L’esperimento delle scimmie rosse, la CIA e le teorie del complotto

esperimento delle scimmie rossePer capire meglio il meccanismo di condizionamento sociale che il Sistema ci ha costruito intorno, immaginate di fare un esperimento con alcune scimmie (con tutto il rispetto per questi simpatici animali): chiudete cinque di esse in una stanza con una scala, e sopra quella scala ponete una banana. Quando una delle scimmie sale sulla scala per prendere la banana, inondate le altre di acqua gelida. Non appena queste collegano la salita della scimmia sulla scala con la doccia fredda, inizieranno a impedire a questa di salirvi, strillando, strattonandola e minacciandola.

Ora sostituite una scimmia alla volta nella stanza, con delle scimmie rosse, dandole il tempo di ambientarsi.

Ogni nuova scimmia si troverà in una situazione per cui, se una scimmia tenta di salire sulla scala, le altre strillano e la minacciano.

Per puro spirito di allineamento al gruppo anche questa comincerà ad adottare lo stesso comportamento e a unirsi alle altre nelle urla contro l’eventuale scimmia «deviante». Badate bene: l’ultima scimmia rossa lo farà senza neanche comprenderne il motivo originale (dato che, al contrario delle altre, non ha mai sentito sulla propria pelle il getto d’acqua gelata). Dopo che avrete sostituito tutte le scimmie nella gabbia con delle scimmie rosse, queste continueranno a impedirsi l’una all’altra di salire sulla scala, senza saperne il motivo originale. Questo meccanismo di imitazione e allineamento al gruppo spesso si riproduce nelle istituzioni umane, soprattutto in quelle più complesse, che col susseguirsi delle «generazioni» impongono al proprio interno una serie di regole per la propria autoconservazione (quella delle istituzioni stesse e non dei singoli individui che ne fanno parte), regole la cui origine e i cui effetti non sono spesso chiari dopo qualche «generazione» nemmeno ai dirigenti.

Un esperimento simile può essere realizzato in un campus universitario chiedendo a una parte dei ragazzi di osannare metodicamente con complimenti ben mirati tutte le ragazze che indossino un abito o un accessorio di colore rosso. Nel giro di qualche settimana praticamente ogni ragazza del campus indosserà qualcosa di rosso, ad eccezione di quelle cui non piace farsi influenzare, che verranno accusate di essere «fuori moda», o peggio ancora «antisociali» o «paranoiche». Immaginate di fare lo stesso esperimento sostituendo i semplici complimenti con degli «assegni di ricerca», da mille, diecimila o centomila dollari, e vi renderete conto di quanto facile possa essere influenzare un intero campus universitario ad allinearsi a un comportamento o a un «filone di pensiero». Lo stesso metodo può essere applicato per influenzare praticamente ogni situazione sociale: aziende, partiti, scuole, associazioni, gruppi religiosi… Osservando quindi il mondo che ci circonda, pare che dopo qualche generazione di «condizionamento forzato» questa remora a parlare del funzionamento del Sistema, e persino a farsi delle domande sul suo funzionamento, ormai si trasmetta automaticamente nel DNA di professori, giornalisti, politici, imprenditori e perfino dirigenti di banca.

Vi invito a verificarlo personalmente. Quanti professori (persino di economia) conoscono il vero funzionamento del Sistema e come ci condiziona ad esempio attraverso il funzionamento del nostro sistema monetario basato sulla moneta-debito? Quanti giornalisti, opinionisti o analisti ne parlerebbero con cognizione di causa? Quanti politici e dirigenti pubblici comprendono l’importanza di questo tema nell’organizzazione della vita di uno Stato? Quanti imprenditori sanno davvero qual è l’origine di quei «simboli» che sono tanto impegnati a guadagnare sul mercato? Quanti dirigenti di banca hanno idea delle origine storiche del proprio business? Prendete il primo che incontrate e chiedeteglielo. Nonostante la maggior parte di noi passi buona parte della propria vita a confrontarsi col denaro, arrovellandosi su come guadagnarlo, spenderlo, raccoglierlo o distribuirlo, si sentirebbe oggi incredibilmente giustificato nell’affermare che comprendere l’origine del denaro che tutti noi usiamo è un argomento «da esperti», «non certo alla portata di tutti»; o, peggio ancora, accuserebbe chi lo spiega come ho fatto io di «fanatismo» o «complottismo». Invece a mio parere può diventare un argomento alla portata di tutti, a patto che vengano fornite le informazioni giuste nel modo giusto, come ho cercato di fare nelle pagine precedenti. E proprio queste informazioni ci libereranno dai falsi condizionamenti del Sistema.

Tornando alle scimmie rosse, se state davvero attenti ne troverete tante nascoste dietro quanti cercano di proteggere le convinzioni dettate dal Sistema, senza avere una vera cognizione della loro origine, e magari accusando altri di essere «complottisti», «paranoici» o «facilmente influenzabili», senza accorgersi di essere loro i primi a esserlo. Alcuni sono inconsapevoli del proprio ruolo di scimmie rosse, e nella migliore delle ipotesi sono pronti a un confronto aperto e a rivedere le proprie idee. Ma esistono anche veri e propri professionisti in questa attività di «dissuasione», attivi soprattutto online, magari protetti dall’anonimato, da pseudonimi e account fasulli. Alcuni non hanno nemmeno il coraggio di mostrarsi a viso aperto perché sono consapevoli di non poter reggere il confronto con una persona «coerente», e preferiscono mandare avanti altri al posto loro, dopo averli «influenzati» a dovere. E a volte diffamano e sviano l’attenzione con abili stratagemmi retorici (in gergo sono anche detti «troll»). Uno dei più comuni stratagemmi è quello di criticare un’ipotesi «alternativa» in maniera sommaria, basandosi su pregiudizi e ipotesi «ufficiali», senza aver verificato in prima persona ciò che viene criticato. L’attenzione viene poi di solito deviata sulla «persona» che sostiene quell’ipotesi più che sul «contenuto», con commenti quali «non è credibile», «ha fatto questo errore o questa imprecisione», «non mi piace il suo stile», «sicuramente ci guadagna dei soldi», «è un truffatore», «si è messo le dita nel naso», «l’ho incontrato anni fa in uno strip club», o cose del genere. E ovviamente chiunque in buona fede si opponga loro o dia credito all’ipotesi in oggetto viene accusato di essere un «ingenuo», un «ignorante» o peggio ancora reso oggetto di scherno, stalking e atteggiamenti violenti…

Attenzione, quindi, perché le scimmie rosse proveranno a dissuadere anche voi dal cammino verso l’indipendenza, e metteranno spesso alla prova la vostra «coerenza», facendo leva in particolare sulle vostre paure. La paura di essere ridicolizzati o di perdere la vostra credibilità professionale, la paura di perdere i vostri soldi o il vostro lavoro. La paura è la leva che il Sistema usa ogni giorno per controllarci e anche le scimmie rosse spesso la utilizzano.

Come disse Bob Kennedy, un grande politico che citerò ancora in questo capitolo:

«Pochi uomini sono disposti ad affrontare la disapprovazione dei loro compagni, la censura dei loro colleghi, l’ira della loro società. Il coraggio morale è una merce più rara del coraggio in battaglia o di una grande intelligenza. Eppure è una imprescindibile, vitale qualità per coloro che cercano di cambiare un mondo che merita di cambiare».

Anche Gandhi la pensava allo stesso modo:

«Molte persone, specialmente quelle che la ignorano, ti vorranno punire per aver detto la verità, per essere stato coerente e per essere te stesso. Non scusarti mai per essere stato coerente o per essere anni avanti al tuo tempo. Se sei nel giusto e se lo senti, parla liberamente. Dì quello che pensi. Anche se sei l’unico rappresentante di una minoranza, la verità è comunque la verità».

Quindi siate coraggiosi e non affidatevi ai giudizi altrui, a maggior ragione se sono quelli più diffusi e comuni, e ancora meno se sono vuote accuse di «complottismo», «cialtroneria» o «ciarlataneria» (queste a volte sono addirittura un buon segno!).

Arthur Schopenhauer, filosofo che in molti come me ricordano per averlo studiato al liceo, ha scritto:

«Tutte le verità passano attraverso tre fasi. Primo, vengono ridicolizzate. Secondo, vengono violentemente contrastate. Terzo, vengono accettate come evidenti», ossia, come se fossero sempre state chiare a tutti.

Uno studio scientifico pubblicato nel 2013, elaborato da Michael J. Wood e Karen M. Douglas, due psicologi e ricercatori dell’Università di Kent (Regno Unito), suggerisce che lo stereotipo negativo del «complottista» – un fanatico ostile che sostiene con piglio ideologico le versioni ipotizzate dalla propria «setta» di appartenenza – in realtà descriva accuratamente le persone che difendono le versioni ufficiali, non quelle che le contestano. Lo studio intitolato What about building 7? A social psychological study of online discussion of 9/11 conspiracy theories («Cosa ne pensate dell’edificio 7? Uno studio psicologico sociale sulle discussioni online riguardo la teorie del complotto sull’11 settembre»), condotto su migliaia di commenti raccolti online dai due ricercatori, pare dimostrare che siano i soggetti che supportano la versione ufficiale dei fatti dell’11 settembre 2001 – e non i cosiddetti «complottisti» – a esprimersi generalmente in modo più ostile, nel tentativo di persuadere chi la pensa in modo diverso da loro. E sono invece gli altri – i «complottisti» – ad avere un atteggiamento più sano e aperto, più razionale, non «paranoico» né «manipolabile», in merito ai fatti discussi. E sono anche molto più numerosi: coloro che non credono alle versioni ufficiali di eventi come l’11 settembre e l’omicidio del presidente statunitense John Fitzgerald Kennedy sono risultati essere più del doppio rispetto a quelli che credono alle versioni ufficiali.

Il che significa che si è ormai invertito il rapporto, e che la saggezza popolare oggi è espressa proprio dai cosiddetti «complottisti», mentre le persone che non credono alle «cospirazioni» stanno diventando una sparuta minoranza. Altri recenti sondaggi confermano che più dell’80% della popolazione statunitense non crede alla versione ufficiale sull’11 settembre! E a tutti questi non piace affatto essere definiti «complottisti».

È ormai noto infatti che le espressioni «complottista» e «teorie del complotto» furono create proprio con «l’obiettivo di rendere chi non credesse alle versioni ufficiali oggetto di scherno e ostilità da parte del resto della collettività, e bisogna ammettere – purtroppo – che si sia rivelata una delle iniziative di propaganda di maggior successo di tutti i tempi» sono le parole del professor Lance DeHaven-Smith nel suo libro Conspiracy Theory in America («Teorie del complotto in America»).

Ma da chi vennero coniate quelle espressioni? Il politologo americano ci dice che furono coniate e ampiamente diffuse dalla CIA – i servizi segreti statunitensi – per diffamare coloro i quali sollevavano dubbi sulla versione ufficiale dell’assassinio di JFK. Ed evidentemente sono poi tornate loro spesso utili… Tanto per fare un altro esempio, è stato confermato che i servizi segreti statunitensi sono stati complici anche dell’omicidio di Martin Luther King, con una sentenza unanime del dicembre 1999 (dopo 4 settimane di dibattimento e oltre 70 testi ascoltati), ben 32 anni dopo la morte del leader nero. La moglie Coretta Scott King ha dichiarato: «Abbiamo fatto tutto quello che era in nostro potere per portare alla luce la verità, e ora anche i media e i membri della comunità politica dovrebbero fare la loro parte per diffondere queste rivelazioni al più largo pubblico». Il suo appello cadde nel vuoto e oggi trovate ben poche tracce di notizie su quella sentenza.

Estratto da “Liberi dal Sistema – La Guida per Cambiare il Mondo Partendo da Sè”, di Enrico Caldari