Un laboratorio per la gravità quantistica

Il Giornale Online

Dragan Hajdukovic, un fisico montenegrino che collabora con il CERN, da qualche tempo propone una teoria potenzialmente in grado di spiegare l’universo senza ricorrere a materia ed energia oscure. Ora sembrerebbe aver trovato anche dove metterla alla prova: nella periferia del Sistema solare.

di Marco Malaspina

E se per illuminare quell’inquietante 96 percento d’universo oscuro che tanto imbarazza gli astrofisici fossero sufficienti un piccolo pianetino, Eris, e la sua minuscola luna Disnomia? L’ipotesi, pubblicata online su Astrophysics and Space Science nel novembre scorso, è di quelle da prendere con guanti e molle insieme. Ma è talmente affascinante che vale la pena ripercorrerne le tappe. A partire dal vuoto.

Nel ribollio del nulla

Il vuoto, stando alla fisica quantistica, tanto vuoto non sarebbe. Una fra le metafore alle quali spesso ricorrono gli scienziati per descriverlo è infatti quella della zuppa: un gorgoglìo incessante di particelle virtuali – coppie di materia e antimateria – che emergono dal nulla per poi annichilarsi a vicenda in un intervallo di tempo infinitesimale. Talmente breve da rendere la loro esistenza, per l’appunto, virtuale.

Virtuale fino a un certo punto, sostengono però alcuni. Secondo Dragan Hajdukovic, un fisico montenegrino che collabora con il CERN, queste particelle evanescenti potrebbero esibire – nel corso della loro inafferrabile esistenza – cariche gravitazionali opposte: attrattiva e repulsiva, dunque, un po’ come avviene per le cariche elettriche, che possono essere positive o negative.
Addio all’universo oscuro? Ma Dragan Hajdukovic si spinge oltre. Secondo la sua teoria, in presenza di un campo gravitazionale queste particelle virtuali darebbero origine a un campo ulteriore: un secondo campo gravitazionale, forse in grado di rendere conto, per esempio, della discrepanza fra la massa della materia ordinaria delle galassie e la loro curva di rotazione.

E c’è di più. Le cariche gravitazionali opposte, aggiunge Hajdukovic, potrebbero persino spiegare perché, nel nostro universo, galassie e ammassi di galassie sembrano allontanarsi l’uno dall’altro a velocità via via sempre più alte. Tradotto: se mai la sua teoria fosse confermata, in un sol colpo potremmo spostare nel cestino materia oscura ed energia oscura. Troppo bello per essere vero? Di certo troppo azzardato per lasciare correre la fantasia senza prima conferme osservative o sperimentali. Conferme straordinarie, come metteva in guardia Carl Sagan.

Una luna di nome Disnomia

Proprio per questo, l’aspetto più interessante del “modello Hajdukovic” è quello illustrato nel suo ultimo articolo, intrigante a partire dal titolo: [link=http://link.springer.com/article/10.1007%2Fs10509-012-1303-3]“Can observations inside the Solar System reveal the gravitational properties of the quantum vacuum?“[/link]. Per una conferma, o una disconferma, osservativa della sua straordinaria ipotesi non occorrerebbe guardare troppo lontano. Un buon laboratorio naturale per osservarne gli eventuali effetti si troverebbe infatti nella periferia del nostro Sistema solare. Là oltre Nettuno, lungo un’orbita alquanto eccentrica a qualche miliardo di chilometri dal Sole, nell’ottobre del 2003 venne avvistato il pianeta nano che mandò in disgrazia Plutone. Si chiama Eris, e con una massa di circa un quarto superiore all’ex nono pianeta del Sistema solare costrinse gli astronomi a declassare quest’ultimo al rango di “nano”, così da non ritrovarsi con un numero di pianeti in continuo aumento. Attorno a Eris orbita una minuscola luna (meno di 500 km di diametro), scoperta nel 2005 dai telescopi del Keck grazie all’ottica adattiva, il cui nome è tutto un programma: Disnomia, che era sì – nella mitologia di Esiodo – una delle figlie di Eris, ma è anche una grave forma d’afasia che porta a non ricordare nomi e parole.

Ebbene, proprio il suo nome potrebbe un giorno entrare a far parte di quelli che tutti ricordano: è infatti lungo il tracciato dell’orbita di Disnomia attorno a Eris che Hajdukovic spera di rinvenire le impronte della gravità quantistica. Ma perché proprio lì? Perché si tratta d’un sistema così distante dal Sole da risentire pochissimo degli effetti della relatività generale indotti dalla nostra stella, ma al tempo stesso abbastanza vicino e contenuto da poter essere studiato con precisione e in un arco di tempo relativamente breve. Così almeno ritiene Hajdukovic, che ha già fatto anche tutti i conti. Il metodo che intende utilizzare è quello della misurazione della precessione, lo stesso grazie al quale – applicandolo allo studio di Mercurio – nel secolo scorso si ottenne un’importante conferma della teoria della relatività generale di Einstein. Se dominasse la sola fisica newtoniana, calcola Hajdukovic, nel moto di Disnomia attorno a Eris la precessione dovrebbe essere di 13 arcosecondi per secolo. L’esistenza della gravità quantistica dovrebbe invece portare a un valore negativo: -190 arcosecondi, sempre in un intervallo di cento anni. Ora si tratta di capire se sia possibile e quali strumenti richieda la misurazione di un effetto così debole.

(INAF)
Immagine: Rappresentazione artistica del pianeta nano Eris e della sua luna Disnomia, con il Sole in lontananza. Crediti: Thierry Lombry / APOD NASA
Fonte: http://www.media.inaf.it/2013/01/25/eris-disnomia-quantum-gravity/