“Sum ergo cogito”. Le neuroscienze e il nuovo “penso”

“Sum ergo cogito”. Le neuroscienze e il nuovo “penso”

“Sum ergo cogito”. Le neuroscienze e il nuovo “penso”Vi siete mai chiesti chi siete senza guardavi allo specchio? O come siano possibile il pensiero e la coscienza? Fin dalla notte dei tempi, moltissimi studiosi di ogni campo si sono interrogati sulla coscienza umana. Gran parte delle tesi avanzate dalle menti più geniali e profonde sembra sbattere sulla celebre frase di Cartesio “Cogito ergo sum”. Immaginarci senza pensieri è impossibile e su questo non ci sono divergenze, ma una domanda possiamo ancora farcela: che cosa si potrebbe oggi intendere per “Cogito”, quel “penso” Cartesiano che sembra racchiudere la coscienza di ogni persona?

Prendendo in esame tre affascinanti esperimenti, osserviamo come le neuroscienze, grazie alle tecnologie avanzate di ispezione celebrale, cercano di capire i meccanismi neurali che sottendono proprio alla nostra coscienza.

COME “PENSIAMO” IL MONDO CHE CI CIRCONDA – La rivista online PLoS Biology ha pubblicato una ricerca di Stanislas Dehaene, Lionel Naccache, Raphael Gaillard e altri collaboratori dell’INSERM. A dei pazienti epilettici sono stati impiantati degli elettrodi in profondità, permettendo una registrazione dell’attività cerebrale in attivo con una risoluzione spazio temporale mai ottenuta prima (la chirurgia su soggetti umani a scopi di ricerca è anti-etica, infatti quest’ultimo è un caso sanitario con lo scopo della cura del paziente). I ricercatori hanno presentato ai pazienti una serie di parole su un monitor, alcune mascherate e quindi non sono tangibili in maniera forte, altre non mascherate.

Si sono misurati l’attività cerebrale e il livello di consapevolezza alla visione delle parole, per rintracciare qual è l’evidenza empirica che distingue ciò che diviene coscienza e ciò che rimane nel pre-conscio. Spiega Lionel Naccache: «Questo lavoro suggerisce che una più matura concezione dei processi di coscienza non si deve attribuire ad un’unica zona, che se attivata o meno rende lo stimolo tangibile alla nostra coscienza, ma a diversi livelli di coattivazione neuronale». In parole povere non c’è un’unico motivo per cui uno stimolo ambientale diviene cosciente o rimane nel preconscio, ma più condizioni che devono essere soddisfatte. In entrambi i casi dell’esperimento, zone diverse del cervello si sono attivate, con maggiore o minore intensità.

LA COSCIENZA È NEL CAOS – In un articolo pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences un gruppo di ricercatori del Massachusetts General Hospital e del Massachusetts Institute of Technology descrive il cambiamento dell’attività neuronale, nel momento in cui i pazienti epilettici passano dallo stato di veglia allo stato di anestesia totale. Lo studio prevedeva una stimolazione acustica a cui i pazienti dovevano rispondere premendo un pulsante in tempi diversi, così da riconoscere il preciso momento in cui non erano più coscienti per farlo e analizzarlo tramite degli elettrodi impiantati nel cranio. In particolare, avveniva un cambiamento significativo nella struttura globale dell’attività cerebrale.

Mentre l’attività elettrica nel cervello cosciente è apparentemente disorganizzata e fluida e non mostra evidenti schemi regolari, nel momento in cui i soggetti perdevano conoscenza iniziava a mostrare oscillazioni regolari tra stati di attivazione e disattivazione in varie aree del cervello. In entrambi i casi il cervello è attivo, ma è proprio grazie a questo “caos” che, da cosciente, riesce a tenere a bada tutti gli stimoli: dal semplice camminare al pensare alla teoria della relatività, potendolo fare anche contemporaneamente. Ciò che elettricamente rintracciamo come disorganizzato in realtà è un’organizzazione talmente perfetta che i nostri mezzi per studiarla sembrano troppo grezzi per coglierne la perfezione.

IL TOTALE SUPERA LA SOMMA DELLE PARTI – Degli studi condotti dall’Hôpital de Hautepierre di Strasburgo e dell’Università di Cambridge, pubblicati ancora sul Proceedings of the National Academy of Sciences, descrivono la coscienza come una serie di connessioni. E’ stata osservata l’attività elettrica cerebrale in attivo su 17 pazienti in coma e 20 sani, analizzando nello specifico la connettività funzionale tra 417 regioni cerebrali mappandone le interazioni e i loro nodi focali. E’ come controllare in una rete autostradale quante macchine percorrono determinati tratti di strada, la loro densità e la loro frequenza.

Nei pazienti in coma molte delle proprietà globali della rete erano intatte. Solo esaminando l’organizzazione della rete a un livello più fine, osservando cioè il grado di connessione attribuibile ai singoli nodi, è stata scoperta una significativa anomalia: gli hub (nodi complessi di circuiti neuronali) che nei pazienti sani si rintracciarono più attivi erano segnalati con minor evidenza nei pazienti in coma e viceversa. Quindi, tornando all’esempio, il nostro stato di coscienza differisce dallo stato di incoscienza non tanto per le autostrade e neanche per il numero di macchine, ma per l’attività e l’afflusso in diversi svincoli autostrali (hub): le macchine che circolano ci sono sempre.

CONCLUSIONI – Da questi tre articoli non si evince cos’è o dov’è la coscienza, bensì cosa non è. Evidenziando come le nostre reti neurali restino comunque sempre attive e mutino il proprio funzionamento tra stato incosciente e stato cosciente, è palese che a renderci esseri pensanti la nostra attività celebrale nel suo complesso. Infatti, seppur vi sono evidenze dell’esistenza di centri nevralgici che ci rendono coscenti e pensanti, e che un mancato funzionamento di quest’ultimi crea l’incoscienza, non sembra esistere una vera e propria area della coscienza.

D’altro canto, si estrapola anche come un mancato funzionamento di alcune connessioni sia in grado di renderci dei vegetali, perdendo tutto ciò che ci rende delle persone coscienti. Quel “penso” cartesiano, ora, potrebbe essere inteso proprio come la nostra complessa attività cerebrale, quel prodotto evolutivo della specie umana, che ci permette di essere qualcosa di più della somma delle nostre parti.

Cartesio ci era andato vicino, nonostante la mancanza di tecnologia e i trecento anni che ci separano, ma se provassimo a invertire la sua celebre frase, “cogito ergo sum”, in “sum ergo cogito”, probabilmente questa acquisirebbe una connotazione più reale, dal momento che è la conformazione del nostro essere a rendere possibile il nostro pensiero, e non il contrario. Il “penso” cartesiano è ciò che regala la ricorsività, l’astrazione, la scrittura, il linguaggio, ecc. E che oggi ci dice che i nostri pensieri hanno più del caos che della regolarità.

Daniele Nugnes