Cometa Shoemaker-Levy 9

Shoemaker-Levy 9
Shoemaker-Levy 9
Shoemaker-Levy 9

La cometa Shoemaker-Levy 9 (denominata anche 1993e) divenne famosa perché fu la prima cometa ad essere osservata durante la sua caduta su un pianeta.

Scoperta il 25 marzo 1993 dagli astronomi Eugene e Carolyn S. Shoemaker e da David Levy, analizzando lastre fotografiche dei dintorni di Giove, la cometa venne catturata proprio dal campo gravitazionale del pianeta. Data la sua debole coesione, la cometa venne frantumata in 21 frammenti dalle forze di marea di Giove, che vennero quindi allineati da queste stesse forze in fila indiana

– Scoperta

La cometa venne scoperta nella notte del 24 marzo 1993 da Shoemakers e Levy in una fotografia ripresa con il telescopio Schmidt da 0,4 metri al Mount Palomar Observatory in California, mentre conducevano un programma di osservazioni dedicato alla rilevazione di Near-Earth object. A differenza di tutte le altre comete scoperte prima di allora, la Shoemaker-Levy 9 era in orbita attorno a Giove invece che attorno al Sole. La scoperta della cometa fu quindi un esempio di serendipità e mise velocemente in secondo piano gli scopi originali delle loro osservazioni.

SL9 fu la nona cometa periodica (ovvero una cometa il cui periodo orbitale è inferiore a 200 anni) scoperta dalla coppia di astronomi, anche se di fatto essa costituiva la loro undicesima scoperta includendo anche due comete non periodiche. La scoperta è stata annunciata nella circolare IAU 5725 del 27 marzo 1993.

L’immagine della scoperta fornì i primi indizi che SL9 era una cometa insolita. Essa presentava infatti dei nuclei multipli contenuti in una regione allungata lunga 50 arcosecondi e larga 10. Brian Marsden del Central Bureau for Astronomical Telegrams notò che la cometa era nelle vicinanze del pianeta gigante e suggerì che potesse essere stata frammentata dalla gravità gioviana.

– Orbita

Gli studi orbitali della cometa appena scoperta rivelarono che essa orbitava attorno a Giove, con un periodo di 2 anni, un perijovio di 0,33 AU (49 × 106 km) e una eccentricità elevata pari a 0,9986. Inoltre la cometa orbitò attorno a Giove per qualche tempo, dopo essere stata catturata mentre era in orbita attorno al Sole all’inizio degli anni ’70 o a metà degli anni ’60[1]. Prima di allora era probabilmente una cometa di breve periodo con un afelio appena all’interno dell’orbita di Giove e un perielio interno alla fascia di asteroidi[2]. Il volume di spazio all’interno del quale orbitava la cometa SL9 è chiamato sfera di Hill di Giove (detta anche sfera di Roche).

Quando transitò nei pressi del gigante gassoso era probabilmente al suo afelio e si trovava leggermente all’interno della sfera di Hill di Giove. La gravità del pianeta la spinse verso di se ed essendo il movimento relativo della cometa rispetto a Giove molto piccolo, venne trascinata quasi direttamente verso Giove. Per questo motivo la cometa fu inserita in una orbita molto eccentrica attorno al gigante rosso.

Il 7 luglio 1992 passò ad una distanza minima di 40 000 km dalle nubi gioviane — una distanza inferiore al raggio di Giove, pari a 70 000 km e molto all’interno dell’orbita di Metis e del limite di Roche del pianeta, dove le forze di marea sono sufficientemente intense da disintegrare un corpo celeste per effetto della gravità. Anche se la cometa era già transitata nelle vicinanze di Giove, l’incontro del 7 luglio fu il più vicino e si pensa che l’abbia frantumata. Ogni frammento fu classificato assegnandogli una lettera dell’alfabeto.

Gli astronomi dedussero che in base ai dati orbitali, la cometa sarebbe passata a meno di 45 000 km dal centro di Giove, una distanza inferiore al raggio del pianeta. Era quindi presente un’altissima probabilità che la cometa si sarebbe scontrata col pianeta nel luglio del 1994. Gli studi suggerirono che il gruppo di nuclei sarebbe affondato nell’atmosfera gioviana durante un periodo di circa 5 anni.

La comunità scientifica fu animata dalla previsione dello scontro con Giove, poiché gli scienziati non avevano mai assistito alla collisione da due corpi di massa significativa nel sistema solare. Vennero compiuti degli studi accurati della cometa e quando venne determinata con precisione la sua orbita, la possibilità di collisione divenne una certezza. Questo evento avrebbe costituito un’opportunità unica per osservare l’atmosfera di Giove, infatti la collisione avrebbe provocato eruzioni di materiali provenienti da strati atmosferici normalmente preclusi all’osservazione a causa della loro profondità.

Gli astronomi stimarono che i frammenti visibili della cometa variavano da qualche centinaio di metri fino ad qualche chilometro, e la cometa intera potrebbe aver avuto un nucleo di circa 5 km – più grande della cometa Hyakutake.

– Lo scontro con Giove

L’impatto venne atteso da molti astronomi che puntarono i telescopi sul gigante gassoso, assieme a osservatori spaziali come il telescopio spaziale Hubble, il satellite ROSAT e la Sonda Galileo che era in rotta per un rendezvous con il pianeta previsto nel 1996. Gli impatti avvennero nel lato del pianeta opposto alla Terra, ma la sonda Galileo, che si trovata ad una distanza di 1,6 UA fu in grado di osservarli direttamente. La rapida rotazione di Giove portò i siti degli impatti in direzione della Terra qualche minuto dopo l’evento.

Anche la sonda Ulysses, progettata principalmente per lo studio del Sole venne puntata verso Giove e la sonda Voyager 2, che in quel momento si trovava a 44 UA da Giove ed era diretta verso l’esterno del sistema solare dopo aver sorvolato Nettuno nel 1989, fu programmata per registrare le emissioni radio nelle frequenze tra 1 e 390 kHz.

Successivamente, tra il 16 ed il 22 luglio del 1994, i frammenti della cometa caddero su Giove in un vero e proprio bombardamento. L’evento era stato previsto da tempo, ma le previsioni su cosa sarebbe stato visibile erano incerte. I numerosissimi telescopi puntati sul pianeta, sia professionali che amatoriali, ripresero immagini che tutti definirono spettacolari. Le esplosioni causate dalla caduta della cometa furono anche utili per investigare le proprietà dell’atmosfera di Giove sotto gli immediati strati superficiali.

Il primo impatto avvenne alle 20:15 UTC del 16 luglio 1994, quando il frammento A del nucleo colpì l’emisfero meridionale del pianeta ad una velocità di 60 km/s. Gli strumenti della sonda Galileo rilevarono una palla di fuoco che raggiunse la temperatura di 24 000 K, prima di espandersi e raffreddarsi a 1 500 K in circa 40 secondi. Il pennacchio raggiunse una altezza di 3 000 km[3]. Dopo qualche minuto gli strumenti misurarono un nuovo aumento di temperatura, probabilmente causato dai materiali espulsi che ricadevano verso il pianeta. Gli osservatori a terra individuarono la palla di fuoco mentre si sollevava dal bordo del pianeta poco dopo l’impatto iniziale[4].

Gli effetti oltrepassarono le previsioni degli astronomi: molti osservatori che videro subito dopo il primo impatto un’enorme macchia scura, visibile anche con piccoli telescopi, di dimensioni pari a 6 000 km (pari al raggio terrestre).

Nei successivi sei giorni vennero osservati altri 21 impatti, il maggiore dei quali avvenne il 18 luglio alle 7:34 UTC e fu causato dalla collisione del frammento G. Questo evento creò un’enorme macchia scura con dimensioni di 12 000 km, e sprigionò l’energia stimata equivalente a 6 milioni di megaton (circa 750 volte l’energia dell’intero arsenale nucleare mondiale). Il 19 luglio due impatti, separati da un periodo di 12 ore, crearono degli effetti simili a quelli del frammento G. L’ultimo frammento, contrassegnato con la lettera W, colpì Giove il 22 luglio

Osservazione e scoperte

– Studi chimici

Gli osservatori sperarono che gli impatti avrebbero fornito dettagli sugli strati di Giove che si trovano sotto le nuvole più superficiali. Infatti i materiali che si trovano in profondità sarebbero stati esposti ai frammenti di cometa in caduta attraverso l’atmosfera superiore. Studi spettroscopici rivelarono delle linee di assorbimento nello spettro di Giove relative allo zolfo biatomico (S2) e disolfuro di carbonio (CS2). Questi composti sono stati scoperti per la prima volta sul gigante rosso e lo zolfo biatomico era stato rilevato solo in una sola occasione in precedenza. Tra le altre molecole furono individuate: ammoniaca (NH3) e solfuro di idrogeno (H2S). Essendo le quantità di zolfo molto superiori a quelle che sarebbero contenute nei piccoli nuclei cometari, è stato ipotizzato che questi materiali provenissero dall’interno del pianeta. Le molecole portatrici di ossigeno, come il diossido di zolfo non sono state rilevate, sorprendendo gli astronomi[5].

Assieme a queste molecole, sono state identificate emissioni provenienti da atomi pesanti come ferro, magnesio e silicio, in quantità corrispondenti a quelle presenti nei nuclei delle comete. Mentre sono stati rilevate quantità significative di acqua esse furono inferiori alle aspettative, quindi l’ipotetico strato di acqua gioviano è più sottile del previsto oppure i frammenti di cometa non sono penetrati ad una profondità sufficiente.

– Onde sismiche

Come era stato previsto le collisioni generarono delle enormi onde sismiche che viaggiarono attraverso il pianeta ad una velocità di 450 km/s. Queste onde, che furono osservate per più di due ore dopo l’impatto, si mossero forse attraverso uno strato posizionato sotto l’ipotetica nube troposferica costituita d’acqua che ha funzionato come una guida d’onda. Altre prove tuttavia indicano che i frammenti non hanno raggiunto lo strato d’acqua e le onde si sono propagate all’interno della stratosfera[6].

– Altre osservazioni

Le osservazioni radio hanno rilevato un netto incremento delle emissioni ad una lunghezza d’onda di 21 cm dopo l’impatto principale, che ha raggiunto il 120% del normale livello di emissione del pianeta. Si pensa che siano dovute ad una radiazione di sincrotone generata dall’iniezione di elettroni relativistici nella magnetosfera gioviana[7].

Un’ora dopo la collisione del frammento K, gli osservatori registrarono un’aurora nei pressi delle zone di impatto. La causa di queste emissioni fu difficile da stabilire a causa delle limitate conoscenze del campo magnetico interno del pianeta e della geometria dei siti di impatto. Le onde d’urto in accelerazione all’alto potrebbero aver accelerato a sufficienza le particelle cariche da provocare un’aurora, un fenomeno associato tipicamente alle particelle veloci del vento solare che colpiscono l’atmosfera di un pianeta nei pressi di un polo magnetico[8].

– Analisi dopo l’impatto

Una delle sorprese fu rappresentata dalle piccole quantità d’acqua. Prima dell’impatto i modelli dell’atmosfera gioviana indicavano che la rottura dei frammenti più grandi sarebbe avvenuta a pressioni comprese tra 300 kPa e qualche Mpa (da tre a qualche decina di bar), e la maggior parte degli studiosi si aspettò che gli impatti sarebbero penetrati fino ad uno strato interno ricco d’acqua.

I successivi studi trovarono che la frammentazione e la distruzione dei frammenti cometari avvennero probabilmente ad altezze maggiori rispetto al previsto, e il frammento più grande potrebbe essere stato distrutto quando la pressione raggiunse i 250 kPa (2,5 bar), molto sopra all’ipotetico strato d’acqua. I frammenti minori furono probabilmente distrutti prima di raggiungere lo strato di nubi[9].

– Effetti a lungo termine

I segni lasciati dall’evento rimasero visibili a lungo, e vennero descritti da alcuni osservatori come maggiormente visibili della famosa grande macchia rossa. Probabilmente furono i fenomeni transitori più importanti mai osservati, e mentre la macchia rossa risalta per il suo colore, non fu mai registrata alcuna macchia di dimensioni simili a quelle provocate dalla cometa[10].

Le osservazioni effettuate in spettroscopia mostrarono che l’ammoniaca e il solfato di carbonio rimasero nell’atmosfera almeno per quattordici mesi dopo l’evento, causando un eccesso di ammoniaca nella stratosfera (normalmente si trova invece nella troposfera)[11].

La temperatura atmosferica scese ai livelli normali molto più velocemente nei punti di impatto maggiori rispetto a quelli minori. Nei primi infatti le temperature aumentarono in una regione ampia da 15000 a 20000 km, ma tornarono alle temperature normali entro una settimana dall’evento. Nei punti più piccoli, temperature di 10 K superiori rispetto ai siti circostanti persistettero invece per almeno due settimane[12]

– Interazione tra Giove e le comete

Dall’impatto della SL9, sono state trovate due piccole comete temporaneamente in orbita attorno al gigante rosso. Gli studi hanno confermato che Giove, il maggiore pianeta del sistema solare, è in grado di catturare frequentemente comete in orbita attorno al Sole.

In genere le orbite cometaria attorno a Giove sono instabili poichè altamente ellittiche e perturbate dalla gravità del Sole quando si trovano all’apojovio (il punto di massima distanza dal pianeta). È stato stimato che una o due comete collidono con il pianeta ogni secolo, ma l’impatto di comete delle dimensioni di SL9 sono più rare, probabilmente uno per millennio.

Esistono prove consistenti che le alcune comete siano state frammentate e siano entrate in collisione con Giove e le sue lune. Durante le missioni Voyager sono state individuate 13 catene di crateri su Callisto e tre su Ganimede, la cui origine era inizialmente sconosciuta. Mentre le catene di crateri osservate sulla Luna spesso si irradiano da crateri maggiori e potrebbero essere state create da impatti secondari del materiale espulso dalla collisione principale, quelle presenti sulle lune gioviane non sono collegate ad un cratere principale, ed è probabile che siano invece state create da frammenti cometari.

L’evento accaduto su Giove ha messo in luce il ruolo del pianeta come “aspirapolvere cosmico” per il sistema solare interno. Il notevole campo gravitazionale attira molte piccole comete e asteroidi rendendo il gigante rosso una frequente sede di impatti, che sono da 2 mila a 8 mila molte più frequenti rispetto al tasso di impatti sul pianeta Terra[13]. Se non fosse presente un pianeta come Giove, le probabilità di impatto nei pianeti interni del sistema solare sarebbe molto più elevata.

È generalmente accettata la teoria dell’impatto di un asteroide come causa dell’estinzione dei dinosauri al termine del periodo cretaceo. Senza l’azione di Giove, gli astronomi hanno ipotizzato che queste estinzioni di massa sarebbero potute essere più frequenti sulla Terra, precludendo la possibilità di sviluppo per forme di vita complesse[14]. Queste argomentazioni fanno pare dell’ipotesi della rarità della Terra (Rare Earth hypothesis).

La caduta della Shoemaker-Levy 9 ha fatto riflettere sulla possibilità che eventi analoghi siano accaduti in passato e possano accadere di nuovo in futuro e ha rafforzato le teorie delle estinzioni da impatto.

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