Abbiamo un “sesto senso” per il campo magnetico?

Abbiamo un “sesto senso” per il campo magnetico?
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Crediti immagine: Maxim Malinovsky / Getty Images

Uno scienziato statunitense è convinto che il corpo umano possa avvertire il campo magnetico. E vuole dimostrarlo.

Non è una qualità nuova agli scienziati. Si chiama magnetorecezione, e consiste nella capacità di avvertire il campo magnetico terrestre. La possiedono, tra gli altri, gli uccelli, le api e sembra anche i cani, che proprio in base all’orientamento del campo magnetico terrestre scelgono dove fare i propri bisogni.

La novità è che, forse, anche gli esseri umani possiedono questa sorta di sesto senso: ne è convinto, come racconta Eric Hand sul blog di Science, Joe Kirschvink, geofisico al California Institute of Technology (Caltech) di Pasadena.

Ma la sua ipotesi è ancora tutta da dimostrare.

Per ora, la cavia di Kierschvink è Keisuke Matsuda, uno dei suoi studenti, laureando in neuroingegneria alla University of Tokyo. Gli esperimenti che sta conducendo non sono complicati: Matsuda, sostanzialmente, viene sottoposto a elettroencefalogrammi periodici, che registrano le sue onde cerebrali, mentre è esposto a campi magnetici variabili generati da una serie di bobine in cui scorre corrente elettrica.

Si tratta di un metodo del tutto innovativo: finora, infatti, le prove della magnetorecezione erano state per lo più basate su osservazioni comportamentali – studiando, per esempio, alterazioni nelle abitudini animali correlate a variazioni nel campo magnetico. Perché gli scienziati, al momento, sanno che alcuni animali sono effettivamente sensibili al campo magnetico, ma non hanno idea di quali siano i meccanismi biochimici alla base di tale sensibilità. Un’indicazione è arrivata nel 2012, quando l’équipe di David Dickman, neurobiologo del Baylor College of Medicine di Houston, ha pubblicato un lavoro su Science mostrando che un gruppo di neuroni nell’orecchio interno dei piccioni si attiva in risposta a variazioni nella direzione, nella polarità e nell’intensità del campo magnetico.

La caccia ai magnetorecettori, sostanzialmente, è apertissima. Al momento, le idee sono due: una è che i campi magnetici inneschino reazioni chimiche in un particolare tipo di proteine, i criptocromi, presenti nella retina; secondo l’altra – quella sostenuta da Kirschvink –, i recettori trovati vicino al nervo trigemino, dotati di una sorta di aghi magnetici (cioè delle vere e proprie bussole celullari) sarebbero in grado, muovendosi, di aprire o chiudere i circuiti neurali. Dal momento che tali recettori si trovano anche negli esseri umani, l’ipotesi di Kirschvink è che anche la nostra specie sia in grado di avvertire il campo magnetico.

Gli esperimenti per provarlo sono iniziati alla fine del 2014. Kirschvink è stata la prima cavia; con Matsuda, il campione è arrivato a 19 soggetti. E lo scienziato sta ancora accumulando i dati: ci vorranno parecchie evidenze, prima di poter arrivare al punto di sottoporre la sua idea alla comunità scientifica tramite una pubblicazione peer-reviewed. Staremo a vedere.

Sandro Iannaccone

wired.it