Goodbye, blue sky

Goodbye, blue sky è la celebre canzone dei Pink Floyd del 1979, contenuta nell'album “The wall”. Breve ma tagliente come una staffilata, la composizione è trafitta dall'orrore di un'inascoltata profezia. Nel video del pezzo, la colomba vola solo per qualche istante, presto ingoiata da un'aquila di ferro ed annientata da squadriglie di bombardieri che assumono le forme funeree di croci.

I fari della contraerea, il sangue, le macerie e gli uomini raggomitolati nei rifugi, ridotti a maschere subumane con le loro inutili maschere antigas, sono immagini lancinanti, mentre, per contrappunto, le note di una desolata poesia scorrono tranquille, onde di un mare appena increspato. Il cielo azzurro è la sfocata memoria di un delirio febbricitante: ora il cielo è un coperchio grigio, metallico che rimanda l'eco dell'indifferenza.

E' l'indifferenza di chi assiste alle guerre tramite la televisione, tra le nevrosi quotidiane ed il malcelato fastidio per queste schegge visive di morte e di arti amputati confitte nella folle normalità del quotidiano.

E l'indifferenza di chi crede che la guerra sia sempre lontana, altrove, ignorando che l'attacco può essere strisciante, come un filo di tempesta che s'insinua in una fessura dimenticata.

Puoi sentire le bombe cadere e le grida di paura tu che non senti la vita?

La colomba, alla fine, si allontana dalla nera marea della terra, da questa terra cui è estranea, come l'innocente chiaroveggenza del bambino che esclama inconsapevolmente conscio: “Guarda, mamma, c'è un aeroplano lassù in alto”.

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