Ecco un cervello sotto l’effetto di funghi allucinogeni

Ecco un cervello sotto l’effetto di funghi allucinogeni
funghi allucinogeni
(immagine: Petri et al./Proceedings of the Royal Society Interface)

Non è ancora chiaro come nasca l’esperienza soggettiva che chiamiamo coscienza. È opinione comune tra i neuroscienziati che non emerga comunque da una singola regione del cervello, quanto piuttosto dal complesso network di connessioni che si stabiliscono tra le diverse aree del nostro sistema nervoso. Per questo, un team di ricercatori italiani e inglesi ha deciso di sviluppare un nuovo approccio matematico, in grado di caratterizzare non solo il funzionamento dei network, ma anche i “network di network”, o “meta-network”, ovvero le connessioni che si stabiliscono tra aree del cervello in relazione tra loro e altri network funzionali del nostro cervello. I risultati del loro studio, pubblicati sulla rivista Proceedings of the Royal Society Interface, non sono forse sufficienti per svelare definitivamente l’origine della coscienza, ma ci offrono comunque un’informazione interessante: un grafico, visibile qui sopra, che illustra le differenze tra un cervello normale e uno sotto l’effetto della psilocibina, il principio attivo dei funghi allucinogeni.

Un grafico aiuta a comprendere le differenze tra un cervello normale e uno sotto effetto della psilocibina, il principio attivo dei funghi allucinogeni

Come spiegano gli autori della ricerca, l’utilizzo della psilocibina nello studio è stato puramente strumentale. “Un cervello normale è costantemente in attività, ed è impossibile capire cosa succeda precisamente o di cosa sia responsabile ogni area che vediamo attivarsi”, spiega su Wired.com Giovanni Petri, ricercatore dell’Institute for Scientific Interchange di Torino che ha partecipato allo studio. “Per questo motivo abbiamo deciso di perturbare lo stato di coscienza, e vedere cosa succedeva”. Per farlo, ovviamente, i ricercatori hanno scelto i funghi allucinogeni. La psilocibina è stata somministrata a 15 volontari, che sono stati poi sottoposti a risonanza magnetica funzionale per fotografare il funzionamento del loro cervello. Le immagini così ottenute sono quindi state messe a confronto con quelle altri volontari che non avevano ricevuto la sostanza, ma solamente un placebo, per verificare la presenza di differenze nel funzionamento del loro cervello.

Attraverso un’analisi statistica dei risultati, i ricercatori hanno quindi ottenuto i due grafici che avete visto più in alto. Il cerchio di sinistra rappresenta il cervello di una persona normale, mentre a destra è visibile quello di un soggetto sotto funghi allucinogeni. I pallini colorati e le linee che li congiungono rappresentano invece rispettivamente i network particolarmente ricchi di connessioni (e non quindi singole aree del cervello), e le loro relazioni con gli altri network presenti nel cervello. Come è facile notare dall’immagine, sotto effetto dei funghi si assiste ad un improvviso aumento di connessioni tra i network neurali. Una moltiplicazione delle comunicazioni tra le aree del nostro cervello, che non genera però una situazione caotica ma, come spiega Petri, un nuovo ordine maggiormente interconnesso.

“Possiamo solo speculare su quali siano gli effetti di una tale organizzazione”, scrivono infatti gli autori dello studio. “Uno dei possibili effetti collaterali dell’aumento di connessioni all’interno del cervello è ad esempio il fenomeno della sinestesia”, ovvero l’esperienza, comune sotto effetto di droghe psichedeliche, di sentire qualcosa con un altro senso: gustare un colore, vedere un odore, tastare un suono, e così via. Il livello di rappresentazione raggiunto nello studio, spiegano i ricercatori, è ancora troppo astratto per sperare di comprendere cosa accada realmente nel cervello. L’obbiettivo per i prossimi anni è quello di raggiungere una rappresentazione più potente, che riesca a descrivere le connessioni non in modo bidimensionale, ma tridimensionale (più accurato), lungo un periodo di tempo maggiore, e utilizzando un maggiore numero di droghe. In questo modo, i ricercatori sperano di avvicinarsi un po’ di più a comprende in che modo la coscienza emerga dal funzionamento del nostro cervello.

Simone Valesini

wired.it