Geopolimeri. La vera storia delle piramidi – part.1

Geopolimeri. La vera storia delle piramidi – part.1

livre_DavidovitsLa scienza, le conoscenze dell’antico Egitto sono state in gran parte perdute, a causa del supporto sul quale esse erano state riportate: il papiro, una materia deteriorabile e combustibile, che veniva utilizzata come supporto per la scrittura in un paese dove non c’è disponibilità di legno.

Fino all’inizio del secolo scorso persino migliaia di mummie sono state utilizzate come combustibile (anche per alimentare le locomotive a vapore!). Allora immaginate l’enorme quantità di papiri bruciati nel corso dei millenni; dei preziosissimi papiri per cuocere il pranzo, per scaldarsi la notte! Senza parlare dei vari incendi della famosissima biblioteca d’Alessandria, si parla di 40 mila a 70 mila papiri bruciati nel durante il più famoso di questi incendi.

A causa di questo i documenti che riguardavano la medicina, la matematica, ecc. sono rarissimi, resta solo qualche papiro miracolosamente preservato. Al contrario, grazie alle, quasi indistruttibili, tavolette cuneiformi di terracotta noi conosciamo tante cose sulla civiltà babilonese (esempio i metri cubi della biblioteca di Ninive).

Da non dimenticare che, purtroppo, moltissime conoscenze di queste civiltà erano appannaggio delle caste sacerdotali, che le custodivano gelosamente al loro interno tenendole segrete e tramandandole di bocca in bocca.

Dunque conoscere la civiltà egizia è quasi impossibile, non possiamo pretendere di scoprire sulle mura di un tempio o di una piramide i dettagli sul metodo che fu usato per costruirla, sarebbe come se in futuro delle persone volessero decriptare la nostra epoca decifrando dei pannelli pubblicitari, o cose simili.

Ci sono numerosi misteri da chiarire.

Coppa in gneiss, n° 99. Catalogo dell'Esposizione dell'Arte Egiziana all'Epoca delle Piramidi. Museo Nazionale del Louvre, Foto del 1999, estratta dal libro "La nouvelle histoire des piramides"
Coppa in gneiss, n° 99. Catalogo dell’Esposizione dell’Arte Egiziana all’Epoca delle Piramidi. Museo Nazionale del Louvre, Foto del 1999, estratta dal libro “La nouvelle histoire des piramides”

Ecco ad esempio una coppa in gneiss (1) esposta al museo del Louvre. Essa fa parte dell’immensa collezione di “vasi in pietra dura” trovati nelle tombe di Saqqarah in Egitto (Anziano Impero).

Nessuno sa, al giorno d’oggi, tagliare una coppa come quella della foto, soprattutto utilizzando gli attrezzi dell’epoca. Al contrario questa coppa sembra essere stata fatta ripiegando la materia, come se fosse plastica!

Ma come hanno fatto gli antichi egiziani? Sapevano realizzare una pietra ricostituita talmente così dura? Impossibile!?

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Tracce di calco alla corda all’interno di un vaso di pietra “dura”.

E questa traccia “di corda” all’interno di un vaso in pietra massiccia? E’ stata usata la tecnica detta “con la corda” usata per realizzare giare di argilla?

La tecnica della corda: Questa tecnica permette di realizzare grandi giare con l’aiuto di una sagoma di legno intorno la quale si avvolge una fune di canapa.

La sagoma è in seguito ricoperta di uno strato d’argilla. L’operazione terminata la superficie della giara è lisciata con una stecca di legno.

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La giara viene poi messa a cuocere in forno e poi messa a raffreddare. Quando è fredda si smonta e si ritira la sagoma di legno. Infine la corda può essere tolta. Essa lascerà un’impronta all’interno della giara, la stessa traccia che si nota nell’antica giara egiziana.

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Come è possibile, a partire di blocchi di pietra estremamente dura, realizzare migliaia di oggetti ritrovati nei siti di Saqqara come quelli della foto qui di seguito:

Foto estratta dal libro di Davidovits. Vasi in pietra dura 3500 av. GC, museo del Louvre.
Foto estratta dal libro di Davidovits. Vasi in pietra dura 3500 av. GC, museo del Louvre.

Queste “anomalie” non sono le sole. Esistono statue di quarzite, una pietra talmente dura, che non si sa come come avrebbero potuto essere realizzate con scalpelli in bronzo!

37-3772-OHQZF00ZE i giganteschi colossi di Memnon, che pesano molte centinaia di tonnellate. Come sono stati trasportati e messi in loco (3)? Perché non si riesce a trovare la cava, vicina o lontana, dalla quale questi blocchi sono stati estratti, e si continua a cercare e a fare solo ipotesi?

E ancora: Nella Grande Galleria della piramide di Cheope si possono vedere dei blocchi di venti tonnellate che combaciano talmente bene fra i piani di giunzione che non ci si può infilare una lima per le unghie. L’assemblaggio (sia nel piano orizzontale che verticale) è dell’ordine di un decimo di millimetro! Perché? Meccanicamente non esiste nessuna utilità.

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Inclusione calcarea nella piramide di Chefren (foto del 1999)

Meccanicamente non esiste nessuna utilità. La perfetta giunzione sul piano orizzontale evita ovviamente un qualsiasi slittamento dei blocchi, ma la perfetta giunzione nel piano verticale sarebbe stato un lavoro inutile, e se i blocchi fossero stati lavorati allo scalpello, un’enorme perdita di tempo.

Cosa ci fa un’inclusione in una pietra massiccia?

Nessun archeologo “ufficiale” è riuscito a spiegare questi misteri, Anzi cercano di dimenticare il “problema”.

Ma se le piramidi fossero state costruite con un metodo simile al filmato qui sotto?

Un esperimento condotto da Davidovits, realizzato con i materiali e gli utensili simili a quelli utilizzati all’epoca:


IL CEMENTO DEI FARAONI

I “geopolimeri” (la colla Geologica) scoperti da Davidovits all’inizio degli anni ’70 risolvono qualsiasi problema!

Quello che gli scienziati contemporanei non riescono ad ingoiare è il fatto che tali realizzazioni possano fondarsi su delle tecniche “futuriste” vecchie di 5000 anni (minimo), e non sono stati essi stessi a scoprirne il segreto…

Davidovits ha dimostrato che ricostruire la pietra è altrettanto facile che utilizzare i nostri cementi, anche se purtroppo con questi ultimi noi siamo ancora allo stadio primitivo. Infatti la longevità dei nostri cementi è molto limitata, 50-70 anni circa. Inoltre essi perdono, col tempo, le loro caratteristiche meccaniche.

I nostri cementi sono porosi e subiscono una degradazione chimica esterna ed interna. Così che i nostri “monumenti”, i grattaceli, ponti, porti, ecc. sono delle costruzioni con una data di scadenza. Ed abbiamo la tendenza a dimenticarlo.

La pietrificazione è un fenomeno di metamorfosi. Le conchiglie (calcare) formano dei sedimenti, che subiscono durante dei periodi lunghissimi una enorme pressione e si trasformano. Esistono vari stadi di trasformazione che dipendono dal tempo trascorso. Inversamente, il calcare è solubile nell’acqua, e questo fatto crea dei fiumi sotterranei, e rilievi carsici, i quali che si formano non solo per erosione, ma principalmente per dissoluzione.

Sulla pianura di Giza esistono differenti filoni di minerali calcarei, corrispondenti a differenti stadi di trasformazione. Uno di questi, da cui si estrae il famoso natron (2) del video, si presta facilmente ad una degradazione in elemento acquoso. Da qui la sua tesi.

geopolimeri
Immagine estratta dal libro ” Ils ont bàti les pyramides “

Tutto questo funziona tanto bene che i geologi sono d’accordo nel dire che questo calcare di sintesi è totalmente identico al calcare naturale.Insomma ora possiamo ricreare le pietre e le rocce copiando il (lungo) lavoro della natura.

Attenzione, Davidovits ammette che le pietre ricostituite, con questo metodo, di dimensione superiore a 1,50 metri cubi, si fessurano, perché semplicemente che manca un ingrediente, che gli egiziani sicuramente adoperavano. Un sapere perduto…

Per capirci, prendiamo ad esempio il cemento Portland, ed un cemento a presa rapida. Il primo è identico al secondo ma con un “rallentatore di presa”. Se noi conoscessimo solo il cemento a presa rapida, saremmo incapaci di creare dei blocchi di grandi dimensioni, missione impossibile.

techniques_egyptiennesEcco le due tecniche utilizzate in Egitto. Esse corrispondono a tradizioni, materiali e divinità differenti:

Nord Antico Regno, le Piramidi e il dio Khnum dalla testa d’ariete detto anche Vasaio Divino (4): tecnica della pietra agglomerata.

Sud Nuovo Regno, la Valle dei Re e il dio Amon (5): tecnica della pietra lavorata.


(1) Lo gneiss (si pronuncia gnaiss con la “g” dura) è una delle più comuni [rocce metamorfiche] costituenti la crosta continentale. È il risultato del metamorfismo regionale dinamotermico di rocce originarie (protoliti) di composizione sialica, ovvero ricche di quarzo e feldspati e povere di silicati ferro-magnesiaci.

Si forma a grande profondità, per effetto delle mutate condizioni di pressione e temperatura, nelle zone di convergenza di due placche, durante la fase di subduzione e in quella successiva di collisione continentale, che danno origine alle catene montuose.

(2) Natron (carbonato idrato di sodio) deriva il suo nome dalla parola latina con cui si indicava la soda. In Egitto esistono numerosi giacimenti, ma in una cava in particolare, Wadi el-Natrun a circa 80 km dal Cairo, si estrae un natron che, per la sua proprietà di assorbire l’acqua, era utilizzato dagli antichi egizi, per l’imbalsamazione .

(3) I Colossi di Memnone sono stati studiati approfonditamente in una famosa ricerca dei primi anni ’70 pubblicata su Science, in cui la tecnica di analisi INAA è stata impiegata per determinare la sorgente da cui proveniva la quarzite di cui sono costituiti i Colossi.

I Colossi di Memnone si trovano in prossimità di Luxor. Essi sono stati scolpiti a partire di due monoblocchi di quarzite (ri-costituita?), la roccia più dura tra quelle impiegate per monumenti di grandi dimensioni. Viste le dimensioni più che ragguardevoli dei blocchi (~ 700 tonnellate), gli archeologi si posero il problema di identificare la cava da cui essi erano stati prelevati.

Esistevano in Egitto non più di sei cave di quarzite con pietra dalle caratteristiche idonee alla scultura; di queste, la più vicina alla zona dei Colossi (nella piana occidentale di Tebe) si trova a 60 km a monte di Tebe.

Nello studio non sono state considerate cave senza ragionevole accesso al Nilo, per l’impossibilità di trasportare pesi così elevati su terreno collinoso e a così grande distanza; sono quindi state scartate le cave del Sinai e di Wadi-Natrun (forse dei sacchi di natron in polvere?).

L’analisi INAA è stata effettuata su un numero elevato di campioni prelevati sia dai Colossi, sia dalle cave. Il contenuto di ferro ed europio determinato nei campioni di quarzite delle cave e dall’analisi INAA dei campioni di quarzite prelevati sui Colossi, è facile concludere che la sorgente più probabile dei blocchi è quella di Gebel el Ahmar, vicino al Cairo. Ma non è noto il motivo per cui gli antichi Egizi abbiano scelto di trasportare due blocchi di 700 tonnellate per circa 680 km in direzione sud a sfavore di corrente!

Alcune parti di una delle due statue hanno però una concentrazione di ferro ed europio compatibile con le cave di Assuan: ciò è spiegabile storicamente con l’intervento restaurativo fatto eseguire dall’imperatore romano Settimio Severo nel III secolo d.C., effettuato con blocchi prelevati da cave più vicine.

(4) Khnum (ẖnmw) è una divinità della mitologia egizia, particolarmente venerata ad Assuan, in Egitto. Si considera protettore delle sorgenti del Nilo e della potenza creatrice delle inondazioni; viene raffigurato come un uomo con la testa di ariete, a volte sormontata da una croce, mentre tiene in mano l’ankh. Secondo il mito plasmò l’uovo della creazione, e viene considerato il Vasaio Divino, che dona la vita alle sue creazioni modellandole al tornio con il limo del fiume egizio.

(5) Amon (‘Imn, in italiano anche Ammone; letteralmente il misterioso o il nascosto) è una delle principali divinità della mitologia egizia.

Post, liberamente tradotto da Giuditta, dell’astrofisico, esperto d’aereospaziale, egittologo, direttore del CNRS francese, ecc. Jean Pierre Petit

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