I guerrieri dell'arcobaleno

Il Giornale Online
Inviato da Skorpion

Non ho ancora trovato il tempo di parlare di precognizione e profezia, sebbene nell’ambito della nuova scienza abbia già parlato della scientificità dei fenomeni ESP; in attesa di spiegare con dovizia di particolari quali possano essere la basi scientifiche della possibilità di vedere nel futuro (lo farò al più presto) voglio regalarvi questa profezia che ho trovato (sincronicamente) quando stavo pensando: “Ma le profezie sulla fine di questa epoca non mi sembrano molto precise, perchè non parlano mai del ruolo di chi si oppone ai Grandi Criminali che vogliono costruire il Nuovo Ordine Mondiale, a chi si oppone all' avvelenamento della nostra Madre Terra”

Molte tribù di nativi del Nord America (“pellirosse”) condividono (a parte alcune sfumature differenti) questa leggenda o profezia dei Guerrieri dell’Arcobaleno, che qui riporto nella narrazione di indiano pueblo di oggi.
Essa è tratta dal libro di Chris Morton e Ceri Louise Thomas, Il mistero delle 13 chiavi, Sonzogno 1993, pag 310, 3

“Gli antenati narravano che esseri dalla pelle chiara sarebbero giunti dal mare orientale su grandi canoe mosse da immense ali bianche, simili a giganteschi uccelli. Le persone scese da queste grandi imbarcazioni sarebbero state anch'esse simili a uccelli, ma avrebbero avuto i piedi di due diverse forme: uno di colomba, l’al­tro di aquila. Il piede di colomba rappresenterebbe una nuova splendida religione di amore e gentilezza, mentre quello di aquila rappresenterebbe l’avidità per le ricchezze materiali, l'arroganza tecnologica e la perizia guerriera.

Per molti anni il piede artigliato dell'aquila avrebbe dominato perché, sebbene questo nuovo popolo avesse parlato molto della nuova religione, non tutti i visi pallidi vivevano secondo i suoi det­tami; avrebbero invece artigliato gli indiani col loro piede di aqui­la, uccidendoli, sfruttandoli e infine riducendoli in schiavitù.

Dopo aver offerto una certa resistenza a quella sopraffazione, gli indiani avrebbero perso il coraggio, finendo per lasciarsi sospin­gere come un gregge e segregare in territori angusti per molti, molti anni. Poi però sarebbe venuto il tempo in cui la Terra si sarebbe ammalata a causa dell'avidità senza freni della nuova civiltà… liquidi e metalli mortiferi, aria irrespirabile per fumi e ceneri, e persino la pioggia, anziché purificare la Terra, avrebbe riversato gocce avvelenate di piombo. Gli uccelli sarebbero cadu­ti dal cielo, i pesci sarebbero venuti a galla col ventre per aria e tutte le foreste avrebbero incominciato a morire.

Quando queste previsioni avessero cominciato ad avverarsi, il popolo indiano si sarebbe trovato al colmo della miseria, ma in seguito dall'Oriente sarebbe giunta una nuova luce e gli indiani avrebbero incominciato a ritrovare la forza, l’orgoglio e la salvez­za. La leggenda continuava dicendo che essi avrebbero avuto dalla loro molti fratelli e sorelle visi pallidi: le reincarnazioni degli indiani uccisi o ridotti schiavi dai primi colonizzatori bianchi. Sì diceva che le anime di costoro sarebbero tornate in corpi di tutti i colori, rossi, bianchi, gialli e neri. Insieme e uniti, come i colori dell’arcobaleno, costoro avrebbero insegnato a tutte le genti del mondo come amare e rispettare la Madre Terra, della cui sostan­za siamo fatti anche noi umani.

Sotto il simbolo dell'arcobaleno, tutte le razze e tutte le religioni del mondo si sarebbero unite per diffondere la grande saggezza della vita nell'armonia tra gli esseri umani e di questi con tutto il creato. Coloro che insegnavano questo credo sarebbero stati chia­mati i “Guerrieri dell'Arcobaleno”. Pur essendo guerrieri, avrebbero contenuto in sé gli spiriti degli antenati, avrebbero portato la luce della conoscenza nella mente e l'amore nel cuore. Non avrebbero fatto del male a nessun essere vivente. La leggenda ter­minava affermando che, dopo una grande battaglia, grazie alla sola forza della pace, questi Guerrieri dell'Arcobaleno avrebbero finalmente troncato l’opera di distruzione e dissacrazione della Madre Terra e che la pace e l’abbondanza avrebbero regnato per una lunga, felice e pacifica età dell'oro qui sulla Terra”.

E questo che segue è il bel commento di Enzo Braschi nel suo libro Vicini alla Creazione, IdeaLibri 2000, pag 296-298

Non so quanti di noi siano Guerrieri dell'Arcobaleno. So comun­que che ce ne sono già tanti in ogni luogo della Terra e che il loro numero sta crescendo sempre di più. Volerlo essere è facile: basta amare e rispettare la Creazione. Volerlo essere è difficile; si deve infatti prima di tutto imparare a disimparare molto del tanto che ci è stato insegnato e che ci ha allontanati dalla Creazione stessa. Ci può volere davvero tanto tempo, costanza, amore e pazienza soprattutto verso noi stessi, che diventiamo i bambini a cui dobbiamo insegnare tutto da capo. Spesso sbaglieremo ancora, spesso riterremo di essere sulla strada buona e ci accorgeremo un attimo dopo di essere ancora una volta vittime di antichi pregiudizi, stupidi luoghi comuni, modi di pen­sare che non ci appartengono. Le vecchie abitudini torneranno ad avere il sopravvento: è facile non poter fare a meno, alla fine, del nostro persecutore; è difficile lasciarsi andare alle passioni laddo­ve esse servano a condurci solo ad innamorarci della perfezione. Se ci si lascerà piegare come una pianta di bambù ma si saprà resi­stere, se non ci si schianterà come una quercia che con arroganza pensa di essere incrollabile, si sarà già percorso un buon tratto di strada.

A quel punto si potrà continuare a voler essere un Guerriero dell’Arcobaleno. Si sarà ancora vulnerabili ma incredibilmente più forti che in passato, penseremo. E invece sarà anche più duro di com'era prima di imbarcarsi in quest’impresa. Perché ci si sen­tirà soli, ed è terribile scoprire di essere soli in mezzo a una miria­de di esseri umani uguali a noi. Si avranno da dire e da fare tante cose e ci si accorgerà di non trovare orecchie disposte ad ascolta­re, e non si saprà da dove cominciare per cambiare davvero le cose. Credo inoltre che nessuno dovrebbe mai assumersi il ruolo di “insegnante” di nessun altro. Pensare di essere un maestro ritengo sia peccato molto grave. Con tutta la buona fede che si può avere, pare presuntuoso assumersi tale compito. Sarebbe oltremodo giusto che ognuno arrivasse a costruirsi il suo mondo con le sue stesse mani. Ma non sempre è così, o quantomeno, a volte sembra opportuno il voler tentare di accorciare le distanze, soprattutto quando si avverte che i tempi lo esigono. Così si deve provare a condividere con gli altri quello che si sente, che si sa, che si ritiene buono, e aspettare con pazienza di vedere germo­gliare i nostri semi, sempre che i semi siano quelli di una buona pianta. Può funzionare, così come può risultare sforzo vano, sciocco e inutile.

Si sarà dunque soli, si sarà perduta la vecchia strada fatta di vuote certezze, ma pur sempre la strada che la maggioranza della gente percorre da sempre; si sarà sbigottiti, confusi, così confusi dal giungere alla conclusione di avere sbagliato a lasciar andare tutto per … per cosa poi? Per niente.

Quello sarà davvero il momento più cattivo: il baratro che ci si aprirà dinanzi e alle spalle. Ci si scoprirà in bilico su un sostegno fragilissimo: in qualunque direzione ci si volterà non si vedrà altro che una spessa coltre di nebbia. Sotto di noi sarà il precipizio nel quale si potrebbe scivolare senza mai arrivare a toccare il fondo. Sopra, di contro, sarà l'assenza di una voce, di un segno che ci indichi che cosa fare.

Si dovrà andare avanti. Letteralmente. Basterà trovare appena quel poco di coraggio necessario ad allungare un piede sul niente e camminare: prima un piede, poi l'altro, e poi un altro ancora… Quello che ci era parso il vuoto più opprimente ci sosterrà, essen­do ciò che facciamo il più solido dei fondamenti. Potremmo sen­tirci forse ancora soli, voltare le spalle e vedere le cose a noi fami­liari sfumare a poco a poco insieme alla moltitudine delle facce di chi ci è stato compagno di viaggio per tutto quel tempo che non tornerà mai più; sentire freddo, provare terrore per la buia oscu­rità che ci si parerà dinanzi e che dovremo attraversare.

Non credo sia così, che cioè si vada incontro alla solitudine e alle tenebre. Penso, al contrario, che a quel punto del nostro percor­so si accenderà una luce, che la strada si farà più ampia e sicura, che voltandoci un'ultima volta vedremo altri seguirci. Non perché presuntuosamente noi saremo stati loro d'esempio. D'esempio lo si deve essere prima di tutto per noi stessi. Semplicemente perché altri cominceranno a non avere più paura, o saranno affascinati dalla paura o con essa intenderanno cimentarsi. Non è importan­te capire perché a volte si facciano certe cose. È importante com­prendere quando è tempo di farle. E questo è il tempo e bisogna avere fretta di farle, queste cose, se non si vuole rimanere per sem­pre indietro.

Fonte : http://scienzamarcia.blogspot.com/2008/08/i-guerrieri-dellarcobaleno.html