Campi Magnetici Cosmici


Dati sul campo magnetico della Galassia Whirlpool, M51. Credit: MPIfR Bonn

di Steve Nerlich

Parlando di campi magnetici in scala cosmica si incontra facilmente un fastidioso silenzio in alcuni circoli astronomici e dopo un po di colpi di tosse, la discussione si sposterà su argomenti più sicuri. Comunque rimangono la fuori. Probabilmente giocano un ruolo nell'evoluzione galattica, se non nella formazione galattica e sono certamente una caratteristica del medium interstellare e intergalattico. Si attende la prossima generazione di radio telescopi, come il LOFAR (Low Frequency Array) e lo SKA (Square Kilometre Array) che potrebbero farci ottenere una mappa di questi campi con un dettaglio senza precedenti, quindi anche se risultasse che incidano poco nella cosmologia in larga scala, vale comunque la pena di dare un'occhiata. A livello stellare i campi magnetici fanno parte della formazione delle stelle, permettono ad una protostella di scaricare momento angolare. Essenzialmente la rotazione della protostella viene rallentata da un trascinamento magnetico contro il disco di accrescimento circostante e ciò permette alla protostella di catturare più massa.

A livello galattico, i dischi di accrescimento attorno ai buchi neri di dimensione stellare, creano dei getti che iniettano materiale ionizzato caldo nel medium interstellare, mentre i buchi neri centrali supermassicci possono creare getti che iniettano tale materiale nel medium intergalattico. Nelle galassie, i campi magnetici “seme” possono nascere dal flusso turbolento di materiale ionizzato, magari ulteriormente incentivato da esplosioni di supernove. Nelle galassie discoidali, tali campi seme possono essere ulteriormente amplificati da un effetto dinamo che nasce dall'attrazione nel flusso rotazionale dell'intera galassia. Tali campi magnetici in scala galattica spesso vengono osservati nel formare schemi a spirale lungo una galassia e mostrano anche alcune strutture verticali nell'anello galattico.

Simili campi seme posso apparire nel medium intergalattico o almeno nel medium intracluster. Non è chiaro se i grandi vuoti tra i gruppi di galassie contengano una densità sufficiente di particelle cariche per generare campi magnetici significativi. I campi seme nel medium intracluster può essere amplificato da un certo grado di flusso turbolento guidato dai getti di un buco nero supermassiccio, ma in assenza di altri dati, dobbiamo assumere che tali campi possano essere più diffusi e disorganizzati di quelli osservati nelle galassie. La forza dei campi magnetici intracluster ha una media di circa 3×10^-6 gauss (G), che non è molto. I campi magnetici della Terra hanno una media di 0.5G e un magnete da frigorifero arriva a 50G. Comunque questi campi intracluster offrono l'opportunità di ricostruire interazioni passate tra galassie o gruppi di galassie (come collisioni o fusioni) e forse di determinare quale ruolo hanno avuto i campi magnetici nell'universo primordiale, particolarmente rispetto alla formazione delle prime stelle e galassie.

I campi magnetici possono essere identificati indirettamente tramite vari fenomeni:
– La luce ottica è parzialmente polarizzata dalla presenza di polveri attirate in un particolare orientamento da un campo magnetico e quindi la luce passa solo in un certo piano;
– In grande scala, la rotazione di Faraday entra in gioco, dove il piano della luce già polarizzata ruota in presenza di un campo magnetico;
– L'effetto Zeeman, dove le linee spettrali, che normalmente identificano la presenza di elementi come l'idrogeno, possono sdoppiarsi nella luce passata attraverso un campo magnetico

Indagini ad ampia angolazione o di tutto il cielo delle fonti di radiazione di sincrotone (come pulsar e blazar) permettono la misurazione di una griglia di punti, che possono essere sottoposti a rotazione di Faraday, a causa dei campi magnetici in scala intergalattica o intracluster. E' stato anticipato che l'alta risoluzione offerta dallo SKA, permetterà osservazioni dei campi magnetici nell'universo primordiale fino ad un redshift di circa z=5, fornendoci una visione dell'universo di 12 miliardi di anni fa.
Ulteriore lettura: Beck, R. Cosmic Magnetic Fields: Observations and Prospects http://arxiv.org/pdf/1104.3749v1

Fonte: http://www.universetoday.com/85087/astronomy-without-a-telescope-cosmic-magnetic-fields/