Contro l’ottica newtoniana: la teoria dei colori di Goethe, tra scienza e mistero


di Francesco Lamendola

Johann Wolfgang Goethe (1749-1832) è stato giustamente definito come l’ultimo genio rinascimentale: non solo grande poeta, ma pittore, scienziato, pensatore.
Un lato dei suoi interessi culturali e scientifici, che gli illuministi, i positivisti e i loro attuali eredi non gli hanno mai potuto perdonare, è quello rivolto al mistero e al soprannaturale; fra le altre cose, egli si accostò con sincero interesse alle dottrine mistiche di Emanuel Swedenborg, dileggiato – invece – da filosofi come Kant: segno di una indipendenza di giudizio e di una apertura sul reale a trecentosessanta gradi, insofferente di ogni moda e di ogni pregiudizio.
Goethe fu anche autore di opere scientifiche, che già ai suoi tempi incontrarono perplessità e incomprensioni e che, a tutt’oggi, rimangono pressoché ignorate dal grande pubblico, se non come documenti di una personalità indubbiamente ricchissima, ma in certo qual modo anacronistica; solo i suoi biografi si sono presi la briga di studiarle, a parte dagli antroposofi che, sulle orme di Rudolf Steiner, ne hanno fatto una componente essenziale delle loro concezioni cosmologiche, psicologiche e pedagogiche.

Gli interessi scientifici di Goethe andavano dalla botanica, alla mineralogia, alla fisica; ma è nel campo dell’ottica che egli diede il meglio di sé, scrivendo, in polemica contro Newton, quella «Teoria dei colori» («Zur Farbenleher»), che, pubblicata a Tubinga nel 1810, avrebbe dovuto consacrare, nelle sue intenzioni, un nuovo modo di intendere non solo l’ottica e la fisica, ma la scienza in generale; e che, invece, non scosse affatto l’establishment scientifico del tempo, né, tanto meno, come si è detto, quello a noi contemporaneo.
In che cosa consiste la novità della concezione scientifica di Goethe? Nel fatto che, in opposizione al modello dominante della cosiddetta Rivoluzione scientifica del XVII secolo, per essa il compito della conoscenza non è quello di conquistare e soggiogare la natura ai voleri dell’uomo (secondo la famigerata formula baconiana «sapere è potere»), bensì di ascoltarla amorevolmente, di porsi in sintonia con essa e di ritrovare, attraverso la meditazione su di essa, la via perduta dell’unità con tutte le cose (e qui traspare un certo influsso non solo delle teorie di Swedenborg, ma anche del panteismo di Spinoza).

La polemica antinewtoniana sulla natura della luce e dei colori non è che un caso esemplare di questa nuova concezione goethiana delle finalità e della stessa essenza del sapere scientifico: perché, per Goethe, il colore non è semplicemente una manifestazione della luce, che l’osservatore riceva passivamente, ma anche una elaborazione dell’occhio e, quindi, della mente. Fenomeno attivo e non solo passivo, di cui entrano a far parte la psicologia, la simbologia, la spiritualità; ed è quasi inutile evidenziare come in tale concezione vi sia, «in nuce», anche l’approccio cromoterapico alla malattia, non a caso esso pure bandito dal filone principale della scienza accademica contemporanea).

Per Goethe, ogni cosa tende alla totalità, alla reintegrazione nell’Essere; ogni cosa tende all’armonia e alla completezza: mentre la scienza newtoniana è oppositiva, aggressiva, utilitarista e riduzionista; non cura la ricerca olistica, ma persegue piuttosto il dominio sulle cose.
Goethe ricorda una espressione del filosofo Plotino: «Un occhio non avrebbe mai visto il sole se non fosse simile al sole; ugualmente, l’anima non potrebbe vedere il bello, senza divenire essa stessa bella». Questa, probabilmente, è la chiave di lettura per comprendere e valutare tutta la portata della concezione scientifica di Goethe: per lui, l’occhio che osserva e studia la natura non può prescindere dallo spettacolo della bellezza e non può porsi davanti ad essa che in atteggiamento nobilmente pensoso e conscio del mistero che in essa si cela.

Per la scienza moderna, invece, da Francesco Bacone a Newton, e passando per Galilei, non vi è alcun mistero, ma ci sono soltanto dei problemi in attesa di essere risolti; e l’ammirazione per la bellezza, se pure ha parte nella ricerca, non è mai scevra da intenti utilitaristici, perché non si spoglia mai dai panni del Logos strumentale e calcolante, che non vede nelle cose se non il proprio utile ed il proprio tornaconto. Per quanto riguarda i colori, Goethe ritiene inammissibile ridurne la fenomenologia ad una pura e semplice manifestazione ottica; nella percezione dei colori vi è una componente soggettiva e il riduzionismo newtoniano, contro il quale si scaglia nella seconda parte dell’opera, a suo dire ha «sepolto un lavoro di secoli», cioè ha cancellato la visione antica, secondo la quale i fenomeni fisici sono sempre, anche, dei fenomeni spirituali.

Quella di Goethe è una vera e propria rivolta contro la matematica, o meglio, contro la pretesa della matematica di porsi come supremo o magari come unico criterio di verità nella conoscenza della natura; pretesa, possiamo osservare, che da un lato risale alla “nuova scienza” del secolo XVII, dall’altro al razionalismo cartesiano, dal quale – peraltro – lo stesso Spinoza non era certo rimasto immune, se è vero che quest’ultimo aveva preteso di spiegare perfino l’etica con i procedimenti logici che sono propri della geometria. Scrive, dunque, Goethe a proposito dell’effetto sensibile e morale del colore (in: J. W. Goethe, «Dalla Teoria dei colori», traduzione di Giuseppina Quattrocchi, Demetra Editrice, 1995, pp. 136-140):

«758. Dato che il colore occupa un posto tanto elevato nella serie delle manifestazioni naturali originarie, in quanti riempie con decisa molteplicità il semplice cerchio assegnatogli, non ci stupiremmo di venire a sapere che esercita un’azione sul senso degli occhi. Ad esso il colore è specificamente legato e ,tramite la sua mediazione, è legato all’animo in tutte le sue manifestazioni elementari più generali, senza riferimento alle caratteristiche o alla forma di un materiale, sulla cui superficie viene recepito. Un’azione specifica, se considerata nella sua singolarità, in parte armonica in parte caratteristica, e spesso anche disarmonica, se combinata ad altre, ma sempre decisa e significativa, che si collega direttamente all’elemento morale. Per questo quindi il colore, considerato come elemento dell’arte, può venire considerato come elemento che coopera ai sommi scopi estetici.

759. In generale gli esseri umani trovano grande piacere nel colore. L’occhio ne ha bisogno, come ha bisogno della luce. Ci si ricordi il sollievo che dà il sole in una giornata cupa quando illumina uno squarcio di paesaggio dando risalto ai colori. […]

835. Selvaggi, popoli primitivi e fanciulli hanno grande predilezione per i colori particolarmente vivaci e quindi soprattutto per il rosso-giallo. Hanno anche una propensione per il variopinto, che ha origine quando vengono affiancati colori vivaci senza squilibrio armonico. Quando c’è questo equilibrio, per istinto o per caso, il risultato è gradevole. Ricordo di un ufficiale dell’Assia, che veniva dall’America. Si dipinse il volto come i selvaggi e il risultato finale era di un insieme piacevole.

836. I popoli dell’Europa del sud indossano abiti dai clori molto vivaci. I tessuti di seta, che essi hanno la possibilità di acquistare a buon mercato, favoriscono tale propensione. Soprattutto le donne con i loro corpetti e nastri vivaci, nell’impossibilità di superare lo splendore del cielo e della terra, sono almeno sempre in armonia con l’ambiente.

838. I colori, così come influiscono sugli stati d’animo,così si adattano a stati d’animo e circostanze. Popoli vivaci come i francesi, ad esempio, amano particolarmente i colori intensi del lato attivo. Genti più misurate come gli inglesi e i tedeschi preferiscono il giallo-cuoio o giallo.-paglia che accostano al blu. Le genti che tengono in considerazione la dignità, come gli italiani e gli spagnoli, scelgono per il mantello un rosso che tende al lato passivo.

839. Il vestito riferisce il carattere del colore al carattere della persona. Si può quindi osservare il rapporto tra i singoli colori e la loro composizione con il colore del volto, l’età e la condizione sociale. […]

848. Dall’azione sensibile ed estetica dei colori, presi singolarmente o in composizione,quale abbiamo sin qui descritta, si dedurrà ora l’effetto estetico che essi hanno sull’artista. Anche in questo caso diamo le notizie più indispensabili dopo avere trattato la luce e l’ombra. […]

915. Si è dimostrato per esteso che ogni colore produce sull’essere umano una particolare impressione manifestando a quella stregua la sua natura all’occhio e all’animo. Ne consegue direttamente che il colore può venire usato per determinati scopi sensibili, morali ed estetici.

916. Si potrebbe definire simbolico un impiego pienamente in accordo con la natura, in cui il colore viene usato in relazione al suo effetto e un autentico rapporto esprime direttamente il significato. Se per esempio si stabilisce che il porpora rappresenta la maestà, non ci saranno dubbi che sia stata trovata la corretta espressione, come si è già detto esaurientemente e particolareggiatamente prima.

917. Strettamente affine a questo è un altro uso del colore, che potrebbe venire definito allegorico. In esso vi è una componente più occasionale e arbitraria, si può addirittura dire convenzionale, in quanto prima di capire cosa significa, come si comporta, come nel caso del verde che è assegnato alla speranza, deve prima venirci dato il significato del simbolo.

918. È facile supporre da ultimo che il colore consenta pure un’interpretazione mistica. Dato infatti che lo schema in cui può venire rappresentata la molteplicità del colore accenna a simili rapporti originari che fanno parte sia della visione umana sia della natura, non vi è alcun dubbio che, volendo esprimere i rapporti originari che non cadono in modo tanto deciso e vario sotto i sensi, , ci si possa servire anche delle loro relazioni come di un linguaggio. Il matematico apprezza il valore e l’uso del triangolo; i mistici ne hanno un’alta considerazione; alcuni suoi aspetti , tra cui le manifestazioni di colore, possono venire schematizzati in modo tale da ottenere, per raddoppiamento e incrociamento, l’antico e misterioso esagono.

919. Se si coglie in modo corretto la divergenza tra giallo e azzurro, ma si è notato soprattutto il suo intensificarsi nel rosso che consente agli opposti di tendere l’uno verso l’altro e di riunificarsi dando vita a un terzo, si avrà senza dubbio una segreta intuizione,. Si potrebbe cioè supporre alla base di queste due entità separate e opposte tra loro un significato spirituale e vedendo sorgere in basso il verde e in alto il rosso ci si tratterrà a stento dal pensare là alle creazioni terrestri degli Elohim e qui a quelle terrestri.

920. In sede conclusiva è comunque meglio non esporsi al sospettosi essere inclini alle fantasticherie, tanto più che, se la nostra teoria dei colori incontrerà consensi, non le mancheranno certo, nello spiriti del tempo, applicazioni e interpretazioni allegoriche simboliche e mistiche.»

Una scienza olistica, a misura d’uomo e capace di riconoscere lo splendore del mondo; una visione organica, nella quale ogni elemento tende all’armonia e alla reintegrazione nella totalità; una spiritualità che non scorda mai le ragioni ultime del sapere e del nostro stesso essere nel mondo: questi i capisaldi del pensiero scientifico di Goethe, dal quale ci giunge una ricchissima lezione di umiltà e, al tempo stesso, di audacia speculativa.

La scienza cui tende Goethe non è meramente quantitativa e non vede nelle cose della semplice materia bruta, la «res extensa» cartesiana; non è neppure una scienza brutalmente pragmatica e utilitaristica, che mira allo sfruttamento e alla sottomissione del mondo naturale, declassato al rango di deposito di “risorse” ad uso esclusivo dell’uomo: ma è una scienza rischiarata da una vivida luce interiore, che volge i suoi passi sulla via del ritorno all’Essere e che ovunque scorge i segni della presenza del divino. Sorge perciò spontanea la domanda se la scienza moderna oggi dominante – quantitativa, riduzionista, meccanicista – costituisca davvero un progresso o non rappresenti, invece, un regresso ed una involuzione, che ci stanno allontanando sempre di più dalla verità delle cose e da noi stessi.

Fonte: http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=35989