Androidi

Il Giornale Online
“Non capivo perchè un replicante collezionasse foto.

Forse loro erano come Rachael: avevano bisogno di ricordi”.

(Dal film “Blade Runner”, di Ridley Scott)

Lo scrittore (nonché biochimico) di origine russa Isaac Asimov propose tre “regole d'oro” onde poter programmare e “disciplinare” nel migliore dei modi quelli che sarebbero stati, a suo avviso, gli amici più fedeli che l'uomo del futuro avrebbe mai avuto: i robots.

Queste tre regole vennero dall'ormai indiscusso “Maestro della fantascienza” così definite:

Prima regola: Un robot non dovrebbe mai in alcun modo assumere dei comportamenti che potrebbero nuocere agli esseri umani, o permettere agli stessi di danneggiarlo.

Seconda regola: Un robot dovrebbe obbedire sempre agli esseri umani (a meno che l'adempimento di tali ordini vada ad infrangere la prima regola).

Terza regola: Un robot dovrebbe sempre proteggere se stesso (a meno che l'adempimento di tale principio non vada ad infrangere la prima o la seconda regola).

Il Dr. Shuji Hashimoto, direttore del “Centro di robotica umanoide” alla Waseda University di Tokio (JP), sostiene che queste tre regole di Asimov potrebbero in qualche modo inibire il “potenziale” che gli androidi utilizzerebbero per il loro auto-sviluppo. L'intelligenza dei robot, ritiene Hashimoto, dovrebbe accrescere man mano che esso “invecchia”, ossia col passare del tempo, e quindi imparando attraverso esperienze, prove ed errori (un po' come accade con i cuccioli di qualsiasi specie animale).

Nel settembre del 2006, sulla rivista internazionale New Scientist, il Dr. Hashimoto espresse inoltre queste sue ulteriori opinioni: «Attualmente i robot più evoluti manifestano semplicemente una sorta di gioco del tipo “botta e risposta”, in cui viene simulata una certa sensibilità umana; dando così l'illusione a chi li osserva o interagisce con loro, che anch'essi hanno un cuore … ma essi ovviamente non hanno alcun cuore, sono solo delle macchine», aggiungendo infine che:

«Finché i robot obbediranno alle leggi di Asimov, non avremo mai delle macchine che si possano considerare dei veri e propri “partner” per gli esseri umani. Noi umani non dovremmo continuare a considerarci delle entità al centro di ogni cosa, dovremmo invece iniziare a stabilire un nuovo tipo di rapporto tra noi e le macchine». Delle opinioni che a mio avviso, appaiono del tutto discutibili.

Nei laboratori nipponici dell'IRC (Intelligent Robotics and Communication, un dipartimento dell'Istituto internazionale ATR; l'acronimo sta per Advanced Telecommunication Research), il Prof. Hiroshi Ishiguro ha recentemente (2006-2007) realizzato uno dei primi prototipi di robot umanoide (androide), costruito interamente “a sua immagine e somiglianza”. Cercando di spiegare i motivi di questa sua scelta nella progettazione di Geminoid H1-1, il Dr. Hishiguro ha fatto osservare che: «L'aspetto fisico degli androidi è importante; non possiamo ignorare l'effetto che esso produce sulla nostra psiche nel momento in cui avviene la comunicazione uomo-robot».

Hishiguro è praticamente un pioniere in questo ramo della scienza, i cui obiettivi sono quelli di unificare la ricerca sulla robotica tradizionale con gli sviluppi lenti ma sicuri della psicologia conoscitiva. «Il mio scopo», continua Ishiguro, «è quello di capire gli esseri umani costruendo gli androidi, l'uso pratico degli androidi, lo considero come una sorta di sottoprodotto».

Attualmente, gli androidi realizzati in vari istituti di robotica in Giappone, Corea e pochi altri stati del mondo non sono autonomi; debbono quindi essere continuamente alimentati o disporre di batterie in grado di rifornirli con una sufficiente quantità di energia che permetta loro di compiere tutti i movimenti necessari (ovvero una sorta di “gestualità umana”) ed “effetti audio” (vocali), onde poter simulare una vera è propria interazione con gli esseri umani circostanti.

Essi non possono ancora compiere delle riparazioni su se stessi, come neppure ragionare sulla loro stessa esistenza o su quella dell'intero Universo; non sono quindi da considerarsi (per ora…) degli esseri coscienti o senzienti.

Il Dr. Phillip McKerrow, esperto di robotica alla Scuola di Informatica e Tecnologia della Programmazione dell'Università di Wollongong, in Australia, riassume così le attuali capacità degli androidi: «Sono solo dei giocattoli assai costosi, con una destrezza ancora assai limitata e dotati di ben poca intelligenza».

Il Prof. Ishiguro, oltre all'androide denominato Geminoid H1-1, ne ha contemporaneamente realizzato un altro, con sembianze femminili, che risponde al nome di Repliee Q2. Questo androide, sviluppato all'Università di Osaka presso il Dipartimento di Robotica, è stato in origine modellato sulla base delle fattezze della figlia del Prof. Ishiguro, quando ella aveva circa quattro anni.

I suoi movimenti, orchestrati da una serie di 42 “azionatori pneumatici” (di cui 13 posti all'interno della testa), sono assai simili a quelli di un comune essere umano; l'androide, oltre a far fluttuare le proprie palpebre con movimenti rapidi e regolari, sembra addirittura che respiri.

Le videocamere omnidirezionali di cui dispone riconoscono inoltre le varie tipologie dei gesti umani; quali ad esempio un braccio che si solleva oppure dei piccoli cambiamenti di espressione sul volto di una persona ad esso vicina (in parole povere l'androide è in grado di distinguere un sorriso da un espressione di dolore, ad esempio; e di reagire quindi di conseguenza secondo dei criteri appropriati al caso). I delicati sensori fisiologici, incastonati nella pelle flessibile a base di silicone, sono invece in grado di rilevare il tocco ed altre sensazioni indotte.

I microfoni, collegati ad un sistema di riconoscimento vocale gli permettono di sentire e quindi di rispondere ad una domanda o ad un discorso umano. La voce di Repliee Q2 (come del resto quella di Geminoid H1-1) suona in modo assai realistico, nel senso che è decisamente paragonabile a quella umana; dove invece vi è ancora parecchio da lavorare è sull'articolazione delle frasi e dei discorsi, che per il momento non rispondono ai canoni dei modelli usuali del pensiero e del linguaggio umano. Come Geminoid, Repliee può rispondere soltanto (per ora) con una dozzina di parole, ed oltretutto non è in grado di rispondere adeguatamente, qualora si trovi in posti rumorosi (un problema riscontrabile in tutti i sistemi di riconoscimento vocale).

L'incapacità degli androidi di comunicare in modo intelligente con gli esseri umani è attualmente il loro handicap più grande. Nonostante siano in grado di discutere (in modo comunque assai limitato) su argomenti specifici, essi rimangono completamente spiazzati di fronte a discorsi più ampi di natura astratta-filosofica. In parole povere, essi sono ancora molto lontani dal superare la leggendaria prova di Turing.

Per il momento, le “membra” di questi androidi sono quasi interamente in alluminio; ma in futuro questo elemento verrà molto probabilmente sostituito con la fibra di carbonio. I muscoli artificiali, un'altra importante area di ricerca nel campo della tecnologia androide, attualmente tendono a consistere di dozzine (a volte centinaia) di motori elettrici a torsione retroattiva. Alcuni androidi sono dotati di compressori che alimentano i loro “muscoli ad aria” (tubi di gomma che si contraggono quando dell'aria ad alta pressione viene soffiata al loro interno.

Quando l'aria invece viene rilasciata, essi si distendono e si allungano). Degli esperimenti sull'utilizzo di nuovi materiali alternativi sono in corso; tra questi materiali, vi sono anche le fibre in nitinolo, una lega assai forte ma leggera, derivata dall'utilizzo di elementi quali nickel e titanio, e polimeri elettro-elastici in grado di “distendersi” e contrarsi. Assai incoraggiante invece è la ricerca sui muscoli artificiali, che comprendono delle lamine (o “fogli”) di nanotubi al carbonio, ovvero delle grandi molecole di forma cilindrica costituite da carbonio puro, con insolite proprietà elettriche e meccaniche.

Quando una tensione elettrica viene applicata gradualmente, gli ioni all'interno del carbonio si muovono tutti verso un solo lato, piegando così le lamine costituite da nanotubi; la velocità e il limite della curvatura delle lamine dipendono dalla quantità e dalla velocità con cui l'energia di alimentazione viene aumentata-incrementata. Quando non vi è alcun flusso di corrente, le lamine si distendono nuovamente e tornano così alla loro figura-sagoma originale.

Alcuni di questi materiali potrebbero venir impiegati in un futuro prossimo per realizzare-costruire le dita degli androidi (le fibre in nitinolo, ad esempio, possono piegarsi o allungarsi se vengono riscaldate da una corrente elettrica). I ricercatori del MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Cambridge (USA), dal canto loro, stanno sviluppando un tipo di pelle artificiale in grado di percepire un oggetto che scivoli attraverso le dita di un androide, e quindi di segnalare l'informazione ai centri di coordinamento motorio del robot umanoide, affinché possa reagire di conseguenza (eventualmente afferrando l'oggetto con la mano intera, per esempio).

I processori e i sistemi operativi che alimentano gli androidi variano ampiamente. Alcuni processori sono di tipo convenzionale, e adottano una tecnologia da PC (da un gigahertz o poco oltre), mentre altri, ma ben pochi, sono molto più evoluti. La maggior parte funzionano su sistemi operativi in tempo reale, come l'RT-Linux, ad esempio. Alcuni androidi comunicano addirittura “senza fili” con un calcolatore centrale, grazie al sistema bluetooth.

Moltissimi androidi funzionano grazie ad un'alimentazione principale (di rete), mentre solo alcuni sono quasi del tutto autonomi. Al laboratorio di Robotica di Bristol (GB), per esempio, si è riusciti a far funzionare dei dispositivi robotici, utilizzando delle particolari cellule di combustibile (microbiche), in grado di convertire l'energia chimica in elettricità. Anche se questi dispositivi non si possono certamente paragonare a degli androidi, e si muovono molto lentamente, essi comunque riescono ad “estrarre” la propria alimentazione dalla bio-massa (quali la frutta in decomposizione, ad esempio, ed altri alimenti).

Gli esperti di robotica prevedono che negli anni a venire i sistemi più avanzati (ovvero quelli che includeranno delle reti neurali, algoritmi genetici e logica incoerente) funzioneranno su un assorbimento di energia piuttosto piccolo, ma al contempo assai veloce, grazie a dei particolari processori, ognuno dei quali sarà in grado di effettuare delle specifiche operazioni “in parallelo” e di comunicare simultaneamente su delle reti, in cui l'informazione “scorrerà” in modo molto più rapido di come avviene attualmente.

Uno o più “processori guida” (centralizzati) sincronizzeranno e coordineranno molto probabilmente l'intero “labirinto” relativo alle funzioni di corpo e cervello. Non è da escludersi che un giorno i cervelli degli androidi possano funzionare grazie ad un'alimentazione che origini e prenda forma sulla base della computazione quantistica.

Un'altra promettente area di ricerca, già in corso in alcuni laboratori, coinvolge dei robot equipaggiati con dei particolari software (“rilevatori di umore”), in grado di fornir loro delle prime forme rudimentali di intelligenza “sociale” ed emotiva. Dotare gli androidi di “emozioni personali” potrebbe essere essenziale, se essi un domani dovessero trasformarsi in macchine senzienti e artificialmente intelligenti (nel qual caso non potrebbero più essere classificabili come macchine).

Il neuroscienziato Antonio Damasio sostiene che, negli esseri umani, ragione ed emozione sono inestricabilmente collegate; un concetto, questo, che forse potrebbe venir relazionato anche all'intelligenza artificiale. La ricerca si sta inoltre intensificando nel campo dell'auto-apprendimento; ovvero sui sistemi robotici in grado di imparare autonomamente nuove forme di comportamento e di analisi dell'informazione (alcuni credono che questa sia la strada migliore, per poter superare un giorno il test di Turing).

Tutto questo conduce ad una domanda intrigante: potrebbe un androide, che abbia sviluppato una determinata capacità di auto-apprendimento, e in cui fossero insiti i “semi” di un'intelligenza emotiva, sorprendere un giorno i relativi costruttori, manifestando delle qualità e dei comportamenti inattesi, quali ad esempio alcuni vizi o virtù umane?

Bè, non dimentichiamo che da un punto di vista fisico-matematico, oltre una determinata soglia di complessità, per qualsiasi sistema dinamico che venga considerato, possono comparire delle proprietà inattese, in modo assolutamente brusco e casuale. Sicuramente siamo ancora ben lontani dalla realizzazione di intelligenze artificiali paragonabili a quella umana; oltretutto non siamo in grado di prevedere gli sviluppi a lungo termine che tali intelligenze non umane, attualmente agli albori, potranno rivelare in futuro. Solo col tempo quindi, scopriremo se alcuni film di Hollywood degli anni '80 (come “Terminator”, ad esempio) contenessero già qualcosa di profetico oppure no.

“Le scienze,ognuna tesa nella propria direzione,finora non ci hanno nuociuto gran che;ma un giorno,il confluire di frammenti di conoscienza dissociati schiuderà panorami della realtà talmente terrificanti…che o impazziremo per la rivelazione,o fuggiremo dalla sua luce mortale,cercando rifugio nella pace e nella sicurezza di nuovi secoli bui”.
di H.P. Lovecraft

Il rapporto uomo-androide e rispettivi segnali di “Riconoscimento Inconscio”

Nell'interazione tra robot ed esseri umani, sia il movimento che l'aspetto fisico sono da considerarsi degli aspetti fondamentali per i robot. Il Dr. M. Mori, già nel 1970, aveva ipotizzato una sorta di “zona di non-controllo psico-fisico” (da egli stesso denominata: “Valle dell'Imprudenza”), in grado di descrivere il rapporto che sussiste tra l'aspetto fisico di un robot (o di un androide) e il tipo di sensibilità che quest'ultimo può produrre negli esseri umani.

Nella progettazione e nello sviluppo di robot umanoidi in grado di interagire con un certo “successo” con gli esseri umani, è necessario quindi conoscere la struttura della “Valle dell'Imprudenza”.

Gli esseri umani manifestano dei comportamenti inconsci quando interagiscono con altri esseri umani; si presume quindi che l'uomo possa esternare tali comportamenti, anche in presenza di robot con sembianze umane (androidi), dotati di una certa intelligenza. Ipotizzando questo, è possibile modificare i movimenti e l'aspetto fisico dei robot, onde poter studiare i rispettivi cambiamenti comportamentali inconsci sugli esseri umani. In questo modo, si esplora quindi la “Valle dell'Imprudenza” (dall'inglese Uncanny Valley).

Studiando un determinato tipo di comportamento inconscio, in cui il maggior peso si è dato allo sguardo, è stato scoperto che i movimenti dell'occhio vengono usati per trasmettere dei segnali “sociali” durante la conversazione. Ciò che si è osservato in particolare è che gli esseri umani, quando pensano ad una risposta, tendono a distogliere lo sguardo da chi ha posto loro la domanda.

Delle ricerche fatte su tre tipi differenti di soggetti con il compito di porre una domanda, ovvero su un essere umano, un androide e un comune robot dall'aspetto metallico-meccanico, hanno messo in luce che il soggetto interrogato rivolge il proprio sguardo sulla parte sinistra del volto di chi gli ha posto la domanda (questioner), per un lungo tempo nel caso di un “questioner” umano o androide.

Nel caso invece di un “questioner” dall'aspetto metallico-meccanico, il soggetto interrogato tende a guardare verso il basso. Emerge quindi una differenza significativa in mezzo a questi due comportamenti. Ciò che è stato possibile dedurre da questo semplice esperimento è che un “questioner” androide viene inconsciamente trattato come un “questioner” umano.

In generale si potrebbe quindi affermare che un robot meccanico venga trattato in modo assai diverso, rispetto a un robot con sembianze umane, dalla maggior parte degli esseri umani. Tali risultati si stanno attualmente trasformando in indizi da correlare alla “Valle dell'Imprudenza” e presto potrebbero contribuire al progresso della comunicazione tra androidi ed esseri umani.

Un problema significativo per lo sviluppo degli androidi è appunto la “Valle dell'Imprudenza” (suggerita all'inizio degli anni '70 dal Dr. M. Mori). Nel grafico riportato qui sopra è indicato il rapporto fra la somiglianza di un robot ad un essere umano (Similarity) e la percezione di familiarità del soggetto in questione (Familiarity). Dal grafico si evince che la familiarità del robot aumenta in modo più o meno proporzionale alla somiglianza, fino a che non viene raggiunto un certo punto, in cui le “imperfezioni” inducono il robot a sembrare repulsivo. Questa “goccia improvvisa” è stata chiamata: “Uncanny Valley” (italianizzando il tutto: “Valle dell'Imprudenza”).

Un robot che si trovi nella “Uncanny Valley”, potrebbe apparire, agli occhi di un essere umano, addirittura come una salma, come un cadavere. Gli scienziati che si occupano di robotica, impegnati nella costruzione di androidi sempre più simili all'uomo (sotto tutti i punti di vista), dovranno quindi tener sempre presente l'eventualità che i loro “prodotti” possano “cadere” nella “Uncanny Valley” (a causa di determinate imperfezioni nell'aspetto fisico); di conseguenza, essi dovranno adottare una metodologia che sia in grado di oltrepassare questa “Valle”, onde poter ovviare a questo problema.

di Fausto Intilla http://www.oloscience.com/

fonte:pesanervi.diodati.org