Dalla potenzialità di scambio energetico degli elementi alle teorie di Kauffman.

«Se noi vogliamo dare il nome di anima a tutto quello che ha percezioni e appetizioni (…), tutte le sostanze semplici o monadi create possono essere chiamate anime».
G.W. Leibniz

Di Fausto Intilla http://www.oloscience.com/ [color=#a4794d]che ringrazio pubblicamente, per avermi donato una copia del suo libro “Verso una nuova scienza di confine” con affettuosa dedica. pasgal[/color]

La scienza purtroppo finora non è ancora riuscita a dare una definizione chiara e completa del concetto di “vita”; ossia, ciò che non si è ancora riusciti a capire è il motivo per cui determinate forme complesse di energia (stabili) diano origine a delle entità biologiche (o meglio sarebbe dire: si presentino sotto forma di entità biologiche), mentre altre no. [Da ora in avanti la sigla E.B. starà a significare: “Entità Biologica”].

Ebbene, in questo articolo esporrò su tale argomento una brevissima teoria prettamente personale e quindi del tutto confutabile, che si propone principalmente di porre in un altro punto focale e quindi in un'altra ottica di idee i concetti con cui vengono definite le parole “vita” ed “anima”. Inizierò quindi col suddividere le varie forme di energia presenti in natura in tre principali modelli tipologici, definiti in base alle caratteristiche di stato dell'energia che vien presa in considerazione. Otteniamo così tre distinte classi energetiche che ho denominato nel modo seguente:

a) Energia primaria: è rappresentata da forme complesse di energia (stabili), inattive e di durata più o meno illimitata (difficilmente degradabili in natura e di durata illimitata in assenza di agenti atmosferici, ossia nello spazio). In questa classe rientrano quindi tutti quei corpi che vengono comunemente definiti inerti.

b) Energia secondaria: è rappresentata da forme complesse di energia (stabili), attive (E.B), che possono restare tali (attive), unicamente assorbendo continuamente energia e formando quindi un sistema o ciclo di scambio energetico. Il fattore tempo in questo caso altera le funzionalità dell'E.B intesa come mezzo di scambio energetico. L'E.B diventa inattiva (ossia non assorbe più energia) e facilmente degradabile, quando si interrompe (per cause naturali o artificiali) il ciclo energetico confinato nella natura dell'E.B (cyclus mater) oppure il ciclo energetico definito dall'E.B e l'ambiente ad essa circostante (ciclo sistemico o primario). In termini popolari, tale fenomeno è in sintesi descritto dalla parola morte. La fase di degradazione dell'E.B inizia dapprima con la cessazione dell'attività cinetica dell'intera entità (ovviamente se si tratta di un'E.B appartenente al regno “animale”. Il perché ho messo tra virgolette il termine animale lo capirete quando in seguito scoprirete quanto siano sottili e difficili da stabilire, quando si analizzano le caratteristiche di entità microscopiche, i confini tra regno animale e regno vegetale), e poi con la graduale cessazione dell'attività di scambio energetico di tutti gli elementi (molecole organiche) che la costituiscono.

c) Energia terziaria: è rappresentata dal calore e da altre forme di energia dispersiva.

Ora, la domanda da un milione di euro è la seguente: “Da cosa nasce l'attività cinetica di un'entità biologica?”

Ebbene, per stabilirlo, occorre innanzitutto prendere in considerazione i seguenti aspetti della natura, descrivibili in termini fisici: alcuni elementi (C [Carbonio],H [Idrogeno],O [Ossigeno],N [Azoto]; tra cui l'elemento principale è il Carbonio, poiché è sempre presente in qualsiasi molecola organica), combinandosi tra loro danno origine a dei composti o molecole organiche che, a dipendenza del numero degli elementi di cui sono formati, vengono denominati binari, ternari o quaternari. Due composti, anche se formati entrambi dallo stesso tipo di elementi ed hanno quindi la stessa formula grezza, possono differire notevolmente l'uno dall'altro a causa di una loro differente formula di struttura (tale fenomeno è detto isomeria di struttura ed è dovuto ad una differente unione degli atomi fra loro) oppure a causa di una diversa posizione occupata da qualche atomo o gruppi atomici (isomeria di posizione). Qualsiasi molecola organica, per poter “sopravvivere”, deve costantemente assorbire energia dall'ambiente ad essa circostante, per poi immetterla nuovamente in tale ambiente, sotto forma di calore.

Durante questa fase o ciclo energetico, la molecola in questione presenta delle oscillazioni infinitamente piccole (attività cinetica), dovute al costante scambio energetico tra la molecola stessa e l'ambiente ad essa circostante. Qualsiasi molecola organica (o entità biologica) è quindi concepibile come un mezzo di scambio energetico. (In realtà tutti i composti di natura inorganica sono costituiti da atomi in costante vibrazione, e si potrebbero quindi anch'essi concepire come dei mezzi di scambio energetico, solo che, anche combinandosi tra loro in infiniti schemi, avranno sempre una potenzialità di scambio energetico estremamente bassa e quindi non potranno mai in ogni caso manifestare neppure la più misera attività cinetica). In tale ottica di idee, occorre quindi considerare il Carbonio, come un elemento dotato di un'alta PSE (potenzialità di scambio energetico).

Tale elemento, combinandosi con altri elementi (H,O,N), molto probabilmente anch'essi dotati di una certa PSE, accresce notevolmente la sua PSE dando origine al fenomeno dell'attività cinetica (oscillazioni), più o meno impercettibile, delle molecole organiche. La PSE delle molecole organiche cresce in modo esponenziale, quando queste ultime si combinano tra loro formando composti organici costituiti da milioni di molecole.

Ora resta comunque il seguente enigma: perché alcuni “milioni” di molecole organiche danno origine per esempio a un batterio (ossia a una entità biologica autorganizzantesi) mentre altri “milioni” di molecole danno origine a delle comuni cellule vegetali?

Una risposta potrebbe essere la seguente:
quando la PSE di un determinato composto organico cresce oltre un certo limite, innesca in tale composto un'attività cinetica così elevata da riuscire a provocare al suo interno una sorta di reazione in cui tutti i circuiti molecolari (definiti da determinate reazioni chimiche di scomposizione degli elementi), si uniscono secondo determinati schemi e danno quindi origine ad una sorta di “intelligenza”, il cui principale scopo è quello di coordinare l'attività cinetica dell'intero composto organico, al fine di ottenere un determinato modello di auto-organizzazione energetica, all'insegna del più basso spreco di energia.

Ecco forse come nascono i batteri e tante altre entità biologiche “pensanti”; ecco forse come nasce la vita animale.

Di una cosa l'uomo può sicuramente vantarsi, ossia di essere il più complesso mezzo di scambio energetico presente sulla Terra.

Il biofisico americano Stuart Kaufmann ha cercato di dare un contenuto concreto all'idea che la vita nasca mediante l'auto-organizzazione (concentrandosi su un fenomeno chimico noto come autocatalisi). Le idee di Kauffman sono state esposte brillantemente in uno dei suoi ultimi libri da Paul Davies (“Da dove viene la vita”, ed. Mondadori, Milano). Il famoso fisico australiano, a pag.153 del libro in questione, inizia a ricordare al lettore che: «un catalizzatore è un tipo di molecola che promuove una reazione tra altre molecole senza esserne alterata». Prosegue poi nella descrizione dettagliata delle ipotesi di Kauffman:

Immaginiamo quindi un brodo primordiale che vede svolgersi contemporaneamente numerose reazioni diverse, in cui complesse molecole organiche si creano e si distruggono, combinandosi con altre molecole o scindendosi in frammenti. C'è una vasta e intricata serie di reazioni in atto; se vogliamo, un ecosistema chimico. Supponiamo ora che in questo brodo ribollente alcune molecole si trovino a giocare un duplice ruolo: da un lato che entrino in determinate reazioni chimiche come reagenti o come prodotti, dall'altra che partecipino a reazioni diverse quali catalizzatori. In tal caso può succedere che la presenza di una molecola M abbia l'effetto di catalizzare la stessa sequenza di reazioni che porta alla produzione di M. La sua esistenza accelera quindi la creazione di altre copie della stessa molecola; da qui il termine autocatalisi. Quando si verifica tale processo, si instaura un ciclo di retroazioni sempre più intenso, generando una rete di reazioni che si autorinforza

Le analogie con la mia teoria sulla PSE (potenzialità di scambio energetico) di determinati elementi risultano a questo punto evidenti. Premetto comunque di aver scoperto solo di recente le ipotesi-teorie di Kauffman; cosa che ovviamente non ha potuto far altro che “rallegrarmi” e rendermi di conseguenza più “convinto” su tutto ciò che da tempo vado affermando sull'origine della vita. Tornando ora alle ipotesi di Kauffman, sempre nella stessa pagina Davies si pone la domanda: «Che cosa succede a questo punto?» Ecco la sua risposta:

Quando la varietà di molecole nella rete è sufficiente, il sistema varca una soglia critica. Kauffman prevede un brusco salto in un gigantesco ciclo autocatalitico, un processo di auto-organizzazione simile all'improvvisa transizione da un liquido omogeneo alle particelle di convezione [1]. Questo ciclo più elevato, e molto più complesso, è una forma elementare di metabolismo, cioè l'insieme di processi chimici organizzati del tipo immaginato da Oparin e Dyson come contenuto delle loro vescicole. Il tutto avviene senza il coinvolgimento di particolari molecole di RNA e senza bisogno di un apparato genetico; gli acidi nucleici arriveranno più tardi

Interessanti sono inoltre queste sue altre considerazioni:

Se Kauffman è sulla strada giusta,forse la vita è la conseguenza non di una particolare chimica organica, ma delle leggi matematiche universali che governano il comportamento di tutti i sistemi complessi, indipendentemente dalla loro composizione

Egli però fa osservare che esiste in questo tipo di approccio un problema di fondo, di natura concettuale:

La vita in realtà non è un esempio di auto-organizzazione. La vita è organizzazione specificata, cioè diretta geneticamente. Gli organismi seguono le istruzioni codificate nel loro DNA,o RNA. Le particelle di convezione si formano spontaneamente per auto-organizzazione; non esiste un gene specifico. La fonte dell'ordine in questo caso non è codificata in un software, ma si può individuare nelle condizioni dell'ambiente con cui è a contatto il liquido. È il flusso di calore ed entropia attraverso i suoi confini che promuove l'auto-organizzazione, e sono la forma, le dimensioni e la natura di questi confini a determinare i dettagli dell'aspetto delle cellule. In altre parole, l'ordine di una particella di convezione è imposto esternamente dall'ambiente che circonda il sistema

È divertente (… ma non certo scientifico) osservare come quest'ultima frase di Paul Davies presenterebbe delle strette analogie con la teoria di Herbert Simon sull'organizzazione dei “sistemi umani”, qualora si sostituissero le parole “particella di convezione” con la parola “individuo”: «L'ordine di un individuo è imposto esternamente, dall'ambiente che circonda il sistema».

Un concetto che il famoso H. Simon espresse comunque con altre parole, molto più significative: «Un uomo, considerato come sistema soggetto di comportamento, è piuttosto semplice. L'apparente complessità del suo comportamento nel tempo è in larga misura un riflesso della complessità dell'ambiente in cui si trova».

Davies nel suo libro sottolinea che:

Finora la teoria dell'auto-organizzazione non ha dato indicazioni su come sarebbe avvenuto il passaggio tra l'organizzazione spontanea (o autoindotta) e il complesso sistema genetico basato sull'informazione, tipico dei viventi. Una spiegazione di tale avvicendamento genetico non può limitarsi a rendere conto dell'origine, in uno stadio successivo, degli acidi nucleici e del loro stretto interagire con le proteine. Non basta sapere in quale modo siano nate queste gigantesche molecole o come abbiano incominciato ad interagire. Bisogna chiarire anche come è venuto alla luce il software del sistema; anzi, dobbiamo capire in che modo il concetto stesso di controllo mediante un software è stato scoperto dalla natura (…). In assenza di un nuovo principio di auto-organizzazione che induca la produzione di una complessità di tipo algoritmico, una parte essenziale della storia della biogenesi resta inesplicabile

Ed io a questo punto aggiungerei: una sorta di “algoritmo della natura”, la cui caratteristica principale è quella di stabilire un ciclo termodinamico all'insegna del più basso spreco di energia (in relazione ovviamente ad ogni entità biologica). Un algoritmo che forse è presente nel nostro Universo sin dalla notte dei tempi, ma che non siamo ancora riusciti a scoprire.

Autocritica dell'autore

Mi accingo a scrivere queste mie nuove ed ultime considerazioni sull'argomento di questo articolo, a causa di numerose critiche tutt'altro che positive, ricevute di recente da parecchi colleghi di lavoro con specializzazione in biochimica e biologia molecolare, sul concetto di potenzialità di scambio energetico, che io ho relazionato ad alcuni elementi della materia organica, ipotizzando il Carbonio come miglior candidato nell'espletare un simile “comportamento” a livello atomico-nucleare.

Le critiche che queste persone hanno avanzato nei miei confronti, si basano su un dato di fatto che in biochimica è stato ormai appurato da tempo immemorabile (e che ovviamente anche io do per scontato), ovvero: Il Fosforo e lo Zolfo (anch'essi inclusi, oltre all'Ossigeno, l'Idrogeno, l'Azoto e il Carbonio, nella “classe principale” degli elementi della materia organica), per certi versi si possono definire analoghi rispettivamente all'Azoto e all'Ossigeno, solo che si trovano nella terza riga del sistema periodico.

Gli atomi di questa riga tendono a completare l'ottetto di elettroni, come quelli della seconda riga, ma la formazione dell'ottetto non satura il guscio più esterno, il terzo. Quindi gli atomi della terza riga hanno a disposizione i cinque orbitali 3d del terzo guscio, che possono contenere altre cinque paia di elettroni. Questa capacità di formare ulteriori legami permette al Fosforo (P) e allo Zolfo (S) di svolgere un ruolo essenziale nei sistemi biologici. Ma il fatto più rilevante in tale contesto, ovvero quello che ha dato adito alle critiche che sono state mosse nei miei confronti, rimane comunque il seguente: l'azione di gran lunga più importante svolta da questi elementi consiste nel fungere da agenti per il trasferimento di energia e di gruppi atomici nelle reazioni chimiche.

La maggior parte delle reazioni di produzione di energia e di trasferimento di gruppi è dovuta ai fosfati organici, in particolare all'ATP (adenosintrifosfato), ma anche lo Zolfo forma tre tipi di molecole con legami ad “alta energia”, che possono fornire energia alle reazioni biochimiche. La molecola di ATP rimane quindi la principale fonte di energia per le reazioni biochimiche nelle cellule. Le molecole di ATP vengono sintetizzate usando l'energia liberata dall'ossidazione di composti quali gli zuccheri. In esse l'energia viene immagazzinata nei legami “fosforici”, nel senso che rompendo questi legami si libera energia che può essere usata per sviluppare altre reazioni. I tre motivi che rendono unici lo Zolfo e il Fosforo per reazioni di trasferimento di energia e di gruppi atomici sono i seguenti:

a) questi elementi formano legami più aperti, e di solito più deboli, dei loro congeneri situati sulla seconda riga della tavola periodica degli elementi (questa proprietà induce un'instabilità che facilita le reazioni di scambio);

b) hanno orbitali 3d che permettono loro di avere valenza maggiore di quattro;

c) conservano la capacità di formare legami multipli, proprietà condivisa solo da Carbonio, Azoto e Ossigeno (quest'ultima proprietà aumenta enormemente la varietà dei mutamenti che possono prodursi).

Tutte queste considerazioni o assunti, che io ovviamente condivido nel modo più assoluto, non vanno comunque a intaccare (a mio avviso) le mie ipotesi sulla potenzialità di scambio energetico di un elemento quale il Carbonio, che ho ritenuto essere più elevata rispetto ad altri elementi appartenenti alla prima classe-categoria della materia organica. L'errore, che in tale contesto è assai facile commettere, è quello di uguagliare il concetto di “potenzialità di scambio energetico” con quello di “quantità reale-effettiva di scambio energetico” (legata come abbiamo visto principalmente agli elementi Fosforo e Zolfo). Infatti, un elemento potrebbe avere una potenzialità di scambio energetico più bassa, rispetto ad un altro elemento, ma essere in grado comunque di trasferire, rispetto a quest'ultimo, molta più energia.

Tutto ovviamente dipende dai legami che possono stabilirsi o meno tra i diversi elementi presi in considerazione. L'effettiva potenzialità di scambio energetico di un elemento potrà quindi espletarsi solo in determinate condizioni di interazione con altri elementi; in assenza di queste condizioni, tale potenzialità rimarrebbe quasi sicuramente nascosta agli occhi di qualsiasi osservatore. La potenzialità di scambio energetico di un elemento non è quindi un “fenomeno” che si possa misurare in base alle interazioni stabilite con altri elementi, poiché dipende essenzialmente dalla natura intrinseca dell'elemento considerato. Anche se queste mie ultime considerazioni potranno apparire a molti di voi poco o del tutto insensate, ritengo comunque che debbano essere valutate ugualmente con attenzione (come occorrerebbe fare per qualsiasi altra nuova ipotesi o teoria, in qualsiasi contesto scientifico; e in special modo quando esse sono addirittura supportate dall'evidenza sperimentale… come nel caso della fusione fredda, per fare un esempio).

PSE e stabilità nucleare

Se è vero che la “potenzialità di scambio energetico” non è misurabile in base alle interazioni stabilite con altri elementi (poiché dipende essenzialmente dalla natura intrinseca dell'elemento considerato), forse una strada per avvicinarsi alla comprensione è porre la PSE in relazione con un dato di fatto assai importante nel campo della fisica nucleare, ovvero: la forza nucleare (per i nuclei leggeri) permette di raggiungere la massima stabilità se il numero dei neutroni è all'incirca uguale al numero dei protoni.

Ora, come ben sappiamo, gli elementi come il Carbonio, l'Azoto e l'Ossigeno rispondono a questa caratteristica. Ciò che ancora non sono riuscito a risolvere-intravedere è il possibile rapporto, la relazione, che sussiste tra la mia idea-ipotesi di “potenzialità di scambio energetico” e i diversi “valori” di stabilità nucleare di determinati elementi (con “valori” intendo dei semplici rapporti matematici inerenti al calcolo delle probabilità). Il punto è che, a mio avviso, la “potenzialità di scambio energetico” di un elemento non è da ricercarsi fondamentalmente ad un livello atomico-molecolare, bensì ad un livello molto più profondo, ossia nucleare. Tale potenzialità potrebbe essere intesa come una sorta di “trasposizione” dell'”indice di stabilità nucleare”, definibile esclusivamente in termini di probabilità matematiche, e non come quantità esatta di energia trasferita in un determinato contesto atomico-molecolare. La tentazione sarebbe quella di affermare che maggiore è l'indice di stabilità nucleare di un elemento, più alta è la potenzialità di scambio energetico dello stesso; ma non dispongo di alcun riscontro sperimentale che possa dimostrarlo.


[1] Secondo Kauffman, le particelle di convezione sarebbero quelle predisposte allo scambio di energia in un sistema termodinamico, e il loro ordine sarebbe imposto esternamente, dall'ambiente che circonda il sistema. Al contrario, l'ordine delle cellule viventi deriva dal loro controllo interno, dai propri geni, situati in una microscopica molecola racchiusa nelle profondità del sistema, che trasmette chimicamente le sue istruzioni all'esterno. Anche se l'ambiente, nel caso di una cellula, è in grado di influenzare la stessa attraverso la sua membrana, rimane comunque il fatto che i caratteri fondamentali di un organismo sono determinati principalmente dai suoi geni.

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