Come l’evoluzione genera innovazione – La continua evoluzione dei geni

evoluzione dei geni

evoluzione dei geniGeni orfani

Prima della Post-Modernità era un’idea sociale dominante il considerare la conoscenza come basata esclusivamente sulla nostra osservazione del mondo, osservazione che si speculava fosse oggettiva e neutrale. Allora si condivideva l’idea che le nostre osservazioni del mondo ci restituivano la reale natura del mondo stesso. Oggi, invece, piuttosto che di verità e realtà assolute, alcuni preferiscono parlare di negoziazioni sociali circa le nostre interpretazioni del mondo. Oggi, l’idea condivisa da alcuni gruppi delle élite culturali, riguardo la conoscenza, è che essa sia una costruzione socialmente convenuta in quanto ciò che chiamiamo realtà ci è accessibile soltanto attraverso modelli cognitivi di simulazione culturalmente e socialmente predeterminati. Questi schemi cognitivi insieme al linguaggio che ci precede ci consentono di teorizzare, anche, su quello che direttamente non possiamo vedere. Infatti, il linguaggio e i nostri modelli cognitivi ci consentono di teorizzare circa l’evoluzione dei geni, anche se, in senso stretto, nessuno abbia mai “visto” un gene.[1]

genedio1Ebbene, attraverso i nostri modelli di realtà nell’ambito della genetica, oggi, possiamo assumere che ciascuno di noi sia portatore di 20.000 geni circa[2] che codificano tutto quanto ci riguarda come organismo biologico. Attraverso ragionamenti e modelli cognitivi abbiamo codificato una conoscenza relativa ai geni che li differenzia per sequenza, funzione e regolazione. Entro i limiti dei modelli di conoscenza disponibili nella società, abbiamo, inoltre, stabilito da dove provengono i nostri geni: ce li trasmettono i nostri genitori che, a loro volta, li hanno ereditati dai loro predecessori.

Ma dove, lungo questa linea genealogica, ciascuno di questi geni, codificatori di proteine,[3] Ebbe il suo inizio? Questa è una domanda che pende sulla scienza della genetica dal suo inizio più di un secolo fa, domanda tanto interessante circa una teoria evoluzionista sulla vita quanto la domanda circa come l’evoluzione genera innovazione.

I ricercatori della biologia evoluzionista stanno fornendo alcuni spunti di riflessione circa possibili risposte. Utilizzando approcci interpretativi che coinvolgono il contesto sociale e culturale dalla ricerca abbiamo appreso che alcuni dei nostri geni sono molto vecchi, forse risalenti tutta la strada fino ai primi capitoli di ciò che, dalla prospettiva evoluzionista secolare, consideriamo Vita sulla Terra.[4] Ma, contrariamente a ciò che l’essenzialismo creazionista ci propone, un sorprendente numero di geni è emerso più recentemente e molti soltanto negli ultimi milioni di anni. Il più giovane si è evoluto dopo che la nostra specie si ritrovò staccata dalle scimmie.

geni - ricercatori della geneticaI ricercatori stanno documentando l’ipotesi che nuovi geni emergono in modo inaspettatamente veloce e che una volta evoluti, possono assumere rapidamente funzioni essenziali. Certamente, questa ricerca non è un’attività senza una finalità strumentale. Infatti, indagare come nuovi geni diventino così importanti può contribuire, ad esempio, a capire il ruolo che essi possono svolgere nel trattamento di determinate malattie.

I ricercatori hanno iniziato a speculare (sistematicamente) circa l’origine dei geni fin dall’inizio del secolo scorso. Alcuni hanno proposto che quando le cellule duplicano i loro DNA, accidentalmente, copiano alcuni geni due volte. All’inizio i due geni sono identici ma più tardi evolvono in diverse sequenze. Alla fine del XX esimo secolo, nella misura in cui i genetisti acquisivano la capacità di leggere le sequenze precise di DNA, confermavano la loro prima intuizione: la duplicazione[5] del gene e le eventuali mutazioni giocano un ruolo determinante nell’evoluzione.

Seguendo questa linea di ragionamento, attraverso la duplicazione nel corso di milioni di anni, i geni sarebbero cresciuti nelle cosiddette “famiglie di geni”, ciascuna contenente centinaia di geni simili. Una sequenza di geni olfattivi, ad esempio, è essenziale per il nostro raffinato senso dell’olfatto. Questi geni codificano 390 diverse proteine costituenti i recettori olfattivi. Ogni recettore olfattivo ha una struttura leggermente diversa, che gli permette di catturare un insieme diverso di molecole volatili e gas.

Per lunghi periodi di tempo evolutivo, alcuni geni copiati cambiano drasticamente in modo tale da assumere interamente nuovi compiti. Si consideri, ad esempio, l’emoglobina che trasporta l’ossigeno nei globuli rossi per la sua consegna in tutto il corpo. I ricercatori hanno stabilito che l’emoglobina appartiene ad una famiglia di geni che fanno molte cose diverse con l’ossigeno. Infatti, oltre al suo compito fondamentale di trasportare l’ossigeno O2 attraverso il sangue, l’emoglobina può legare e trasportare anche altre molecole come l’ossido nitrico (NO), il monossido di carbonio (CO) e il cianuro (CN)[6]. Gli studi recenti suggeriscono che l’emoglobina si sia evoluta da proteine che afferravano molecole di ossigeno supplementari all’interno delle cellule prima che potessero nuocere.[7]

La questione della duplicazione dei geni divenne così rilevante che molti ricercatori si convinsero che essa fosse la fonte di tutti i nuovi geni. Infatti, essi hanno congetturato che quando la vita emerse originariamente miliardi di anni fa, i primi microrganismi avevano un piccolo gruppo di geni. Quei geni poi duplicati, più e più volte, avrebbero dato origine a tutti i geni presenti sulla terra fino ad oggi.

Ma quando la ricerca al riguardo ha acquisito la capacità di sequenziare interi genomi, c’è stata una sorpresa. La ricerca ha cominciato a documentare l’esistenza di geni che esistevano nel genoma di una sola specie. Secondo la teoria della duplicazione, quei geni solitari non dovrebbero esistere, essi avrebbero dovuto essere stati copiati da geni precedenti in altri organismi.

Questi geni sembravano perfettamente normali, tranne, appunto, che sono stati trovati in una sola specie. Non c’era alcuna spiegazione circa come un gene poteva essere in una sola specie (o parte della stessa) e non in altre strettamente collegate. In questo umano contesto di perplessità, questi geni sono stati chiamati “geni orfani”. Nella misura che i ricercatori cominciarono ad eseguire le sequenze di più genomi hanno cercato di riportare questi “orfani” alle loro “famiglie geniche”. Qualche vota ci sono riusciti, ma molto spesso gli “orfani” sono rimasti “orfani”.

A questo punto si riproponeva la domanda: da dove provengono i geni orfani?

Nonostante si fosse pensato a lungo che i nuovi geni derivassero dalla duplicazione, dinnanzi ai “geni orfani” una nuova ipotesi si è fatta strada: piccole mutazioni possono formare nuovi geni da zero. Per alcuni ricercatori, i dati indicavano una conclusione inevitabile: i “geni orfani” non erano stati tramandati attraverso le generazioni per miliardi di anni ma sono sopraggiunti in esistenza molto più tardi.

Specie strettamente imparentate condividono la maggioranza dei geni e possono apparire molto simili, ma piccole differenze morfologiche svelano che sono differenti.

Spesso la spiegazione a livello genetico di queste differenze può essere fatta risalire a piccoli cambiamenti spazio-temporali nell’attività di fattori di trascrizione, che modulano l’espressione dei geni e che si sono conservati nel corso dell’evoluzione in tutto il regno animale. Ogni gruppo animale possiede però anche un ridotto numero di geni che, al contrario, sono estremamente variabili fra specie strettamente correlate, se non addirittura unici. Questi geni sono noti come “orfani“, “nuovi” o “tassonomicamente ristretti“.[8]

Lo studio della funzione di questi geni orfani è iniziato con alcune specie di HYDRA.[9] Questi piccoli predatori sono di particolare interesse per gli studiosi per le loro elevate capacità rigenerative, ma anche perché sono in un certo senso “immortali”, dato che non sembra vadano incontro ai processi di invecchiamento che affliggono gli altri animali.[10]

Nella ricerca[11] i biologi hanno utilizzato polipi transgenici (Hydra, geneticamente modificate) per studiare il ruolo di geni “orfani” in questi organismi morfologicamente semplici, scoprendo una famiglia di geni responsabile delle differenze morfologiche fra due specie imparentate di Hydra, fra le quali una, chiamata Hym302, che codifica una proteina che controlla lo schema secondo cui si sviluppano i tentacoli dell’animale. In una specie, Hydra oligactis, lo sviluppo dei tentacoli non è sincronizzato, mentre in Hydra vulgaris tutti e cinque i tentacoli si sviluppano simultaneamente e simmetricamente. Alterando geneticamente Hydra vulgaris in modo da farle produrre elevate quantità della proteina espressa dal gene orfano Hym301, i tentacoli si formano secondo uno schema irregolare e asimmetrico.

I dati indicano, quindi, che i geni orfani sono coinvolti nella generazione di nuove caratteristiche morfologiche che individuano specie differenti, indicando una strada per raggiungere una maggiore comprensione di come l’evoluzione operi a livello di particolari gruppi animali. L’emergere di geni orfani può riflettere i processi evolutivi che consentono agli animali di adattarsi nel modo migliore ai nuovi habitat.[12]

Geni de novo

A questo punto della conoscenza in materia, i cosiddetti “geni orfani”, contrariamente all’ortodossia dominante al riguardo, sono stati ribattezzati: “geni de novo”[13], ossia “geni nuovi”. In questo processo di costruzione di un nuovo modello per rendere conto dell’evoluzione di nuovi geni è stato di fondamentale importanza il fatto che un gruppo di ricercatori[14] ne avevano documentato, passo dopo passo, lo svolgimento.

In molte specie, compresa la nostra, i geni codificanti le proteine costituiscono una piccola parte del genoma. I nuovi geni possono emergere dalla vasta distesa di DNA non codificante. Il primo passo è che un po’ di DNA muti in quello che i ricercatori chiamano una “sequenza di avvio”. Tutti i geni codificanti proteine hanno “sequenza di avvio” che consente agli enzimi di trascrizione di riconoscere dove i geni cominciano. Una volta che l’inizio di un gene è riconosciuto, l’enzima di trascrizione può effettuare una copia del DNA del gene che sarà la guida per la costruzione di una nuova proteina.

La nuova proteina può rivelarsi utile o meno o, addirittura, dannosa. Ma una volta che essa emerge, nuove mutazioni nel nuovo gene possono renderla più o meno efficiente. Una volta che sono prodotte, c’è un’opportunità per la “selezione naturale” di scolpirle.[15] I ricercatori stanno ora osservando queste prime fasi della nascita di un “gene de novo”. E possono farlo con la ricerca di tali geni in diverse popolazioni di una specie di moscerino della frutta, la Drosophila melanogaster.[16]

Questi ricercatori hanno trovato 142 “nuovi geni”[17] che erano presenti in alcune popolazioni di mosche ma non in altre, il che significa che questi geni devono essersi sviluppati di recente e perciò hanno avuto tempo per diffondersi solo in una parte della specie. I ricercatori sospettano che il numero di “nuovi geni” nelle mosche sia più elevato ma le linee guida di classificazione sono estremamente rigorose.

Evoluzione veloce

La ricerca[18] suggerisce che i nuovi geni possono evolvere ad un ritmo incredibilmente veloce. Esaminando cinque popolazioni di mosche Drosophila che condividono un antenato comune che ha vissuto circa 10 milioni di anni fa, i ricercatori[19] hanno trovato, nella misura in cui divergono l’una dall’altra, centinaia di nuovi geni sviluppatisi lungo ciascun lignaggio.

Lungi dall’essere un caso fortuito, la ricerca suggerisce che i “geni de novo” sono abbondanti. Infatti, i ricercatori si stanno chiedendo perché questi geni in rapida evoluzione non stanno già gonfiando i genomi di animali e piante. La ricerca[20] sembra aver individuato una spiegazione: lungo ogni lignaggio, molti “geni de novo” si sono anche persi. In alcuni casi, una mutazione disabilita un nuovo gene in modo che le cellule non possano leggerlo. In alcuni casi, la mutazione elimina l’intero tratto di DNA in cui il nuovo gene risiede.

Mentre molti “geni nuovi” infine svaniscono, alcuni, invece, assumerebbero funzioni essenziali, motivando come l’aumento di questi geni potrebbe avere un importante ruolo nell’evoluzione. A tale scopo, alcuni ricercatori stanno studiando come geni nuovi abbiano plasmato la nostra biologia, anche se è molto più difficile studiare “geni nuovi” negli umani poiché molti esperimenti che possono essere eseguiti con delle mosche non possono essere trasferiti a noi. Ad ogni modo, la ricerca suggerisce che vi siano più di 40 “nuovi geni” nel genoma umano. Che significato abbia tutto questo nell’evoluzione della nostra specie riguarda, al momento, un campo di costruzione di nuova conoscenza di noi stessi. Infatti, una parte della ricerca pone già la questione di quale sia l’impatto dei “geni nuovi” in ciò che, geneticamente ed evolutivamente, ci rende, ancora, umani.

Note
[1] R. O. Vargas & E. D’Alterio. La dimensione della realtà – come conosciamo ciò che esiste. In “BIO Educational Papers Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena”, Anno I, Numero 4, Dicembre 2012 pp. 5-9

[2] Jennifer Harrow, Adam Frankish, and Tim J. Hubbard. GENCODE: The reference human genome annotation for The ENCODE Project Genome Research, Sept 2012, 22(9): 1760-1774

[3] I geni corrispondono a porzioni di codice genetico localizzate in precise posizioni all’interno della sequenza nucleotidica e contengono tutte le informazioni necessarie per la produzione di una proteina. Essi sono contenuti ed organizzati all’interno dei cromosomi, presenti in tutte le cellule di un organismo.

[4] Ogni forma di vita esistente deriva da uno o pochi antenati ancestrali comuni comparsi sul pianeta Terra milioni di anni fa. Queste forme possiedono vie metaboliche, si riproducono, trasmettono informazione alla propria discendenza e organizzano le proprie strutture, queste caratteristiche costituiscono il concetto biologico di vita, peculiarità emergente che li distingue dalle entità non viventi. Quella dell’ultimo antenato comune universale è una teoria riguardante l’ultimo ipotetico organismo vivente dal quale tutti gli organismi attuali discenderebbero. In quanto tale, l’organismo in questione rappresenterebbe l’antenato comune più recente (MRCA) di tutto l’insieme degli attuali organismi viventi. Si stima sia vissuto tra 3,6-4,1 miliardi di anni fa. Così come è il progenitore comune più recente di tutto l’insieme degli esseri viventi attuali, probabilmente lo è anche di tutti quelli conosciuti come fossili, sebbene non si può scartare teoricamente il fatto che si possano identificare resti di altri esseri viventi della sua stessa o maggiore arcaicità. WIKIPEDIA

[5] Le cellule somatiche duplicano il loro DNA durante la mitosi e le germinali durante la meiosi. La duplicazione del gene è considerata come una spiegazione dell’evoluzione di alcuni geni nella filogenesi riproduttiva.

[6] Emoglobina pdf

[7] Miriam Blank and Thorsten Burmester. Widespread Occurrence of N-Terminal Acylation in Animal Globins and Possible Origin of Respiratory Globins from a Membrane-Bound Ancestor. In “Molecular Biology & Evolution”, Vol. 29, No. 11, pages 3553-3561, 2012

[8] Orphan” genes play an important role in evolution, Christian-Albrechts-Universität zu Kiel, Press release no. 107/2008 from 2008-11-18

[9] Konstantin Khalturin, Friederike Anton-Erxleben, Sylvia Sassmann, Jörg Wittlieb, Georg Hemmrich, Thomas C. G Bosch. A Novel Gene Family Controls Species-Specific Morphological Traits in Hydra. In “Plos/Biology”. November, 2008

[10] Sara Palma, Rinaldo Octavio Vargas & Eugenia D’Alterio, Turritopsis Dohrnii e Nutricula e il trans differenziamento. Tra mito e realtà. In “BIO Educational Papers Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena”, Anno II, Numero 5, Marzo 2013 pp. 32-34

[11] Ibidem

[12] “Orphan” genes play an important role in evolution, Christian-Albrechts-Universität zu Kiel, Press release no. 107/2008 from 2008-11-18

[13] David J. Begun, Heather A. Lindfors, Andrew D. Kern and Corbin D. Jones. Evidence for de Novo Evolution of Testis-Expressed Genes in the Drosophila yakuba/Drosophila erecta Clade. In “Genetics” vol. 176 no. 21131-1137, June 2007

[14] Zhao, L, et al. Origin and spread of de novo genes in Drosophila melanogaster populations. In “Science”, Vol. 343, pp. 769-772. February 2014

[15] Aoife McLysaght. Molecular Evolution Lab. Smurfit Institute of GeneticsUniversity of Dublin, Trinity College

[16] Zhao, L, et al. op. cit.

[17] Jef Akst. Drosophila’s New Genes. An analysis of the transcriptomes of several fruit fly strains reveals dozens of possible de novo genes in each. In “The Scientist”, January 23, 2014

[18] Zhao, L, et al. op. cit.

[19] Christian Schlötterer et al. Adaptation of Drosophila to a novel laboratory environment reveals temporally heterogeneous trajectories of selected alleles. In “Molecular Ecology”, vol. 21, issue 20, pages 4931–4941, October 2012
Nicola Palmieri, Carolin Kosiol, Christian Schlötterer. The life cycle of Drosophila orphan genes. In “eLife”, Vetmeduni Vienna, Austria
February 19, 2014

[20] Christian Schlötterer et al. op. cit.

Sara Palma, studentessa di biologia
Eugenia D’Alterio, biologa
Rinaldo Octavio Vargas, sociologo

medicinacostruzionesociale.wordpress.com