Draghi e polli (articolo di C. Messora)

Con viva sorpresa, ieri abbiamo scoperto che Claudio Messora, recalcitrante ad occuparsi di scie tossiche, ha pubblicato un editoriale dove, pur non trattando lo spinoso tema, rimpiange i tempi in cui “il cielo era una tela azzurra senza scie bianche”. Intendiamoci: Messora è uomo intelligente e se, fino ad ora, non ha affrontato l'argomento, è per il timore delle aggressioni perpetrate dai triviali disinformatori. E' chiaro che, aprendo le finestre al mattino, Messora constata lo scempio chimico. Tacere va bene, ma fingere che tutto sia normale è molto più difficile. Non so quanti lettori abbiano colto l'allusione alle chemtrails, magnetizzati da altri contenuti del testo scritto da Messora, non tutti condivisibili, ma efficacemente raggrumati in uno scenario che ricorda la sfigurata, orrida pittura di Francis Bacon. Che il blogger di Byoblu accenni alle manipolazioni atmosferiche è comunque un buon segno. E' l''indizio di un cambiamento di rotta, benché probabilmente tardivo, poiché il tempo corre inesorabile.

Mario Draghi dice che dobbiamo andare in pensione dopo.

La medicina ci fa vivere più a lungo, mentre la tecnologia fa in modo che il nostro corpo si usuri di meno. I bambini nati oggi vivranno almeno fino a cento anni. Stando così le cose, potremmo finalmente avere la possibilità di smettere di lavorare quando ancora siamo in ottima forma e abbiamo ancora trenta o quarant’anni di perfetta salute. Potremmo finalmente goderci la vita. Invece Draghi dice che, siccome la vita si allunga, allora bisogna lavorare di più.

A questo punto è evidente che il fine di ciò che comunemente viene chiamato progresso non è il benessere. Diecimila anni fa la vita durava cinque volte di meno, ma si vedeva un numero di tramonti infinitamente superiore: perfino uno al giorno, volendo. L’acqua dei fiumi si poteva bere e il cielo era una tela azzurra senza scie bianche. Si potevano raccogliere i funghi senza tesserino, si poteva girare il mondo senza respingimenti alle frontiere – Maroni non era ancora nato – e c’era sempre qualcosa di utile da fare e da poter offrire in cambio di cibo, cure e protezione. Non serviva niente di più e niente di meno.

Che cos’abbiamo ottenuto diecimila anni dopo? I nostri figli vivranno cento anni ma lavoreranno fino a novantanove. La fatica stessa sarà scissa dalle finalità di produzione cui è applicata, cosicché un uomo sarà il corrispondente di un cavallo vapore nel cilindro di un motore a scoppio. I fiumi attraverseranno le nostre città come vene varicose dalle pareti incrostate di colesterolo, come tubi di scarico mefitici e velenosi, come intestini che veicolano liquami e composti chimici. Il cielo somiglierà sempre di più al filtro di un’aspirapolvere dopo l’utilizzo di una domestica eccessivamente zelante. L’atmosfera diverrà calda, maleodorante e irrespirabile come l’aria intrappolata sotto alle coperte quando la pancia vi riversa il suo fiato nauseabondo. Le case diverranno sempre più piccole, le camere più claustrofobiche, gli schermi che proiettano una vita immaginaria sempre più larghi, la fantasia sempre più fervida per soddisfare il richiamo ancestrale verso un mondo primordiale fatto di atavici istinti di cui si sono persi ricordo e significato.

Non stiamo aumentando la durata della vita, ma quella della morte.

Come le galline in una batteria di polli, che devono solo essere spremute fino all’ultimo uovo. Come i bovini in un allevamento di carni da macello, che devono solo crescere fino a quando il cervello non verrà loro aspirato. Come le pecore, che devono solo essere tosate fino all’ultima ciocca di vello.

Così noi… che per Draghi dobbiamo solo lavorare, fino all’ultima rata del mutuo.

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