Gli eventi estremi e l’inutilità della lotta alla CO2

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Di Enzo Pennetta 

E’ stato pubblicato il rapporto ONU sugli eventi estremi negli ultimi 40 anni.
Un caso che potrebbe essere oggetto di studio su come si possano veicolare informazioni fuorvianti.

E’ da poco stato pubblicato l’ “Atlas of mortality and economic losses from weather, climate and water extremes (1970–2012)“, un documento della World Meteorologica Association che riporta i danni causati dagli eventi estremi tra il 1970 e il 2012. I dati contenuti all’interno sono certamente corretti, ma non si tratta di uno studio sulle cause degli eventi stessi e non c’è niente che farebbe emergere un collegamento tra la teoria dell’AGW e un incremento degli eventi estremi e di danni da essi causati, eppure questo collegamento viene proposto. Nello studio della WMA troviamo infatti a pag. 4 una denuncia delle conseguenze delle emissioni dei gas serra:

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Della pubblicazione se ne è occupata anche Le Scienze che sintetizza la situazione:

Il dato più evidente che emerge dalle statistiche è che i disastri naturali legati al meteo o al clima sono in costante aumento, nei paesi industrializzati e in quelli in via di sviluppo. E come mostrano le analisi più dettagliate, questo trend è dovuto sia a un aumento della frequenza degli eventi sia a una crescente vulnerabilità delle società umane, specialmente per quella fascia di popolazione che sopravvive ai margini dello sviluppo. In molte nazioni, per esempio, lo sviluppo avviene nelle aree più sensibili agli eventi estremi, come i litorali, minacciati dall’innalzamento del livello del mare, oltre che da cicloni tropicali o tempeste nelle regioni extra-tropicali. Un altro fenomeno evidente è che la globalizzazione ha amplificato l’impatto economico degli eventi estremi. Nel 2011, per esempio, la Thailandia è stata colpita da un’alluvione di notevoli dimensioni che ha interrotto la fornitura di pezzi per l’industria automobilistica ed l’elettronica, prodotti nel paese e destinati all’esterno. Il risultato è stata una perdita economica stimata in 41 miliardi di dollari.

La tendenza dei disastri legati agli eventi estremi viene indicata in aumento, ma i danni sono in realtà da attribuire alla maggiore vulnerabilità delle società umane poste in condizioni economiche insoddisfacenti e quindi non in grado di realizzare strutture adeguate. In sintesi la conclusione sembra adattarsi alla situazione della favola dei tre porcellini in cui era la diversa robustezza della casa a fare la differenza e non una diversa intensità della minaccia. Negli stessi giorni in cui veniva pubblicato il report della WMA, il prof. Roger Pielke, Jr. “professor of environmental studies at the Center for Science and Technology Policy Research at the University of Colorado“, pubblicava un grafico ricavato dai dati del Munich Re e dell‘ONU stessa, nel quale la situazione appare diversa:

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In questo grafico le perdite economiche dovute ai disastri naturali di origine meteorologica, rapportati al PIL, appaiono in costante diminuzione.

Se quindi sull’articolo di Le Scienze i disastri vengono indicati in aumento e dai dati di Pielke Jr. emerge invece l’incidenza sul PIL è in diminuzione, chi dei due ha ragione? Probabilmente entrambi, infatti la differenza è in cosa si è evidenziato nei due casi. Facendo una sintesi dei due studi si giunge ad una conclusione unificata che vede una maggiore vulnerabilità dei paesi poveri in termini di perdita di vite umane, e una maggiore vulnerabilità dei paesi sviluppati in termini di danni economici. Ma al tempo stesso i danni economici hanno rappresentato in termini percentuali una porzione decrescente del PIL.

In conclusione viene indicato un aumento degli eventi estremi ma non ci sono prove che sia dovuto alle emissioni di CO2. Ma, fatto ancor più importante, certamente i danni causati non dipendono dagli eventi in sé ma dalle strutture su cui vanno a verificarsi. Non saranno quindi gli investimenti nella riduzione delle emissioni di CO2 a diminuire la mortalità ma gli investimenti in strutture realizzate secondo delle buone regole edilizie e urbanistiche. E riguardo alle società più forti economicamente, è proprio la riduzione in termini di incidenza percentuale sul PIL dei danni prodotti dagli eventi estremi a dimostrare che esse hanno ridotto le conseguenze di tali eventi, un dato in controtendenza all’aumento di numero degli eventi stessi.

Lo studio del WMO dimostra in definitiva quanto sia dannoso investire sulle riduzioni delle emissioni di CO2, una politica che sottrae risorse agli interventi strutturali sul territori che sarebbero invece risolutivi per affrontare gli eventi estremi. E in ultima analisi lo studio dimostra che la teoria dell’AGW, riversando le colpe sulla CO2, può mascherare le responsabilità di scelte economiche che mantengono il sottosviluppo derubricando i danni causati dall’impoverimento economico a danni dovuti ai cambiamenti climatici.

Fonte: enzopennetta.it