Cosa accadrebbe se si scoprissero forme di vita sul Pianeta Rosso?

Il Giornale OnlineJulian Chela-Flores è un biofisico venezuelano che opera da tempo in Italia, presso l’International Centre for Theoretical Physics (ICTP) dell’Unesco a Trieste ed è uno dei più noti astrobiologi mondiali; anzi è uno degli scienziati che hanno contribuito a definire e a sviluppare questa nuova disciplina, l’astrobiologia, che ha per oggetto lo studio dell’origine, dell’evoluzione e della distribuzione della vita nell’universo.

Uno studio per sua natura multidisciplinare, che coinvolge non solo astronomia e biologia ma anche altre scienze a altri livelli della conoscenza: lo stesso Chela-Flores si cimenta spesso su tematiche al confine tra scienza, filosofia e teologia. Qualche anno fa , dialogando a Milano col Cardinal Martini a proposito di vita extraterrestre e del rapporto tra scienza e fede, sostenne che l’eventuale comparsa della vita intelligente in altri luoghi nell’universo dovrà comunque avvenire secondo le modalità che sono ammesse dalla struttura di tale universo, cioè dalle leggi poste dal Creatore.

E citando il fisico e teologo anglicano John Polkinghorne, segnalava come «la teologia più attenta, già da tempo abbia compreso come le nostre immagini di Dio siano inadeguate all’infinita ricchezza della sua natura».

All’inizio della nuova missione esplorativa avviata con l’approdo su Marte della sonda Phoenix, gli abbiamo rivolto alcune domande sulle prospettive della missione e sulle aspettative di un astrobiologo.

Quali sono le ragioni che fanno privilegiare Marte come sede della vita extraterrestre? È solo per la vicinanza alla Terra e al Sole o ci sono altri motivi?

Penso che ci siano altri motivi. Per esempio c'è la presenza d'acqua, l’attività vulcanica in un passato recente; inoltre è un pianeta che noi chiamiamo “terrestre”, perché è potenzialmente abitabile come la Terra, non è un pianeta gassoso come Giove o Saturno. Inoltre la sua storia è molto simile a quella della Terra. Se risaliamo nel passato a tre quattro miliardi di anni fa, nel periodo che chiamiamo Archeano, la Terra e Marte erano pianeti abbastanza simili, forse c'era anche la vita su Marte a quel tempo… Questo è il motivo principale per privilegiare Marte. Anche, l'Agenzia Spaziale Europea sta pianificando l’esplorazione di Marte con alta priorità: si parla della Cosmic Mission, un programma di lungo respiro, per i prossimi dieci, quindici anni.

I risultati raggiunti finora nelle varie spedizioni marziane sono stati però piuttosto deludenti. Come valuta questo fatto?

Non credo si debba parlare di delusione. Certo, l’esito è deludente se pensiamo che lo scopo principale, cioè trovare la vita su Marte, non è ancora nelle nostre mani. Però a me sembra che abbiamo imparato tanto da queste attività: pensi solo alla strumentazione che è stata sviluppata dagli anni '60/'70 fino ad oggi e alle spettacolari immagini che sono state ottenute: abbiamo visto la morfologia della superficie di Marte con una chiarezza davvero formidabile e da questa abbiamo potuto dedurre l’esistenza di canali in superficie e ipotizzare che in una data epoca forse in questi canali scorreva dell'acqua che poi è scomparsa.

E proprio la strumentazione messa a punto qualche anno fa ci ha fornito dati che ci convincono che c'è acqua, anche se soltanto sotto la superficie del pianeta. Anche questo, dal nostro punto di vista di terrestri, può deludere un po’: Marte non è un gran che come pianeta da esplorare; non è come fare un viaggio in Amazzonia, dove c'è tanta vita in superficie; qui invece è come se fosse tutto un immenso deserto. Per trovare la vita su Marte si deve quindi lavorare parecchio e spendere tanti soldi.

Va detto anche che, oltre alla Nasa e all’Esa, ci sono altre due agenzie spaziali che stanno avviando la ricerca verso Marte: una è Roskosmos, l'Agenzia spaziale russa; l'altra è la giapponese Jaxa: tutte e quattro hanno un ruolo importante sul pianeta rosso. La Cina e l'India invece puntano più sulla nostra Luna, perché, pur essendo ormai agenzie importanti, sono un po’ più indietro nella ricerca spaziale.

Lei cosa si attende da questa nuove missione?

La mia aspettativa ha degli aspetti molto personali, legati al nome di questa missione: Phoenix, come la Fenice della leggenda che è risorta dalle ceneri. Ebbene, il nostro Centro di Trieste stava tenendo un convegno in Venezuela, a Caracas, proprio nel momento in cui la missione precedente del 1999 stava per atterrare su un polo marziano: potete immaginare lo sconforto degli studenti quando, in collegamento diretto con la Nasa, la sonda è scomparsa e la missione è stata soppressa.

Adesso però è rinata e Phoenix è riuscita nella difficile impresa di arrivare morbidamente sopra la superficie, avendo una probabilità del 50% di fallire. Invece ha avuto successo e io spero in un prossimo futuro di vedere risultati importanti: per esempio se ci sono sacche d'acqua sotterranee, sulla natura dell'acqua, se era congelata o meno.

I mass media, semplificando, fanno spesso l'equazione: presenza d'acqua significa automaticamente evidenza di vita. Non le sembra riduttivo?

Sì, è riduttivo. D’altra parte non è semplice trovare la vita fuori dalla Terra. Sono tre i fattori da considerare: uno è la presenza d'acqua, l'altro è la fonte di energia, il terzo è l'abbondanza di atomi di carbonio. Sono tre elementi che rappresentano il denominatore comune della vita così come si è sviluppata sulla Terra. Quando si va verso Marte è naturale che si cerchi l'acqua, perchè senz'acqua non sarebbe possibile trovare la vita, le cellule viventi hanno bisogno di acqua per esistere.
Noi siamo quindi convinti che dove c'è l'acqua ci potrebbe essere vita.

Ma non necessariamente se c'è l'acqua c'è la vita. Anche al di là di Marte ci sono luoghi candidati potenziali alla vita, dove abbiamo ipotizzato la presenza di acqua: è il caso del satellite di Giove, Europa, e del satellite di Saturno, Encelado. Su Encelado è abbastanza chiaro che ci possa essere acqua, ma su Europa ci sarà una quantità d'acqua più grande. Dunque, cercare l'acqua è cercare la vita; ma non necessariamente è riuscire a trovare la vita, è questo il punto importante.

L'origine e l'evoluzione della vita sulla Terra in parte sono state spiegate dalle teorie evolutive, anche se ci sono ancora dei punti poco chiari e non del tutto spiegati. In questa situazione, ha senso utilizzare i paradigmi evoluzionistici per cercare la vita extraterrestre?

Questa è una domanda importante perchè c'è tanta confusione circa l'evoluzione e il darwinismo.
Posso iniziare a rispondere facendo il paragone della fisica, intesa come una scienza universale; ciò significa che se vediamo un corpo ruotare intorno a un altro, come un satellite intorno a un pianeta, diciamo a cento milioni di anni luce dalla Terra, noi pensiamo che la teoria della gravitazione di Newton vada abbastanza bene per calcolare la sua orbita.

Qualcuno può dire che forse la teoria di Einstein andrebbe ancora meglio, ma non dubitiamo che, fino a un certo grado di precisione, la fisica ci dà la sicurezza su come calcolare l’orbita di un pianeta extrasolare. Lo stesso si può dire per la chimica: se noi vediamo un pianeta molto lontano e troviamo atomi di carbonio o un atomo di ferro, nessuno dubita che ci sia una chimica diversa dalla nostra. Ecco, noi pensiamo che la fisica e la chimica siano scienze universali.

Ciò non vuol dire che è impossibile che ci sia qualcosa di sbagliato in fisica: ci sono molte cose ancora da capire, come ad esempio il grande problema della materia oscura che riempie la maggior parte dell’universo.

Cioè le teorie vanno sempre adattate all’osservazione della realtà …

Certamente. Ma torniamo alla biologia, sarebbe assurdo pensare che la biologia altrove debba essere diversa dalla nostra. Anche perché la biologia ha come base la stessa fisica e la chimica. Noi pensiamo che anche la biologia come la conosciamo oggi, e in particolare la teoria di Darwin, debba essere universale. In questo momento la teoria di Darwin è una teoria valida in biologia come lo è la teoria di Einstein in fisica; perciò noi cerchiamo la vita extraterrestre con un modello darwiniano.

Ma, ancora una volta, ciò non significa che non ci siano difficoltà nella biologia, che non ci siano fenomeni che devono essere spiegate meglio e che le teorie evolutive, come tutta le scienze sperimentali, non debbano essere migliorate.

Ancora diverso poi è il discorso delle implicazioni filosofiche dell’evoluzionismo. Mi arrabbio un po’ quando qualche mio collega che vuole generalizzare dicendo che con il darwinismo tutto è ridotto al caso e non c'è posto per Dio e la fede; la scienza ha i suoi limiti, il suo campo di applicazione e come scienziati professionisti possiamo spingerci fin dove le osservazioni e gli esperimenti appoggiano le nostre affermazioni.

È possibile che, viceversa, le indagini sulla vita extraterrestre poi ci aiutino a chiarire la storia e i meccanismi dell'evoluzione sul nostro pianeta?

Io sono abbastanza scettico, ma è un punto di vista molto personale, circa la possibilità di scoprire la vita su un pianeta come Marte; forse si riuscirà, ma io penso che non è quello il posto più ospitale. Dove la scoperta è più probabile, secondo la mia personale opinione, è su Europa, il satellite di Giove che ho citato prima, la seconda luna gioviana che Galileo ha scoperto 400 anni fa. È già stata programmata una missione, intitolata al matematico francese Laplace, che fra dieci anni sarà in grado di cercare la vita su Europa con probabilità maggiore che su Marte.

Il finanziamento di questa missione non è ancora stato approvato dall'Agenzia Spaziale Europea, ma dovrebbe essere simile a quello che gli americani hanno speso con Phoenix: 300 milioni di euro, che per il continente europeo è una quantità relativamente modesta. Io sono membro di questa missione, che è molto grande: siamo 360 sotto la direzione di Michel Blanc e per l’Italia siamo una ventina.

Io spero che questo progetto vada avanti e ciò anche per i motivi impliciti nella domanda. Se si trova la vita su Marte, noi pensiamo di poter capire meglio non soltanto l'evoluzione della vita ma l'origine della vita. Nel 2003 qui a Trieste abbiamo celebrato il 50esimo anniversario della scoperta di un giovane ragazzo americano, Stanley Miller, che nel 1953 ha incominciato una ricerca di chimica organica per vedere cosa la scienza può dirci sulla genesi della vita sulla Terra. Sono 50 anni che in tutti i laboratori del mondo si cerca di capire quella che chiamiamo “l'evoluzione chimica”.

Ma forse non dovremo aspettare altri 50 anni: io penso che se troviamo la vita su Europa e su Marte (in quell'ordine, prima su Europa poi su Marte), capiremmo molto più rapidamente come è nata la vita sulla Terra. È quella che gli ingegneri chiamano “reverse engineering”, cioè ingegneria al rovescio.

Cioè partendo dal prodotto finito si risale ai componenti…

Questo è il premio che io attendo con grande fiducia da Laplace o da una successiva missione: poter avere davanti a noi la vita extraterrestre. Non nella forma di un, pur simpatico, E.T., ma solo di una vita a livello cellulare, microscopica. All’ICTP stiamo lavorando in questa direzione, in collegamento con un gruppo israeliano; e pensiamo che trovare l'origine della vita sarebbe la cosa più importante nella storia dell'umanità. Su questo sto scrivendo un libro e ho voluto intitolarlo “La seconda genesi”, cioè quella che vedremo su Europa o su Marte.

Certo, in tal caso la nostra cultura soffrirà un colpo fortissimo; e penso che sia la filosofia che la teologia dovranno intensificare la discussione con gli scienziati. Non ho detto “distruggere la filosofia o la religione”: è tutto il contrario; si tratta di stimolare la lettura e l’approfondimento dei nostri libri sacri, come la Bibbia, o dei classici filosofici, in dialogo con la scienza, per capire meglio qual è la nostra posizione nell'universo.

(a cura di Mario Gargantini)

Fonte: http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=2457