Come la Cina sta riscrivendo il libro delle origini dell’uomo

Come la Cina sta riscrivendo il libro delle origini dell’uomo
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Wikimedia Commons

I resti fossili di antichi ominidi scoperti in Cina mettono in dubbio il modello della progressione dall’Homo erectus africano all’uomo moderno finora più accreditato dai paleoantropologi occidentali. Questi resti mostrano infatti che, tra 900.000 e 125.000 anni fa circa, l’Asia orientale brulicava di ominidi dotati di caratteristiche che li collocherebbero tra Homo erectus e Homo sapiens, riportando il continente al centro dell’evoluzione umana.

Alla periferia di Pechino, una piccola montagna di calcare chiamata Dragon Bone Hill si erge dal territorio circostante. Sul lato nord, un sentiero porta ad alcune grotte recintate che attraggono 150.000 visitatori ogni anno, dagli scolari ai pensionati. Fu qui che, nel 1929, alcuni ricercatori scoprirono un antico cranio quasi completo, poi datato a circa mezzo milione di anni fa. Soprannominato Uomo di Pechino, era tra i più antichi resti umani mai scoperti, e contribuì a convincere molti ricercatori che l’evoluzione dell’umanità ebbe inizio in Asia.

Da allora, la centralità dell’Uomo di Pechino si è offuscata. Anche se i moderni metodi di datazione hanno collocato il fossile in un’epoca ancora precedente, circa 780.000 anni fa, il campione è stato eclissato dalle scoperte fatte in Africa di resti molto più antichi dei nostri remoti parenti umani. Questi reperti hanno decretato che l’Africa fu la culla dell’umanità, il luogo da cui gli esseri umani moderni e i loro predecessori si sparsero in tutto il mondo, relegando l’Asia al ruolo di vicolo cieco evolutivo.

Ma la storia dell’Uomo di Pechino ha ossessionato generazioni di ricercatori cinesi, che hanno cercato strenuamente di capirne il rapporto con gli esseri umani moderni. “È una storia senza fine”, dice Wu Xinzhi, paleontologo dell’Istituto di Paleontologia dei vertebrati e di Paleoantropologia (IVPP) dell’Accademia Cinese delle Scienze di Pechino. L’interrogativo è se il destino dei discendenti dell’Uomo di Pechino e degli appartenenti alla specie Homo erectus sia stato l’estinzione oppure l’evoluzione in una specie più moderna, e se queste due specie abbiano contribuito al pool genetico della Cina di oggi.

Desiderosa di andare a fondo della questione della discendenza del proprio popolo, negli ultimi dieci anni la Cina ha intensificato gli sforzi per scoprire prove dei primi esseri umani in tutto il paese. Si stanno rianalizzando vecchi reperti fossili e investendo in scavi decine di milioni di dollari l’anno. E il governo sta allestendo presso l’IVPP un laboratorio da 1,1 milioni di dollari per estrarre e sequenziare DNA antico.

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Ricostruzione del cranio dell’Uomo di Pechino, conservata al Museo di Paleozoologia della capitale cinese (Wikimedia Commons)

L’investimento arriva in un momento in cui paleoantropologi di tutto il mondo stanno iniziando a prestare maggiore attenzione ai fossili asiatici e al loro rapporto con gli altri ominidi arcaici, creature imparentate più strettamente con gli esseri umani che con gli scimpanzé. Reperti cinesi e di altre parti dell’Asia hanno messo in chiaro che il continente era una volta abitato da una strabiliante varietà di specie di Homo. E stanno sfidando le idee convenzionali sulla storia evolutiva dell’umanità.

“Molti scienziati occidentali tendevano a vedere i fossili e i manufatti asiatici attraverso il prisma di quanto stava accadendo in Africa e in Europa”, sottolinea Wu. “Storicamente, negli studi di evoluzione umana, questi continenti hanno attirato più attenzione, perché i fossili che vi sono stati scoperti sono molto antichi e anche perché sono più vicini ai principali istituti di ricerca di Paleoantropologia”, spiega. “Ma è sempre più chiaro che molti materiali asiatici non possono trovare posto nel tradizionale racconto dell’evoluzione umana”.

Chris Stringer, paleoantropologo del Museo di Storia Naturale di Londra, è d’accordo. “L’Asia è stata un continente dimenticato”, spiega. “Il suo ruolo nell’evoluzione umana potrebbe essere stato in gran parte misconosciuto”.

Una storia in evoluzione

Nella sua forma tipica, la storia di Homo sapiens comincia in Africa.

I dettagli esatti variano da un racconto all’altro, ma i personaggi e gli eventi principali in generale rimangono gli stessi. E il titolo è sempre “Out of Africa”.

In questa visione standard dell’evoluzione umana, H. erectus si evolse lì per la prima volta più di due milioni di anni fa (si veda su “Nature” l’infografica Two routes for human evolution). Poi, un po’ prima di 600.000 anni fa, diede vita a una nuova specie: Homo heidelbergensis, i cui resti più antichi sono stati trovati in Etiopia. Circa 400.000 anni fa, alcuni individui di H. heidelbergensis lasciarono l’Africa, separandosi in due rami: uno si avventurò nel Medio Oriente e in Europa, dove si evolse nell’uomo di Neanderthal; l’altro si spostò verso est, dove dette vita all’uomo di Denisova, un gruppo scoperto in Siberia nel 2010. Circa 200.000 anni fa, la popolazione di H. heidelbergensis rimasta in Africa infine diede origine nella nostra specie, Homo sapiens. Poi questi primi esseri umani si diffusero verso l’Eurasia 60.000 anni fa, dove sostituirono gli ominidi locali con un tasso minimo di incroci.

Un tratto distintivo di H. heidelbergensis, il potenziale antenato comune di Neanderthal, Denisova ed esseri umani moderni, è il mix di caratteristiche primitive e moderne. Così come le linee filogenetiche più arcaiche, H. heidelbergensis ha una cresta sopraccigliare massiccia ed è privo di mento. Ma assomiglia anche a H. sapiens, con i suoi piccoli denti e la sua scatola cranica di grandi dimensioni. La maggior parte dei ricercatori ha visto H. heidelbergensis, o i suoi simili, come una forma di transizione tra Homo erectus e Homo sapiens.

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Ricostruzione di un individuo di sesso femminile di H. erectus conservato presso la Smithsonian Museum of Natural History di New York (Wikimedia Commons)

Purtroppo, le prove fossili di questo periodo, l’alba del genere umano, sono scarse e spesso ambigue. E’ l’episodio dell’evoluzione umana meno compreso, dice Russell Ciochon, paleoantropologo dell’Università dell’Iowa. “Ma è fondamentale per la nostra comprensione dell’origine ultima dell’umanità”.

Il racconto è ulteriormente confuso dai fossili cinesi analizzati negli ultimi quattro decenni, che mettono in dubbio la progressione lineare dall’Homo erectus africano all’uomo moderno. Essi mostrano infatti che, tra 900.000 e 125.000 anni fa circa, l’Asia orientale brulicava di ominidi dotati di caratteristiche che li collocherebbero tra Homo erectus e Homo sapiens, dice Wu (si veda su “Nature” l’infografica Ancient human sites).

“Quei fossili sono un grande mistero”, dice Ciochon. “Rappresentano chiaramente una specie più progredite rispetto a H. erectus, ma nessuno sa che cosa sono, perché non sembrano rientrare in alcuna categoria nota”.

Le caratteristiche transitorie dei fossili hanno stimolato ricercatori come Stringer ad associarli a H. heidelbergensis. Poiché la più antica di queste forme, due crani scoperti a Yunxian, nella provincia di Hubei, risalgono a 900.000 anni fa, Stringer suggerisce anche che H. heidelbergensis potrebbe aver avuto origine in Asia per poi diffondersi in altri continenti.

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Probabile aspetto di H. heidelbergensis (WIkimedia Commons)

Ma molti ricercatori, tra cui la maggior parte dei paleontologi cinesi, sostengono che i materiali provenienti dalla Cina sono diversi dai fossili di H. heidelbergensis europei e africani, nonostante alcune apparenti somiglianze. Un cranio quasi completo scoperto a Dali, nella provincia dello Shaanxi, e datato a 250.000 anni fa, ha una scatola cranica più grande, una faccia più corta e uno zigomo più basso rispetto alla maggior parte dei campioni di H. heidelbergensis, suggerendo che la specie fosse più progredita.

Queste forme di transizione persistettero in Cina per centinaia di migliaia di anni, fino a quando comparvero specie con caratteristiche così moderne da essere classificate da alcuni ricercatori come Homo sapiens. È il caso di due denti e una mandibola inferiore risalenti a circa 100.000 anni fa, ritrovati nel 2007 da Liu Wu, paleoantropologo dell’IVPP, e dai suoi colleghi. Scoperta nella Zhirendong, una grotta nella provincia di Guangxi, la mascella ha un classico aspetto umano moderno, ma conserva alcune caratteristiche arcaiche dell’uomo di Pechino, come una struttura più robusta e un mento meno sporgente.

La maggior parte dei paleontologi cinesi e un paio di ardenti sostenitori occidentali pensano che i fossili di transizione siano la prova che l’uomo di Pechino fosse un antenato dei popoli asiatici moderni. In questo modello, noto come multiregionalismo o continuità con incroci, ominidi discesi da H. erectus in Asia si incrociarono con i gruppi in arrivo dall’Africa e da altre parti dell’Eurasia, e la loro progenie diede origine agli antenati dei moderni asiatici orientali, dice Wu.

Il supporto a questa idea nasce anche da manufatti scoperti in Cina. In Europa e in Africa, gli utensili in pietra sono cambiati notevolmente nel corso del tempo, ma gli ominidi della Cina hanno utilizzato lo stesso tipo di semplici strumenti in pietra da circa 1,7 milioni di anni fa a 10.000 anni fa. Secondo Gao Xing, archeologo dell’IVPP, ciò suggerisce che gli ominidi locali si sono evoluti di continuo, con una scarsa influenza delle popolazioni che provenivano da fuori.

Una questione politica?

Alcuni ricercatori occidentali ritengono che vi sia un po’ di nazionalismo nell’appoggio dei cinesi all’ipotesi della continuità. “I cinesi non accettano l’idea che Homo sapiens si evolse in Africa”, dice un ricercatore. “Vorrebbero che tutto provenisse dalla Cina”.

I ricercatori cinesi respingono tali accuse. “Questo non ha niente a che fare con il nazionalismo”, dice Wu. È solo una questione di prove, di fossili di transizione e di reperti archeologici, aggiunge. “Tutto fa pensare a una evoluzione continua in Cina da H. erectus agli esseri umani moderni”.

Ma il modello di continuità con incroci è avversato da dati genetici schiaccianti che indicano l’Africa come fonte degli esseri umani moderni. Studi sulle popolazioni cinesi mostrano che il 97,4 per cento del loro patrimonio genetico deriva da esseri umani moderni ancestrali provenienti dall’Africa, mentre il resto proviene da forme estinte come i neanderthaliani e i denisovani. “Se ci fosse stato un contributo significativo dall’Homo erectus cinese, sarebbe emerso nei dati genetici”, dice Li Hui, genetista delle popolazioni della Fudan University di Shanghai. Wu ribatte che il contributo genetico da ominidi arcaici in Cina potrebbe mancare perché da essi non è stato recuperano alcun DNA.

Molti ricercatori sostengono che ci sono diversi modi per spiegare i fossili asiatici esistenti senza ricorrere alla continuità con incroci. Gli ominidi di Zhirendong, per esempio, potrebbero rappresentare un esodo dei primi esseri umani moderni dall’Africa tra 120.000 e 80.000 anni fa. Invece di rimanere nel Levante, in Medio Oriente, come si pensava in precedenza, questi individui potrebbero essersi diffusi in Asia orientale, dice Michael Petraglia, archeologo dell’Università di Oxford.

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Confronto tra i crani di H. sapiens (a sinistra) e H. neanderthaliensis (a destra) (Wikimedia Commons)

Altre prove corroborano questa ipotesi: scavi di una grotta in Daoxian nella provincia cinese di Hunan, hanno prodotto 47 denti fossili di aspetto così moderno che avrebbero potuto venire da bocche di individui attuali. Ma i fossili hanno almeno 80.000 anni e forse 120.000 anni, come hanno riferito Liu e i suoi colleghi l’anno scorso. “Quei primi migranti possono essersi incrociati con le popolazioni arcaiche lungo la strada o in Asia, il che potrebbe spiegare i tratti primitivi degli individui di Zhirendong”, spiega Petraglia.

Un’altra possibilità è che alcuni dei fossili cinesi, tra cui il cranio di Dali, rappresentino il misterioso uomo di Denisova, una specie identificata dai fossili siberiani di oltre 40.000 anni. I paleontologi non sanno quale fosse l’aspetto dei denisovani, ma gli studi del DNA recuperato dai loro denti e dalle loro ossa indicano che questa antica popolazione contribuì ai genomi degli esseri umani moderni, specialmente degli aborigeni australiani, dei papuani e dei polinesiani, suggerendo che i denisovani potrebbe aver vagato per l’Asia.

Nuove specie dei primi umani scoperti vicino a fossili di “Lucy”

María Martinon-Torres, paleoantropologa dello University College di Londra, è tra coloro che hanno proposto che alcuni degli ominidi cinesi possano essere stati denisovani. Martyinon-Torres ha lavorato con i ricercatori dell’IVPP sull’analisi, pubblicata lo scorso anno, di un assemblaggio fossile scoperto a Xujiayao nella provincia di Hebei, tra cui sono presenti mascelle parziali e nove denti datati a 125.000-100.000 anni fa. I molari sono enormi, con radici molto robuste e scanalature complesse, che ricordano quelli di Denisova, sottolinea la ricercatrice.

Una terza idea è ancora più radicale. È emersa quando Martinon-Torres e colleghi hanno confrontato più di 5000 denti fossili provenienti da tutto il mondo: il gruppo ha scoperto che i campioni eurasiatici sono più simili tra loro che non a quelli africani.

Quel lavoro e più recenti interpretazioni di crani fossili suggeriscono che gli ominidi eurasiatici si siano evoluti separatamente da quelli africani per un lungo periodo di tempo. I ricercatori propongono che i primi ominidi che hanno lasciato l’Africa 1,8 milioni di anni fa erano in definitiva la fonte degli esseri umani moderni.

I loro discendenti si stabilirono soprattutto in Medio Oriente, dove il clima era favorevole, e poi produssero ondate di ominidi di transizione che si diffusero altrove. Un gruppo eurasiatico si spostò in Indonesia, un altro diede origine a neanderthaliani e denisovani, e un terzo si avventurò di nuovo in Africa e per evolversi in Homo sapiens, che poi si diffuse in tutto il mondo. In questo modello, gli esseri umani moderni si sono evoluti in Africa, ma il loro immediato antenato origine è in Medio Oriente.

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Svante Paabo durante la consegna del Breakthrough Prize 2016 (Steve Jennings/Stringer/Getty Images)

Non tutti sono convinti. “Le interpretazioni fossili sono notoriamente problematiche”, dice Svante Pääbo, palaeogenetista del Max-Planck-Institut per l’Antropologia evoluzionistica di Lipsia, in Germania. Ma il DNA dai fossili eurasiatici risalenti all’inizio della razza umana potrebbe contribuire a rivelare quale storia o quale combinazione di storie sia quella corretta. La Cina sta ora spingendo in quella direzione. Qiaomei Fu, palaeogenetista che ha conseguito il dottorato di ricerca con Pääbo, è tornato in patria lo scorso anno per avviare presso l’IVPP un laboratorio per l’estrazione e il sequenziamento di DNA antico. Uno dei suoi obiettivi immediati è quello di vedere se alcuni dei fossili cinesi appartengano al misterioso gruppo dei denisovani. I denti molari prominenti di Xujiayao saranno il primo obiettivo. “Penso che qui siamo di fronte a un primo sospettato qui”, dice.

Un’immagine sfocata

Nonostante le diverse interpretazioni della documentazione fossile cinese, tutti sono d’accordo sul fatto che che la storia dell’evoluzione in Asia sia molto più interessante di quanto sia stato riconosciuto in in passato. Ma i dettagli rimangono sfocati, perché pochi ricercatori hanno condotto scavi in Asia.

Ma quando l’hanno fatto, i risultati sono stati sorprendenti. Nel 2003, uno scavo sull’isola di Flores, in Indonesia, ha portato alla luce un ominide minuscolo, che i ricercatori hanno battezzato Homo floresiensis e soprannominato Hobbit. Con il suo strano assortimento di caratteristiche, la creatura fa ancora discutere chi ritiene che si tratti di una forma nana di H. erectus o di qualche linea filogenetica più primitiva che ha percorso tutta la strada dall’Africa al Sud Est asiatico, e vissuto fino a 60.000 anni fa. Il mese scorso, altre sorprese sono emerse da Flores, dove i ricercatori hanno scoperto i resti di un ominide simile all’Hobbit in strati geologici di circa 700.000 anni fa.

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Schema delle migrazioni “Out of Africa”: in rosso le regioni colonizzate da H. erectus, in color senape quelle di H. neanderthalensis, e in giallo quelle di H. sapiens (Wikimedia commons)

Recuperare più fossili provenienti da tutte le parti dell’Asia può chiaramente contribuire a colmare le lacune. Molti paleoantropologi chiedono inoltre un più agevole accesso ai materiali esistenti. La maggior parte dei fossili cinesi, tra cui alcuni dei migliori campioni, come per esempio i teschi di Yunxian e Dali, sono accessibili solo ad una manciata di paleontologi cinesi a ai loro collaboratori. “Sarebbe fantastico renderli disponibili per studi di carattere generale, come le repliche o tomografie computerizzate”, dice Stringer. Inoltre, i siti fossiliferi dovrebbero essere datati in modo molto più rigoroso, e preferibilmente con diversi metodi, dicono i ricercatori.

Ma tutti sono d’accordo che l’Asia, il più grande continente della Terra, ha ancora molto da svelare sulla storia umana. “Il centro di gravità”, sottolinea Petraglia, “si sta spostando verso est.”

Jane Qiu/Nature

L’originale di questo articolo è stato pubblicato su Nature il 12 luglio 2016. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.