I cannoni di agosto 2007: il dito di Cheney è già sul grilletto.

Il Giornale Online
Il Guardian di Londra dello scorso 16 luglio riferiva che il presidente Bush, subendo la forte influenza del suo vice Dick Cheney, sarebbe favorevole a condurre un’azione militare contro l’Iran prima che finisca il suo mandato.

Sembra infatti che Cheney abbia sfruttato alcuni incontri, avvenuti nei mesi di giugno e luglio tra alti funzionari della Casa Bianca, del Pentagono e del Dipartimento di Stato, per suggerire che a fronte del fallimento dei tentativi diplomatici promossi dal Segretario di Stato Condoleezza Rice e dal Segretario alla Difesa Robert Gates, non si possa sperare che un’altra Amministrazione degli Stati Uniti, successiva a Bush, avrà il coraggio di agire militarmente contro Teheran.

Bush, allora, avrebbe abboccato ancora una volta: così è tornato a vagare per le strade di Washington lo spettro di una nuova guerra preventiva nel Golfo Persico.

L’EIR ha contattato fonti molto informate in proposito le quali, oltre a confermare, hanno commentato quella che sembra una soffiata al Guardian da parte di ambienti vicini alla Casa Bianca che si oppongono ad un attacco contro l’Iran. Le fonti dell’EIR hanno confermato l’ennesima subordinazione del presidente Bush, il quale è tornato a favorire Cheney, sostenendo cioè che i presunti impianti nucleari militari debbano essere colpiti preventivamente; pare che uno degli argomenti più persuasivi adoperati da Cheney e dai suoi compari neoconservatori è che in mancanza di un attacco americano a Teheran, ci penserebbero gli israeliani a colpire per primi, e che questo creerebbe una confusione ancor più grande, a Washington.

Ancora secondo il Guardian, parlando a nome di alcuni protettori di Cheney a Londra, Patrick Cronin, direttore di studi presso la sezione londinese dell’Istituto Internazionale di Studi Strategici (IISS), uno dei principali ‘pensatoi’ anglo-americani, ha detto: “Cheney ha ancora poche carte da giocare, ma se volesse usarle tutte in questo momento, potrebbe avere ancora un certo impatto… La linea rossa non è in Iran. La linea rossa è in Israele. Se Israele si attiene alla linea dura, allora attaccherà; gli Stati Uniti dovranno poi intraprendere azioni decisive. Le opzioni quindi sono: dire di no ad Israele, lasciare che Israele faccia il lavoro, o farlo da sé”.

Il consenso tra gli strateghi militari americani è sull’incapacità di Israele di arrecare un serio danno al programma iraniano, senza il ricorso alle armi nucleari, poiché esso ora sarebbe fin troppo ampiamente diffuso sul territorio nazionale.

I DUE LIEBERMAN

Mentre conduceva il suo gioco di potere in seno all’Amministrazione, Cheney ha ricevuto sostegno dai “due Lieberman”. Nei primi giorni di luglio, il Ministro israeliano per gli Affari Strategici Avigdor Lieberman ha visitato Bruxelles per incontrare alcuni funzionari della NATO e al suo ritorno ha detto, parlando alla Radio dell’Esercito israeliana, di aver ottenuto il sostegno degli Stati Uniti e dell’Europa in fatto di attacchi preventivi contro i siti nucleari iraniani.

Lieberman, noto tra gli analisti israeliani come “la cosa in Israele più vicina ad un nazionalsocialista”, ha sostenuto che, se Israele lanciasse un attacco aereo contro i siti nucleari dell’Iran, la NATO si unirebbe a difesa di Israele in caso di risposta da parte iraniana. Lieberman non avrebbe potuto essere più palese: “Siamo bloccati in Afghanistan, e le truppe europee e americane si stanno crogiolando nel caos insolubile dell’Iraq; è una situazione che impedisce ai leader delle nazioni europee e americane di decidere di usare o no la forza per distruggere gli impianti nucleari iraniani.

Dunque”, egli ha concluso, “alla fine della fiera, Israele dovrà rimuovere le minacce nucleari create dall’Iran con i mezzi a sua disposizione, e non potrà contare sul sostegno della cooperazione internazionale”. Ma, ha poi dichiarato, “l’Europa e gli Stati Uniti ci sosterranno”.

Lo stesso giorno in cui Avigdor Lieberman stava minacciando un’azione preventiva israeliana, l’ex senatore democratico Joseph Lieberman ha introdotto un emendamento alla proposta di bilancio del Dipartimento della Difesa, richiedendo che le agenzie d’intelligence americane redigano un rapporto al Congresso sulle attività iraniane in Iraq ogni 60 giorni.

Con tale emendamento, Lieberman mirava chiaramente a far registrare ufficialmente una prima traccia del sostegno da parte del Senato ad una politica ostile all’Iran; nonostante quell’emendamento contenesse alcune frasi dubbiose, se non apertamente false, insinuanti il sostegno da parte iraniana di operazioni militari contro le truppe americane di stanza in Iraq, il Senato ha votato supinamente a favore del suo complotto, all’unanimità.

Se vi fossero ancora dubbi sul fatto che Joe Lieberman si muove in stretto coordinamento con Cheney, basti la lettura dell’emendamento a chiarire la situazione. Esso è stato ampiamente citato dal generale Kevin Bergner, ex consigliere militare del neo-con Elliott Abrams al National Security Council, il quale è stato mandato a Baghdad nel giugno 2007, per condurre una speciale manipolazione per conto della Casa Bianca sui reportage di guerra.

Da Baghdad, Bergner ha organizzato una sorta di flusso continuo di disinformazione o di affermazioni esagerate sul coinvolgimento iraniano nell’insorgenza irachena. La sua propaganda da Baghdad, stando a fonti del Pentagono, ha infuriato gli Stati Maggiori Riuniti, i quali vi vedono un revival di false informazioni, fornite dall’Ufficio per i Progetti Speciali del Pentagono (Office for Special Plans) all’Ufficio del Vicepresidente, nella escalation verso l’invasione dell’Iraq. Questa volta, non v’è nemmeno l’accortezza nel far provenire la propaganda bellica dai servizi d’intelligence del Pentagono. Questa volta, le “balle” vengono direttamente da Baghdad, attraverso il generale Bergner, e giungono immediatamente a Cheney, Lieberman, ecc., e trovano sempre più spazio su CNN e altri media.

RIMUOVERE CHENEY

L’operazione di Cheney nasce in risposta agli sviluppi internazionali positivi, principalmente dovuti alle iniziative degli ex presidenti americani Clinton e Bush Sr., con i quali si è giunti, tra l’altro, al vertice di Kennebunkport, durante il quale il presidente russo Putin ha proposto un accordo strategico tra USA e Russia che fa eco alla iniziale proposta di Lyndon LaRouche, nota con il nome datole da Reagan, l’Iniziativa di Difesa Strategica (SDI).

E’ per questo motivo che Lyndon LaRouche, in un dialogo con alcuni diplomatici, avvenuto a Washington il 19 luglio scorso, ha ribadito la necessità di rimuovere Cheney dal potere, per evitare che i Cannoni d’Agosto tuonino ancora.

E’ per questo stesso motivo che LaRouche ha ripetuto l’invito ad Hillary Clinton di chiedere l’impeachment, con il quale ella si garantirebbe una “vittoria per acclamazione” nella corsa alla Casa Bianca.

Le parole di LaRouche sono ascoltate anche in ambienti repubblicani ove la permanenza di Cheney alla Casa Bianca è sempre più vista come un elemento che contribuirà alla perdita delle elezioni presidenziali del 2008. Alcuni repubblicani, come Bruce Fein (ex funzionario del Dipartimento di Giustizia all’epoca di Reagan), Patrick Buchanan, (ex candidato presidenziale) e Phil Giraldi, ex funzionario della CIA e ora editorialista della rivista American Conservative, si sono già spinti a chiedere l’estromissione immediata di Cheney per porre fine al fiasco in Iraq.

Il ruolo di Cheney nel caos iracheno è reso più evidente dalle notizie più fresche che riguardano le diverse “insorgenze”. L’Arabia Saudita, stando ad alcune rivelazioni di esperti di intelligence in colloquio con l’EIR, starebbe versando denaro e armi nelle mani delle tribù sunnite dell’Iraq settentrionale, attraverso il consigliere di sicurezza nazionale del Re Abdullah, che è nientepopodimenoché il principe Bandar, principale alleato di Cheney.

Queste nuove formazioni di “ribelli” si affiancano all’organizzazione di Bin Laden, come una “seconda Al-Qaeda”, per servire al gioco di Cheney, nello schema previsto a Londra da gente come Bernard Lewis, per scatenare un conflitto permanente tra sunniti e sciiti.

Così, il patto Cheney-Bandar si presenta come uno dei fattori propulsivi e provocatori di una prossima esplosione armata. Un emissario del principe Bandar, per esempio, in questo mese di luglio ha finanziato con 750.000 dollari il gruppo Mujahideen e-Khalq (MEK), che riunisce degli esuli iraniani un tempo al soldo di Saddam Hussein, una delle organizzazioni elencate nella lista del terrorismo internazionale del Dipartimento di Stato USA. Il MEK al momento è impegnato in operazioni di assassinio e sabotaggio in territorio iraniano, con il supporto entusiastico di alcuni neo-con a Washington, tra cui Daniel Pipes, il quale ha recentemente partecipato ad un loro incontro nei pressi di Parigi.

Il Principe Bandar è al centro dello scandalo della britannica BAE Systems. I suoi fondi neri, ora sono al servizio dello schema guerrafondaio di Cheney. Per quanto riguarda lo scandalo della BAE Systems, rimandiamo i lettori alle pagine:
movisol.org/07news105.htm, movisol.org/07news107.htm

di Jeffrey Steinberg – 24/07/2007

fonti:movisol.org , ariannaeditrice.it