Antipredazione organi: anche sui NON donatori!

Il Giornale Online
RICORSO IN CASSAZIONE
ROCCO BARLABA' CONTINUA A VIVERE NEI TRIBUNALI
I genitori si opposero all'espianto del figlio 16enne, i medici vantarono di poter superare l'opposizione all'espianto/trapianto con l'autopsia. La Lega Nazionale Contro la Predazione stigmatizzò quell'autopsia a cuore battente, minacciata, come illegale e quindi criminale secondo le leggi vigenti

Un braccio di ferro che dura dal giugno del 1994 quando Rocco uscito da scuola cade dalla bicicletta e viene ricoverato al Martini Nuovo di Torino (08.06.1994). Lo stesso pomeriggio è considerato in “coma irreversibile” e vengono chiesti i suoi organi per trapianto. La famiglia si oppone con fermezza, l'intero paese di Grugliasco (TO) si solleva per fermare il bisturi. Amici e parenti in angoscia additano pubblicamente l'atteggiamento aggressivo dei sanitari conseguente al rifiuto degli organi.

Il prof. Gorgerino, all'epoca primario della Rianimazione e presidente dell'Aido Piemonte, durante un convegno dei Lions “sui trapianti d'organo” a Torino Esposizioni (11.06.1994), racconta la storia di Rocco ai giornalisti e Rocco finisce sui TG la sera stessa e sui quotidiani nazionali il giorno dopo, insieme alle dichiarazioni del primario e di altri medici in merito ad un presunto diritto d'autopsia sul “morto cerebrale” (a cuore battente) che permetterebbe loro di “forzare la legge” e di superare il veto dei genitori.

Forte l'impatto delle parole di Gorgerino, riportate dalla stampa: “..per un 'no' quattro persone sono state condannate a morte..” e dei genitori “I medici hanno insistito, ce l'hanno chiesto quattro volte, e ci hanno detto come se fosse una minaccia che se il magistrato avesse ordinato l'autopsia il prelievo degli organi sarebbe stato possibile anche contro la nostra opinione”. Si sviluppa immediatamente un'accesissima polemica a livello nazionale: nasce il caso Barlabà.

Gorgerino cita ai giornalisti, come più tardi ai magistrati, l'art. 10 del DPR 409 del '77 privo di una parte per renderlo funzionale all'espianto autoritario, con ciò destrutturando la conoscenza della legge e seminando il panico sull'efficacia dell'opposizione. Al contrario né i giudici, né i medici possono negare o cancellare il diritto d'opposizione all'espianto sancito dalla legge e dal diritto alla personalità, né imporre riscontri diagnostici ed autopsie su di un non-donatore sotto ventilazione.

Quindi inevitabile e doveroso l'intervento della Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi e la Morte a Cuore Battente che manda un fax-appello sia alla Rianimazione che al Direttore Sanitario, e in copia alla Procura, in questi termini: “…Il ventilato ricorso all'autopsia a cuore battente e al prelievo autoritario da voi vantato a norma dell'art. 10 del DPR 409/77, è in assoluto fraudolento e illegale in quanto l'art.10 si riferisce a riscontri diagnostici e ad autopsie medico legali ai sensi della Legge 83 del 1961 (quando non c'era la morte cerebrale)….

Tale autopsia autoritaria si riferisce solo a soggetti dopo la morte tradizionale in arresto cardiocircolatorio e respiratorio (freddi stecchiti). Estendere l'art. 10 ai soggetti in coma cosiddetto irreversibile (caldi e pulsanti) è incostituzionale oltre che illegale e criminale”. Questo è il vero nucleo dell'intervento della Lega Antipredazione, seguito da appelli alla Procura affinché ciò non succedesse e si indagasse sulle condizioni di Rocco che la stampa diceva “morto cerebrale” dal primo giorno di ricovero ma che era ancora in rianimazione dopo 6 giorni.

Nel gennaio 1996, dopo quasi due anni, giunge sia alla Lega Antipredazione che alla presidente Negrello citazione per danno all'immagine del prof. Gorgerino, sulla base di parole estrapolate da nostri testi complessi in materia sanitario/legislativa, scritti alle autorità in tempi precedenti e posteriori alla morte di Rocco.

Un'odissea di udienze e testimonianze che dura 5 anni. Gorgerino ammette di avere già ef-fetuato, in precedenza, l'espianto nonostante l'opposizione, utilizzando il ricorso all'autopsia a cuore battente (caso Farolfi del '87 già oggetto di accesissimo dibattito nazionale).

Nella sentenza di 1° grado (17/05/2000) il giudice monocratico riconosce la sussistenza dell'interesse pubblico della materia, ma considera gli appelli della Lega Antipredazione come denunce dell'operato dei medici. Questo travisamento dà materia per sostenere l'assenza della “verità dei fatti” e la carenza dell' “accertamento della verità” da parte nostra, motivando con il fatto che Rocco in definitiva non è stato espiantato. Quindi nonostante la pacifica sussistenza dell'interesse pubblico, la sentenza di I grado condanna sia la Lega Antipredazione che Negrello al risarcimento di 30 milioni di lire più le spese (a fronte di una richiesta del sanitario di 100 milioni di lire).

La Corte d'Appello, si trova di fronte ad una sentenza di 1° grado che, per propria ammissione, ulteriormente condensa le frasi estrapolate dai nostri appelli, sovvertendone l’ordine cronologico ed affastellandole in un “concentrato”, senz’altro d’effetto ma non veritiero e ignorando in buona parte le argomentazioni dell'appello proposto dalla Lega Antipredazione, accoglie tutte le valutazioni del giudice di 1° grado.

Inoltre elude la grave realtà della minacciata autopsia a cuore battente, al fine dell'espianto su NONdonatore, causa prima del nostro intervento alla Procura e sulla stampa. Risulta invero sconcertante che né il 1° grado, né il 2° grado abbiano dato risposta alle nostre reiterate segnalazioni circa la volontaria omissione di parte dell'art.10 del DPR 409/77 perfino nelle citazioni processuali.

E' interessante notare fra l'altro come secondo la Corte d'Appello “Quanto alla mancata attivazione di una équipe, atta a dichiarare la morte cerebrale (su Rocco), essa non doveva essere attivata posto che non si è proceduto all'espianto di organi”; interpretazione in contrasto non solo con ciò che è previsto dalla legge, ma anche con l'interpretazione diffusa dal Ministero della Sanità, come facilmente riscontrabile nel sito ministeriale.

Di fatto Rocco è stato considerato “morto cerebrale” senza l'accertamento di legge obbligatorio. La Corte rigetta l'appello e conferma la sentenza di primo grado (pubblicata 16.05.2006): il risarcimento già ad oggi ammonta a 43.830,60 Euro. D'obbligo quindi il ricorso in Cassazione per violazione di legge e per omessa e insufficiente motivazione.
Col ricorso in Cassazione l'avv. Monica Della Gatta del foro di Torino, che già aveva governato la difesa nei precedenti gradi, chiede in via principale di cassare senza rinvio la sentenza di primo grado, decidendo che nulla è dovuto dalla Lega Antipredazione e da Negrello al prof. Gorgerino o, in via subordinata, di cassare la stessa con rinvio alla Corte d'Appello.

CONSIGLIO DIRETTIVO
Presidente
Nerina Negrello

fonte:antipredazione.org