Storie sommerse: La caccia alle streghe

Il Giornale Online
LA STREGA E L'IMMAGINARIO COLLETTIVO

Gli studiosi spiegano in modi diversi questa ossessione per la stregoneria; una delle tesi più convincenti rileva la concordanza cronologica di questo fenomeno con il periodo di maggior tensione, prodotto dalla Riforma protestante e sfociato poi nelle guerre di religione. Non è, invece, possibile attribuire ai rigori della Controriforma, piuttosto che al fanatismo delle chiese riformate, il clima culturale che scatena la caccia alle streghe: nell'area tedesca non ci sono grandi differenze, quanto a zelo persecutorio, tra stati cattolici e stati protestanti e lo stesso vale nel confronto della Francia con l'Inghilterra e la Scozia.

In realtà dove la Riforma ha poco successo o è immediatamente repressa dalla chiesa cattolica, l'ossessione per la stregoneria si manifesta in modo poco rilevante: nessun processo si celebra a Roma e abbastanza rari sono i roghi delle streghe accesi in Spagna. Secondo questa interpretazione, la rottura dell'unità religiosa provoca l'affermarsi di un clima di paura e di sospetto, che interessa gran parte dell'Europa e diffonde la convinzione che Satana voglia rovesciare ogni male sul genere umano, servendosi dell'aiuto di streghe e stregoni.

A questa tesi se ne contrappone un'altra molto diversa, che nasce dalla constatazione che la maggioranza delle persone portate in giudizio per stregoneria sono donne. Già il Malleus Maleficarum sembra avvalorare l'ipotesi che la caccia alle streghe rappresenti il culmine dello spirito antifemminista e sessuofobico, da secoli radicato nella cultura ecclesiastica: il sesso proviene dal diavolo e la donna è il suo ministro, attraverso l'opera di tentazione.

Ricondurre il complesso fenomeno della stregoneria esclusivamente alla volontà di reprimere il sesso e la donna appare, tuttavia, eccessivo. Con questa interpretazione, infatti, rimarrebbe inspiegato perché in Italia i processi siano così pochi e perché la Spagna rivolga le sue armi repressive verso differenti obiettivi (gli ebrei e i mori, convertiti con la f orza in passato), trascurando le donne.

Inoltre appare evidente che la paura delle streghe diventa sempre maggiore in rapporto diretto con il numero crescente di confessioni, nelle quali le accusate, di fronte ai giudici, raccontano con minuti particolari la loro partecipazione ai sabba, le grandi riunioni notturne di streghe e i loro rapporti carnali con il diavolo, autoaccusandosi dei più diversi e nefandi crimini. Queste confessioni sono di solito estorte con la tortura e, spesso, i giudici costringono le loro vittime ad ammettere colpe che non hanno commesso. In Inghilterra, però, i giudici non ricorrono alla tortura giudiziaria e dagli atti dei tribunali continentali si ha talora l'impressione che le confessioni siano spontanee.

Pertanto, gli accusati e le accusate sembrano condividere lo stesso abito mentale dei loro accusatori e sono i primi a credere all'esistenza di patti stipulati col diavolo. Questa constatazione sposta l'attenzione di molti studiosi dalla cultura giuridica e teologica dei giudici laici ed ecclesiastici alla cultura popolare, di cui la credenza nelle streghe è espressione. Alla domanda “perché i giudici accoglievano le denunce contro le streghe?”, se ne aggiunge, dunque, un'altra: “chi, perché e contro chi faceva le denunce e che cosa pensavano della stregoneria i denunciati?”.

Certamente il fenomeno della stregoneria può essere in buona parte ricondotto a cause sociali o politiche: il ricorso alle pratiche magiche diviene, a partire dal Trecento, quando falliscono i movimenti ereticali e le speranze popolari di rinnovamento religioso, un elementare mezzo di protesta di individui e gruppi emarginati dalla cultura e dalla religione ufficiale; d'altro lato, l'accusa di stregoneria serve spesso a controllare, perseguitare e distruggere strati sociali e comunità ostili, come nel caso dei montanari e dei contadini.

Tuttavia la diffusione e la persistenza delle dottrine e delle immaginazioni intorno a streghe, stregoni e diavoli sollevano anche altri problemi, relativi all'insicurezza collettiva, che spinge a riversare su qualche “responsabile” la colpa delle calamità ricorrenti, alla mentalità del clero, al sistema giudiziario. Inoltre la strega, con i particolari connotati che le sono attribuiti nel periodo che va dal XIV al XVII secolo, non compare come protagonista nella letteratura, a differenza di altri eroi della disgregazione sociale, quali il picaro, il pazzo. Si manifestano evidentemente, riguardo alla stregheria, una paura e un atteggiamento di rigetto, paura del diavolo e dei suoi malefici, paura di essere coinvolti e accusati, più profondi di quelli che si rivolgono ad altri irregolari.

La repressione selvaggia delle pratiche magiche rappresenta senza alcun dubbio una delle esclusioni, uno dei rifiuti più netti che la civiltà occidentale abbia mai pronunciato.

Per comprendere questo fenomeno è utile intanto chiarire il concetto di strega, quale è definito tra il Quattro e il Seicento. Esso nasce in una cultura, quella del tardo Medioevo, fortemente permeata del senso del soprannaturale e in cui il diavolo è percepito come presenza attiva nella natura e tra gli uomini, una cultura che rimane ancora a lungo ascientifica: scarsa conoscenza dei fenomeni naturali, comprese la fisiologia e la patologia del corpo umano, non ancora esplorato l'universo della malattia mentale. La “strega” non va confusa tuttavia con altre figure di irregolari religiosi o di praticanti dell'arte magica.

Il concetto di stregoneria, infatti, ha le premesse nel concetto di “eresia” e, tuttavia, è diverso da quello tradizionale di eresia, che rimane dominante fino a tutto il XIII secolo: l'eretico è punito per le sue idee, la strega per le sue azioni (si credeva che le streghe esercitassero nella realtà i loro poteri). I due concetti tornano qualche volta a confondersi nel Cinquecento, nel primo periodo delle lotte tra riformati e cattolici: l'eretico riformato può essere considerato anche uno “stregone”; tuttavia una trattatistica abbondante e minuziosa interviene ancora una volta, alla fine del Cinquecento, a chiarire le caratteristiche specifiche della stregoneria e a definire il modello demonologico ecclesiastico.

D'altronde la caccia alle streghe è condotta con accanimento nei paesi della Riforma non meno che in quelli cattolici. La stregoneria si distingue anche dalle credenze magico-filosofiche, che si diffondono largamente tra gli intellettuali del Quattro e Cinquecento, contribuendo al rinnovamento del sapere e favorendo l'indagine del mondo naturale.

Il concetto di stregoneria comporta invece alcuni elementi caratterizzanti: riguarda peculiarmente le donne (la figura dello “stregone” compare più saltuariamente e marginalmente); si fonda sulla convinzione che sia possibile stringere un patto con il diavolo, attestato per lo più da un segno, un punto insensibile o che non sanguina, impresso dal diavolo stesso sul corpo dei suoi adepti; è connesso con la sessualità e con il sacrilegio: la strega si congiunge carnalmente con il demonio e compie atti di sconsacrazione che parodizzano il rito e il culto cristiani.

L'attività di strega si concreta nella partecipazione notturna alle orge del sabba e nell'operare malefizi che investono soprattutto il campo della generazione: ostacolare i matrimoni, consumare animali e bambini, togliere il latte alle donne o alle mucche, provocare malattie. Insomma il concetto di stregoneria è legittimato dalla presunzione che esista un complotto universale contro l'umanità, tramato dal diavolo, il principio assoluto del male, con la complicità di esseri umani, che sono per lo più donne, e attesta un'attenzione specifica rivolta alla sessualità e al corpo.

Non è privo di significato il fatto che presso molti tribunali laici la parte principale del processo consista nella visita corporale, svolta da un esperto, medico o chirurgo, che procede alla ricerca del segno diabolico, mediante una minuziosa esplorazione del corpo nudo e depilato: se il segno non si trova, come accade nel caso celebre di Urbain Grandier, accusato di avere stregato le Orsoline del convento di Loudun nel 1634, si può sempre supporre che il diavolo stesso abbia provveduto a cancellarlo. Esso inoltre trova applicazione soprattutto in rapporto alla cultura delle campagne: la caccia alle streghe è un fenomeno prevalentemente o esclusivamente rurale fino a tutto il Cinquecento e solo con il Seicento si hanno grandi processi che coinvolgono non più contadini, ma ceti urbani e abbienti.

I problemi di interpretazione ci conducono, quindi, alla domanda: come è possibile che per tre secoli sia così ampiamente accettata da tutte le classi sociali, e a vari livelli di istruzione, la credenza nell'esistenza reale delle streghe?

Brillanti uomini come M. de Montaigne e donne influenti come Cristina di Svezia intervengono per schierarsi contro la persecuzione delle donne, contro la giustizia religiosa, poi civile, contro le credenze assolute che porta con sé. Nonostante questo, la “caccia alle streghe”, in tre secoli, raccoglie migliaia di condanne al rogo a donne processate, considerate ree confesse sotto torture che i codici avvallano e richiedono. Jean Bodin, filosofo del XVI, è autore del testo “Demonomanie”, scritto con il fine di correggere la debolezza dei giudici, se latita la fermezza a condannare un fenomeno ritenuto pericoloso per la saldezza dello stato.

La “ragione maschile” vuole reprimere un fenomeno poiché rasenta i terreni del potere femminile: la ginocrazia temuta fino dai tempi di Aristotele. E' riconoscibile attraverso Bodin un'epoca ostile verso un eventuale potere, sia della donna-regina sia della donna-strega. Vale quanto afferma Milagros Rivera Garreta: “Tutte le società hanno forme di controllo del mantenimento dell'identità di genere di solito piuttosto rigide: la caccia alle streghe e la medicalizzazione del corpo lesbico costituiscono esempi estremi ma non rari.”

Le voci di dissenso che, sebbene isolate, non sono mancate, sostengono per lo più l'opportunità di modificare il trattamento pratico delle streghe, senza rifiutare i fondamenti concettuali dell'opinione comune. Disponiamo di una documentazione abbondante, che proviene però soltanto dalla parte ufficiale dei persecutori; sono trattati di demonologia, manuali sulle tecniche inquisitive, atti di processi che certo rivelano le ossessioni mentali degli inquisitori stessi; è però fuori di dubbio che la stregheria viene avvertita ovunque come una minaccia sociale e che la persecuzione è alimentata e appoggiata da un consenso generalizzato.

Perché l'insicurezza collettiva, che si manifesta drammaticamente nel XIV secolo, il secolo delle pesti e della crisi economica, e che continua in seguito ad accentuarsi periodicamente, in coincidenza con guerre, sommosse e conflitti di religione, si convoglia verso un nemico, la donna-strega, scelto con il criterio di un antifemminismo violento? Perché le streghe stesse credono alla loro propria natura stregonesca e immaginano di possedere, grazie al patto diabolico, poteri eccezionali sulle cose e sugli esseri viventi? Alcune infatti si difendono negando, altre parlano per effetto della tortura, molte confessano spontaneamente, quasi con sollievo e ostentazione, convegni notturni, congiungimenti diabolici, sortilegi e fatture.

Nel corso del XVII secolo la caccia alle streghe, pur continuando, va perdendo credibilità e convinzione, e con il XVIII secolo essa, come fenomeno di massa, ha termine. A determinarne la fine contribuiscono i medici e la nuova nozione di malattia mentale che essi vengono elaborando. Molti fenomeni fisici, già considerati segno di stregoneria, vengono visti come sintomo di malattia, così, per esempio, l'insensibilità di alcune parti del corpo. In che misura il concetto di malattia mentale raccoglie l'eredità culturale della stregheria, contribuendo anch'esso a rassicurare una comunità, mediante l'identificazione di una norma sicura, quella della salute mentale, in base alla quale misurare, escludere, punire le deviazioni?

Consideriamo le caratteristiche sociali che il tipo più comune di strega presenta: contadina, anziana, spesso priva di protezioni, vedova, nubile, orfana, in una posizione già socialmente ambigua; spesso trasmette le sue conoscenze e i suoi poteri a figlie e nipoti. Risulta che una comunità trasforma in streghe gli individui già deboli ed emarginati, e risulta anche che la stregheria si trasmette ereditariamente, quasi come una professione.

Analizziamo la qualità dei “malefizi”: essi riguardano soprattutto la salute e la procreazione. E' legittimo pensare che la figura della strega mascheri quella della guaritrice di paese, che pratica una medicina empirica a base di erbe e che assiste in particolare, per antica funzione pratica e simbolica della donna, alla nascita e alla morte. In circostanze e occasioni particolari, per ragioni che quasi sempre ci sfuggono, la guaritrice cessa di essere vista come figura positiva e diventa il capro espiatorio della comunità.

E' possibile che questo atteggiamento di sfiducia e di sospetto sia favorito dalla nuova preoccupazione con cui si guarda, già nel XV secolo, alla mortalità infantile, per effetto di una lenta trasformazione della sensibilità familiare. Inoltre la Chiesa fin dal XIII secolo riduce sempre più la posizione della donna all'interno della gerarchia. Le donne sono progressivamente emarginate dal sacro, gestito ideologicamente dagli uomini e, contemporaneamente, temute come odiose portatrici di una magia o “sacertà” rovesciata. Non ammesse a svolgere le funzioni sacerdotali di mediazione tra gli uomini e Dio, vengono considerate mediatrici tra gli uomini e il diavolo.

Ripensiamo ai valori che la figura femminile ha, nello stesso periodo, in altri campi. Nella letteratura, poesia lirica, poemi, continua a essere dominante il tema amoroso, di remota ascendenza cortese: l'antifemminismo della caccia alle streghe, l'umiliazione corporale della visita e della tortura appare come il rovescio di quella sublimazione erotica del corpo femminile che ancora caratterizza il codice poetico del Cinquecento.

Dare risposte esaustive, che spieghino il fenomeno nella sua generalità, è probabilmente impossibile.

Il tipo stesso di fonti a cui attingiamo ci condiziona e ci limita: siamo informati su quel che si crede intorno alle streghe, soprattutto da parte di teologi, magistrati, medici, intellettuali, e non, direttamente, su quello che le streghe stesse pensano di sé, campo, questo, in cui si incontrerebbero probabilmente molte differenziazioni, a seconda dei periodi, dei territori e degli ambienti, campagna o convento o città. Le streghe parlano, per noi, solo attraverso le dichiarazioni rese ai processi, in situazioni perciò coercitive, da cui la loro fisionomia esce alterata, perché è evidente che, col proseguire degli interrogatori, esse si adattano al ruolo che viene loro attribuito, seguono la logica dell'inquisitore, finiscono per rispondere ciò che egli si aspetta di sentire.

Sulla questione sono intervenuti, negli ultimi due secoli, oltre agli storici, specialisti di molte discipline: storici della religione e teologi, studiosi del diritto e filosofi, antropologi, psichiatri, oggi anche psicologi e psicanalisti. E' stato un enorme errore giudiziario, reso possibile dal clima di intolleranza e di diffuso sospetto, perpetuato e, per così dire, “fissato” dall'accumularsi stesso della giurisprudenza relativa (confessioni, testimonianze, sentenze).

E' stata una pazzia collettiva e contagiosa, allucinazioni e deliri di imputati e testimoni, a cui si dà credito per ignoranza e superstizione, spiegazione tipica dell'Ottocento; oggi non possiamo più usare con tanta sicurezza la nozione di “pazzia”, possiamo però ancora interpretare come turbamenti psichici le confessioni delle streghe, che potrebbero essere sogni e fantasie di potere, compensazioni di una condizione umana che era in realtà dura e subalterna.

E' stata una persistenza di antichi culti precristiani: le contadine continuano in effetti ad esercitare pratiche magiche, che originariamente appartenevano ai riti agrari propiziatori di fertilità, ma per effetto della degradazione secolare subita dalla cultura contadina, esse stesse ormai li percepiscono come diabolici.Liberazione di una strega, dipinto di J.E.Millais, XIX sec

La ricerca storica sulla “caccia alle streghe” ha avuto un notevole incremento da parte delle storiche soprattutto dagli anni Settanta. La ricerca della storiografia femminista, ad esempio i lavori di Barbara Ehrenreich, mette in chiaro il nesso fra l'amplificarsi della mentalità scientifica e l'espropriazione delle donne dall'esercizio delle cure mediche; e ancora Luisa Muraro , autrice di uno dei primi studi italiani degli anni '70 sulla “caccia alle streghe”,

La signora del gioco, un testo singolare che oltre a contenere gli atti dei processi sollecita interrogativi inquietanti, mette in luce la coppia vittima-oppressore attraverso queste donne condannate: riportandoci a contatto con l'elaborazione del potere maschile, rimette in discussione i significati stabili della disparità sociale con quelli mai del tutto svelati della compartecipazione delle vittime alle richieste dei propri oppressori.

fonte:copernico-pv.it