizzando semplicemente la macchina della matematica. Insomma, in quel profetico articolo, c’era già scritta l’inevitabile fine del dominio assoluto del riduzionismo scientifico.

Modellizzare i sistemi complessi

Diventa quindi evidente, che più saliamo nella scala della complessità e più la fisica e la matematica diventano inefficaci e una descrizione tramite un singolo modello formale appare praticamente impossibile. Di conseguenza, più un sistema è complesso, più aumentano i modelli possibili, perché il sistema cambia in continuazione, è soggetto ad emergenze ed offre una vasta gamma di comportamenti sempre diversi.

Per descrivere un sistema complesso, quindi, è necessaria una pluralità di modelli (approccio plurimodellistico), dove ognuno dei quali riuscirà a catturare soltanto alcune caratteristiche del sistema, mentre ne trascurerà inevitabilmente altre. Pare proprio che il modello perfetto e onnicomprensivo di un sistema complesso semplicemente non esista, in quanto l’emergere di nuovi comportamenti del sistema, richiede continuamente nuove formulazioni del modello stesso.

Per dirla con Wiener: “il miglior modello materiale di un gatto è un altro gatto: o anzi, meglio ancora proprio quello stesso gatto”.

Esisterà insomma sempre un incomprimibile scarto tra ogni modello formale di un sistema complesso che andremo a costruire e i reali comportamenti osservati, tale da rendere anche la comparsa di un qualsiasi evento casuale una cosa del tutto normale.

Limiti, teorici e sperimentali, che renderanno anche necessaria l’introduzione di nuovi approcci scientifici, approcci che magari in determinati contesti mireranno maggiormente ad osservare i sistemi nella loro globalità comprese le proprietà emergenti piuttosto che i singoli elementi, senza venire per questo meno all’aspetto irrinunciabile della scienza galileiana, che nella fattispecie consiste nel definire proprio cosa e come osservare attraverso delle adeguate procedure operative.

Fabio Vomiero

enzopennetta.it