Godman, l’universo olografico, parte I

Godman, l’universo olografico, parte I

Godman, l’universo olografico, parte I – di Alessandro De Angelis e Michele Nardelli

Cari lettori, il 20 novembre 2012 abbiamo tenuto – alla presenza di un sacerdote – una conferenza in una chiesa di Roma gremita di parrocchiani, dove abbiamo esposto le ultime ricerche di fisica quantistica e illustrato la teoria dell’olomultiverso digitale. Nella conferenza, abbiamo inoltre presentato il nostro ultimo libro – la cui uscita è prevista per febbraio 2013 – “Godman, l’universo olografico. Oltre la mente di Dio vol. III” (edito dalla Uno Editori), incentrato sulle ultime scoperte della meccanica quantistica e dove, dopo la descrizione dell’esperienza premorte dell’autore (Alessandro De Angelis), si è cercato – in un tentativo che rasenta l’utopia – di fornire risposte a domande apparentemente impossibili, come «chi siamo?», «da dove veniamo?» e «cosa esiste oltre la nostra esperienza corporale?».

Nella stesura del libro ci siamo avvalsi della collaborazione di valenti fisici, tra i quali il matematico Michele Nardelli, che ha risolto l’equazione della teoria del tutto (riportata nel nostro libro), riuscendo a unificare le tre forze fondamentali della fisica con la gravità.

Lascio l’incombenza di questo compito all’amico Michele, non prima di avere analizzato una dimensione esclusa dalla teoria del tutto: il tempo.

Cosa è il tempo?

Per molti secoli filosofi e scienziati di varie branche hanno cercato di fornire risposta senza giungere a un punto d’intesa. Sappiamo, come ci ha mostrato Albert Einstein, che esso varia a seconda dell’osservatore e che avvicinandosi sull’orizzonte degli eventi di un buco nero esso rallenta, fino ad arrestarsi del tutto. Per definizione, il tempo è dunque il susseguirsi degli eventi. Andando ancora più a monte, noi sosteniamo che esso sia la conseguenza dell’esistenza.

L’esistenza di ogni specie vivente è caratterizzata da eventi, dalle azioni che compiamo quotidianamente, dal battito del nostro cuore al movimento degli atomi e delle particelle subatomiche di cui siamo composti.

Se il tempo si fermasse e se tutta la variabilità di ciò che ci circonda, che genera movimento, si arrestasse, il nostro cervello non percepirebbe più i bit d’informazione che decodifica attraverso i sensi, arrestandosi con esso tutti gli impulsi elettrochimici da esso prodotti per decifrare la nostra realtà. È dunque il movimento e la variabilità degli eventi che ci permette di assaporare la nostra esistenza.

Ora, se tutto questo fosse il risultato prodotto da una intelligenza creatrice superiore – che gli uomini chiamano Dio –, anch’esso sarebbe collocabile all’interno del tempo?

Lo stesso atto di creazione attraverso l’esplosione del Big Bang è di per sé un evento che lo collocherebbe all’interno di esso, creando un prima e un dopo l’evento stesso. Se inoltre con “Dio” vogliamo intendere il dio della Bibbia, esso compie azioni come entità fisica addirittura in prima persona (si veda l’omicidio del figlio di Davide in II Samuele 12:14-18; l’uccisione di un uomo reo di avere tagliato la legna durante lo shabbat in Numeri 15-32-36 ecc.), rapportandosi e relazionandosi con il genere umano.

Ma un dio, sicuramente più trascendente di quello veterotestamentario, prima della creazione sarebbe stato soggetto all’incedere del tempo? Abbiamo detto che qualsiasi movimento e variabilità esistenziale collocherebbe qualsiasi soggetto all’interno del tempo. Ora ipotizziamo che “Dio” sia una entità energetica. Se questa fosse quieta e immobile, non estrinsecherebbe neanche più la sua stessa esistenza, annichilendosi. Se alla sua energia fosse legata anche una frequenza di vibrazione, e se questa frequenza fosse fissa e non variabile, giungerebbe a un punto dove questa non sarebbe più percepibile. Un po’ come un massaggiatore che, sfregando le mani sul nostro corpo, ci trasmette calore e piacere tramite l’attrito generato, mentre se le sue mani fossero ferme sul nostro corpo, alla fine non lo percepiremmo nemmeno più.

Quindi questa frequenza di vibrazione deve essere legata a una variabilità, come ho visto nell’esperienza premorte da me vissuta all’età di 17 anni e che apre il percorso del libro Godman.

Ma andiamo oltre. Se noi dovessimo supporre l’esistenza di una entità creatrice, dovremmo concepirla perfetta, in quanto se non lo fosse potrebbe esplicare una presunta creazione in maniera sbagliata o addirittura malvagia. Tuttavia se fosse perfetta dovrebbe avere tutto e non essere mancante di nulla, mentre prima della creazione sarebbe stata mancante di questa. La dottrina della Chiesa, per uscire da questa incongruenza, risponde che “Dio” crea per amore, perché la sua stessa essenza è amore e quindi connotata esistenzialmente. Questo comporterebbe che “Dio” dovrebbe creare sin dalla sua origine esistenziale, ma, essendo esso eterno, e dunque andando il suo tempo indietro all’infinito, anche la nostra esistenza dovrebbe volgere indietro all’infinito fino a coincidere la sua: mai creati e sempre esistiti. Noi saremmo Dio.

Lasciamo la parola al fisico teorico Michele Nardelli che esporrà le sue analisi scientifiche sulla questione del tempo e la sua implicazione nella meccanica quantistica.

Tempo e gravità quantistica

In fisicail tempo di Planck è l’unità naturale del tempo. È considerato il più breve intervallo di tempo misurabile. Esso è uguale a 5,391X10 alla-44s ~ 10 alla-43s . Il tempo di Planck è il tempo che impiega un fotone che viaggia alla velocità della luce per percorrere una distanza pari alla lunghezza di Planck. È il “quanto del tempo”, la più piccola misurazione del tempo che abbia qualche significato. L’età stimata dell’universo (4,3 · 1017 s) è di circa 8 · 1060  tP.

La lunghezza di Planck è, invece, uguale a 1,616252X10 alla -35m ~ 10 alla -35m.

Essendo la distanza (o lunghezza) di Planck Dp uguale a 1,616252 * 10-35 m, e la velocità della luce avendo un valore nel vuoto pari a c0 = 299 792 458 m/s, il tempo di Planck Tp finisce con l’essere:

Tp = Dp / 299 792,458 = 1,616252 * 10-35 / 299 792 458  ≈ 5,391 * 10-44 sec ≈ 10-43 sec.

Notiamo che il valore 5,391 è praticamente uguale a 5,39344663 che è una frequenza del sistema musicale Aureo, praticamente un sistema musicale le cui “frequenze” corrispondono a “potenze” di Phi che è il cosiddetto “rapporto aureo” che è uguale a 1,618033989… = (√5 + 1) / 2. Anche il valore 1,616252 è praticamente uguale a 1,61607036, anch’esso corrispondente ad una frequenza del sistema musicale Aureo (il sistema musicale Aureo è stato concepito in quanto, secondo gli studi del Nardelli, le stringhe essendo delle “cordicelle” infinitesimali, “vibrano” come le corde di un violino e le “note” che emettono corrispondono alle moltissime particelle elementari reali e/o virtuali).

Ma cosa c’era prima del tempo di Planck? È possibile intravedere una teoria “unificata” sull’origine dell’Universo e sull’unificazione delle forze? Per rispondere a queste domande, prenderemo spunto dallo studio descritto nel libro dei fratelli Igor e Grichka Bogdanov: “Prima del Big Bang – L’origine dell’Universo”.

È interessante, ai nostri scopi, come viene analizzata la questione del “tempo di Planck” e di cosa poteva esistere prima di esso.

Se alla scala di Planck il pre-spazio-tempo era in equilibrio, allora doveva necessariamente trovarsi in uno stato fisico molto speciale, denominato “stato KMS (Kubo, Martin, Schwinger)”: una condizione che dominò i primissimi istanti dell’universo nascente. Che cos’è lo stato KMS? La condizione KMS è fondamentale nella teoria quantistica. Essa permette di caratterizzare in modo completo gli stati di equilibrio termico di un sistema.

La condizione KMS stabilisce una relazione naturale tra l’evoluzione del tempo – che è sottoposta alla metrica lorentziana (+++ –) – e lo stato di equilibrio, che è sottoposto alla metrica euclidea (++++). E questo ci porta molto semplicemente verso una metrica “sovrapposta” (+++±), vale a dire verso un tempo complesso che comporta una direzione reale ed una direzione immaginaria pura. La condizione KMS non è altro che questo: attraverso la relazione stabilita tra equilibrio ed evoluzione del sistema, conduce necessariamente verso un tempo complesso, lo stesso che dominava il “mondo” alla scala di Planck.

Quando raggiungiamo la scala di Planck, lo spazio si dissolve in una specie di “schiuma quantistica”. Le scoperte sulla “fluttuazione del tempo” cominciano a dirci che cosa contenga quel vuoto: qualcosa che potremmo paragonare ad una specie di “oceano scatenato”. A questa scala, la profondità dell’oceano quantistico è colossale: il fondo (ossia la scala 0) si trova ad una distanza che, per quanto sia finita, sembra in un certo senso infinita: migliaia di miliardi di anni luce.

La cosa interessante è che l’espansione che permette di passare dalla scala zero alla scala di Planck è di tipo logaritmico. In altre parole, l’espansione dell’universo prima del Big Bang segue una spirale logaritmica che in matematica viene definita “spirale aurea”. È interessante evidenziare anche che 43, quindi l’esponente del “tempo di Planck” 10-43, è dato dalla somma delle seguenti potenze di Phi: 0,2229 + 7,8541 + 10,4721 + 12,7082 + 11,7446 = 43,0019 ≈ 43. (Difatti se approssimiamo alle due cifre decimali otteniamo: 0.22 + 7.85 + 10.47 + 11.75 + 12.71 = 43). I matematici hanno dimostrato che anche se giriamo un numero infinito di volte intorno al Punto Zero, la distanza percorsa resta finita.

E questo spiega che anche se il Punto Zero sembra trovarsi a una distanza infinita dal “Muro di Planck” (quanto di spazio-tempo più piccolo possibile del nostro universo fisico), è comunque possibile raggiungerlo. L’oceano quantistico è un ambiente instabile a cinque dimensioni: la dimensione supplementare raccoglie le fluttuazioni della quarta coordinata, che si trasforma alternativamente in coordinata di genere spazio e/o di genere tempo.

Questo “oceano” a cinque dimensioni è fatto di quella sostanza primordiale che dominava all’epoca di Planck: metriche libere, estremo supporto dello spazio e del tempo. Che cosa sono queste metriche? In effetti, bisogna vederle come “atomi”: le metriche sono “atomi” di spazio o di tempo. Ne esistono soltanto due classi: innanzitutto, i “monopoli” (cariche magnetiche o gravitazionali che hanno non due, ma un solo polo) che troviamo nello spazio-tempo e la cui segnatura è (+++ –), ma anche i cosiddetti “istantoni”, la cui segnatura è euclidea (++++). Contrariamente ai monopoli, che sono dotati di un’energia, gli istantoni contengono esclusivamente “informazione”. Sono compatti (chiusi), dotati di un’elevata simmetria e totalmente statici. L’informazione che trasportano è contenuta in quella che la fisica-matematica definisce “carica topologica”.

Li si incontra soltanto nell’Altrove (ossia, dall’altra parte del cono di luce). È stato notato che esiste, a 4 dimensioni, una relazione di “dualità” fra monopoli ed istantoni. In prossimità del Muro di Planck, a dominare è l’azione (ossia l’energia) dei monopoli; il tempo “scorre” ed è reale. Al contrario, intorno al Punto Zero ad avere la meglio è l’azione euclidea degli istantoni; il tempo cessa di scorrere e diviene immaginario. Più ci spingiamo in profondità nell’”oceano quantistico”, più lo spazio delle metriche si fa “agitato”.

Per via delle fluttuazioni della curvatura dello spazio primigenio, i monopoli si trasformano in istantoni prima di tornare ad essere monopoli; la metrica comincia a fluttuare fra le due configurazioni. Poi, via via che progrediamo verso gli “abissi”, i vortici (mulinelli) quantistici si fanno più imponenti: a metà strada fra la superficie (la scala di Planck) ed il fondo (la scala zero), fluttuazioni gravitazionali molto violente aprono immensi vortici nell’oceano quantistico, nei quali “sprofondano” monopoli ed istantoni in un turbinio che oscilla fra correnti di energia e di informazione.

Al centro di questa spaventosa “tempesta” primordiale, onde di metriche degenerate si spingono nel vuoto per mescolare monopoli ed istantoni in una “schiuma quantistica” in cui l’informazione diviene energia. Questo formidabile passaggio tra informazione primordiale ed energia è, in fondo, legato alla trasformazione del tempo immaginario in tempo reale. Tutto questo avveniva nell’epoca lontanissima in cui l’universo primigenio era sottoposto, nella sua totalità, alla supersimmetria della condizione KMS.

Là, nel cuore dell’oceano quantistico, monopoli ed istantoni erano in numero uguale, le metriche lorentziane ed euclidee erano completamente sovrapposte. Questo spazio di sovrapposizione era uno spazio complesso a 5 dimensioni la cui quarta coordinata (a seconda delle fluttuazioni della curvatura) si trasformava alternativamente in tempo reale (lorentziano) e/o in tempo immaginario puro (euclideo). Vi fu quindi un tempo in cui i lampi di energia altro non erano che nubi d’informazione.

Poi a mano a mano che ci si spinge verso lo zero, verso il fondale estremo del nostro oceano, le fluttuazioni perdono progressivamente intensità. A poco a poco, gli istantoni divengono più stabili, cessano di trasformarsi in monopoli così che, nel momento in cui finalmente ci avviciniamo al fondo, esiste soltanto qualche rarissimo monopolo: gli istantoni euclidei dominano interamente il paesaggio.

E qui, quando finalmente siamo in vista della scala zero, scopriamo qualcosa di straordinario: tutti gli istantoni convergono in una spirale (aurea) verso il Punto Zero dove si sovrappongono, si confondono e si fondono in un unico istantone a quattro dimensioni: l’istantone gravitazionale singolare di dimensione zero.

Quella che i fisici teorici chiamano “densità di carica topologica”, per quell’istantone di dimensioni nulle, è infinita. Quella configurazione primordiale, allo stesso tempo infinitamente semplice ed infinitamente complessa, contiene da sola tutta l’informazione dell’intero universo, da zero all’infinito. Si tratta di un oggetto puramente topologico, che vive fuori dal tempo reale e che racchiude in sé tutta l’evoluzione dell’universo in tempo immaginario.

Tali istantoni hanno la forma di una “palla” a quattro dimensioni il cui bordo consiste in una sfera a tre dimensioni. Di recente, soprattutto sotto l’impulso di S. Hawking, è stato sviluppato il modello degli “istantoni gravitazionali”, in cui il campo di forza considerato è la supergravità (connessa alla teoria delle stringhe ed alla M-Teoria). Questo è il tipo di istantone che viene considerato in tale ricerca, cioè gli istantoni che poterono essere implicati nei dintorni della Singolarità Iniziale dello spazio-tempo, quando l’intensità della gravitazione era equivalente a quella delle altre tre forze dell’universo.

Gli istantoni gravitazionali possono anch’essi essere definiti dalla loro azione. Essa si presenta sotto forma di una somma che vede come addendi da una parte l’integrale (calcolato in uno spazio a quattro dimensioni) del quadrato della curvatura del pre-spazio-tempo e, dall’altra parte, ciò che definiamo “carica topologica della configurazione” (che, per definizione, è un invariante). Il primo termine, che per costruzione è finito, misura quindi l’intensità dell’”effetto tunnel” caratterizzante l’istantone.

La soluzione istantone può essere vista come una traiettoria tunnel fra due stati di energia nulla separati da una barriera. In questo senso, un istantone gravitazionale può collegare istantaneamente due punti dello spazio-tempo lontanissimi l’uno dall’altro, quale che sia la loro distanza. L’effetto tunnel è molto grande (in pratica massimo) nei pressi della Singolarità Iniziale, laddove la barriera fra due punti raggiunge la sua massima altezza per via della fenomenale entità della curvatura.

Diminuisce poi a mano a mano che si considerano scale di spazio-tempo via via più grandi (e quindi curvature sempre meno forti), fino a diventare praticamente nulla alle scale ordinarie che caratterizzano l’universo odierno (vale a dire, nello spazio-tempo piatto). Il secondo termine, a differenza del primo, è indipendente dalla scala spazio-temporale. Si tratta della carica topologica dell’istantone, che è in relazione con il prodotto della curvatura dello spazio-tempo per il suo duale. Essa rappresenta una proprietà globale della configurazione, del tutto indipendente dalla scala (ossia dalla dimensione dell’istantone). Questo significa che la carica topologica è conservata dappertutto, anche nel momento in cui l’istantone raggiunge una dimensione nulla.

L’istantone gravitazionale singolare è un punto: la sua dimensione è zero, non occupa alcun volume nello spazio, né alcun istante nel tempo.

L’energia dell’istantone è immaginaria. Questa straordinaria “pseudo-particella” è caratterizzata da una specie di carica astratta che gli esperti hanno chiamato “carica topologica” e che è invariante. Si potrebbe paragonare questa carica ad una quantità invariante di informazione, come quella contenuta in un DVD. Al Punto Zero esiste un “potenziale topologico” (descritto dalla funzione delta); quest’ultimo propaga all’infinito la carica topologica dell’istantone iniziale di dimensione nulla.

Il Punto Zero può così essere visto come un’infinità di istantoni di dimensioni nulle raccolti su di un unico punto (un po’ come oggi milioni di libri sono compattati nei minuscoli solchi di un DVD). Allo stesso modo, un’infinità di istantoni si trovano sovrapposti al Punto Zero, conferendogli una ricchezza infinita in termini di informazione.

Più precisamente, la densità della carica topologica, che aumenta con il numero di istantoni, diviene qui infinita. Ed ecco dove sta il segreto dell’espansione topologica che precedette l’espansione fisica dell’universo: per ritrovare il suo stato fondamentale (corrispondente ad una densità di carica topologica nulla), il raggio dell’istantone deve diventare infinito. Anche qui, ritroviamo nuovamente questa “legge algebrica” che spinge lo zero verso l’infinito.

Come concepire la nascita del tempo?

A mano a mano che la spirale aurea degli istantoni si svolge, nuovi numeri fanno la loro comparsa, a partire da 0, poi 1, poi 2, ecc…, fino all’infinito: il raggio della bolla cambia, così che essa cresce e dà l’avvio a una formidabile espansione. E all’infinito, il raggio è infinitamente grande. Come bolle di sapone di tutte le dimensioni, le sfere si propagano verso l’infinito, spinte unicamente dalla dinamica dei numeri reali. Grandi o piccole che siano, le bolle sono lì, tutte allo stesso istante, tutte equivalenti.

Quando la bolla cresce ed il suo raggio diventa infinito, significa che il suo bordo si è infinitamente allontanato dal centro (il punto che rappresenta l’origine). Visto dal bordo, il centro è talmente lontano da essere scomparso: togliendo il centro abbiamo soppresso in un colpo solo tutto l’interno della bolla.

Questo perché una bolla è ciò che in topologia si definisce “spazio connesso” ed un punto qualsiasi preso dal suo interno non ha quindi alcuna scala: può essere “grande” quanto la bolla stessa. Di conseguenza, una volta tolto il centro della bolla, resta soltanto il bordo, ossia la sfera a tre dimensioni che chiamiamo S3.

L’interno della sfera non esiste più: è diventato immaginario. Come per la sfera normale S2 (un pallone da calcio) l’interno era la terza dimensione dello spazio, nel caso di S3 l’interno che abbiamo tolto altro non era che la quarta dimensione.

Questo significa allora che la quarta dimensione spaziale della bolla è divenuta immaginaria. Ma che cos’è una dimensione di spazio immaginario? Molto semplicemente, è la dimensione del tempo reale. All’interno della bolla a quattro dimensioni, la quarta dimensione spaziale è stata sostituita dall’unica direzione che possa trovarsi “nella bolla” senza comunque occupare spazio alcuno, la dimensione del tempo reale.

Togliendo il nostro punto sul raggio della bolla, quest’ultimo ha ruotato su se stesso di 90° all’interno, diventando una retta immaginaria (ossia il tempo, che come sappiamo è misurato con numeri immaginari). Da qui in poi, gli istantoni (che sono oggetti compatti, ossia chiusi su se stessi) scompaiono. Allo stesso modo, il gruppo di simmetria che li governava (il gruppo SO(4), anch’esso un gruppo compatto) “esplode”, perde la sua simmetria fondamentale e si apre improvvisamente su SO(3,1), cioè il gruppo di simmetria di Lorentz, non compatto, il gruppo dello spazio-tempo, quello che ci permette, in ogni istante, di misurare le trasformazioni nel tempo reale.

È dunque dall’”esplosione” della metrica euclidea che nasce la metrica lorentziana: quella in cui abbiamo il ricordo del passato ed il desiderio del futuro. In conclusione, togliere alla bolla dei numeri un punto significa aprirla nella direzione del tempo. Significa, cioè, portarla a non essere più statica (chiusa nella direzione del tempo immaginario), ma renderla dinamica (aperta nella direzione del tempo reale).

Quando togliamo un punto alla nostra bolla, essa “cambia di scala”: il tempo reale comincia a fare il proprio lavoro ed i numeri si aggiungono agli altri senza più fermarsi. Il risultato è che la bolla dei numeri cresce e la vediamo crescere, cambiare di scala ad ogni istante: ormai il tempo è nato. Il sorprendente fenomeno che è stato appena descritto mostra dunque come, all’infinito del tempo immaginario, nasca il tempo reale.

Ed è quando il tempo “si apre” che comincia quella famosa “oscillazione della metrica” fra tempo reale e tempo immaginario: è l’era del tempo “complesso” in cui lo spazio-tempo evolve su cinque dimensioni, contemporaneamente tempo reale ed immaginario.

È qui, all’infinito rispetto a zero, che avviene il fenomeno di “decompattazione” del tempo: la fisica definisce quel momento “istante di Planck” (o tempo di Planck). Solo in quell’istante comincia l’ultima tappa: il tempo immaginario è scomparso, l’energia immaginaria si converte in energia reale ed il “Big Bang caldo” prende l’avvio. Con esso, comincia l’espansione dell’universo, che avviene soltanto nel tempo reale.

È questo, quindi, il fantastico potere dello zero, il suo mistero affascinante: dispiegare tutta l’informazione numerica che contiene in potenza. E se supponiamo che il punto della Singolarità Iniziale altro non sia che l’immagine dello zero, allora la rappresentazione “geometrica” di quel che abbiamo appena visto ci ha permesso di assistere all’espansione fredda, silenziosa, della sfera originale da zero all’infinito.

Un’espansione che, tenuto conto di quanto appena visto, non è soltanto naturale: è inevitabile, inscritta nell’esistenza stessa dello zero. Questo è il segreto del primo Big Bang, quello che ha permesso la transizione da zero verso l’infinito proiettato sul Muro di Planck. Un Big Bang freddo e buio, grazie al quale c’è stato qualcosa a partire dal nulla; attraverso il quale l’infinito è sbocciato dallo zero. E l’essere dal nulla.

Tratto dal libro
Godman, l’universo olografico
di Alessio e Alessandro De Angelis
con collaborazione
e prefazione di Michele Nardelli, fisico e matematico