Il "cane grigio" di S.Giovanni in Bosco: una materializzazione del pensiero?

Il Giornale Online

Ci siamo già occupati diffusamente, in un precedente lavoro, del fenomeno controverso delle cosiddette “materializzazioni del pensiero”, tanto affascinante quanto elusivo, che non coincide con il semplice fenomeno degli “apporti”, tipico delle sedute spiritiche e di alcuni personaggi carismatici (come Sai Baba), perché non riguarda solo oggetti inerti ma anche esseri viventi, animali, ominidi e perfino esseri umani, capaci – a quanto pare – di vita propria e di azioni indipendenti dalla volontà del medium. (1)

Nella vita straordinaria di San Giovanni Bosco vi è un elemento che potrebbe rientrare in questa classe di fenomeni, con la differenza che non si sarebbe trattato di una materializzazione consapevole, basata su precise tecniche di meditazione (come nel caso di Alexandra David-Neel e dei tulpa tibetani), bensì di una materializzazione inconscia e ricorrente, dovuta al forte desiderio di un aiuto materiale provato dal santo in alcune circostanze, particolarmente difficili, della sua avventurosa esistenza.

Si sarebbe trattato di un misterioso cane grigio, che compariva al suo fianco quando egli si trovava, o si sentiva, in pericolo, durante i suoi spostamenti a piedi, talvolta di notte, nella campagna torinese, allorché gruppi di persone o singoli individui (che, per svariati motivi, avevano preso in odio la sua attività apostolica fra i ragazzi “difficili”), gli tendevano insidie e cercavano di dargli una bella lezione, se non addirittura di sopprimerlo.

Il cane non si limitava a comparirgli accanto, apparentemente dal nulla, quando egli si sentiva particolarmente angustiato e in pericolo; in alcuni casi intervenne attivamente, con le sue zanne e i suoi artigli, per difenderlo dall'aggressione di individui male intenzionati, mettendoli clamorosamente in fuga. Inoltre, pare che questo cane avesse la incredibile facoltà di uscire dalle case passando attraverso i muri, se è vero che – in almeno una occasione – scomparve da una casa con le porte e le finestre ben chiuse, nella quale aveva accompagnato il suo amico umano per fargli da scorta lungo il cammino.

Se gli episodi riferiti dal santo sono stati proprio quello che hanno tutta l'aria di essere, allora probabilmente ci troviamo di fronte a un tipico fenomeno di “intermedietà”, per usare l'espressione del celebre studioso dell'occulto Charles Fort, ossia un qualche cosa di intermedio fra l'essere e il non-essere. Non è questa la sede per dare esaurienti ragguagli su questa teoria dello studioso americano, per cui rimandiamo il lettore alla lettura diretta del suo libro fondamentale; ci limitiamo soltanto ad accennare che essa si basa sull'assunto che esistano diversi stati o gradi di aggregazione della materia, e che fra un oggetto assolutamente reale e un oggetti puramente ideale possa esistere tutta una serie di oggetti intermedi, semi-reali e semi-ideali.(2)

“La nostra affermazione in generale è che lo stato che è comunemente e assurdamente chiamato 'esistenza' sia un flusso o una corrente o un tentativo dalla negazione alla positività e sia intermedio ad entrambi.

“Con la parola positività intendiamo dire:

“Armonia, equilibrio, ordine, regolarità, stabilità, consistenza, unità, realtà ,sistema, governo, organizzazione, libertà, indipendenza, anima, essenza, personalità, entità, individualità, verità, bellezza, giustizia, perfezione, chiarezza.
“Ritengo cioè:

“Che tutto ciò che è chiamato sviluppo, progresso o evoluzione, sia un movimento in avanti, o un tentativo in avanti, verso questo stato per cui, o per gli aspetti del quale, ci siano tanti nomi, tutti i quali sono riassunti nell'unica parla: 'positività'. (…)

“Io concepisco un nesso intercontinuo, che si esprime mediante fenomeni astronomici, chimici, biologici, psichici e sociologici: il quale si batte ovunque strenuamente per localizzare la certezza: e a questo tentativo in vari campi di fenomeni – che sono solo quasi-differenti – noi diamo nomi diversi. Noi parliamo di 'sistema' dei pianeti, e non del loro 'governo': ma se, per esempio, consideriamo un negozio, e la sua direzione, vediamo che le parole sono scambiabili. È entrato nell'uso parlare di equilibrio chimico, ma non di equilibrio sociale: quella falsa linea di demarcazione è stata abbattuta. Vedremo che mediante tutte queste parole noi indichiamo lo stesso stato, per comodità di tutti i giorni o in termini d comuni illusioni, però esse non sono sinonimi. Per un bambino un verme non è un animale, ma lo è per il biologo.

“Con la parola 'bellezza' intendo dire ciò che è completo.

“Al contrario, l'incompleto, il mutilato, è brutto.

“La Venere di Milo.

“Per un bambino è brutta.

“Quando una mente si regola in modo da pensarla nella sua completezza, anche se secondo il metro fisiologico è incompleta, ella è bella.

“Una mano, considerata solo come mano, può sembrare bella.

“Ritrovata su un campo di battaglia…ovviamente come parte… non è bella.

“Ma tutto, nella nostra esperienza, è solo una parte di qualcos'altro che a sua volta è solo parte di qualcos'altro ancora… ovvero non c'è nulla di bello nella nostra esperienza: solo evidenze che sono intermedie alla bellezza e alla bruttura… solo l'universalità è completa: solo la completezza è bella: ogni tentativo di raggiungere la bellezza è un tentativo di dare al particolare il carattere dell'universale. (…)

“Tutti i fenomeni biologici avvengono per adattarsi: non ci sono altre azioni biologiche al di fuori di quelle d'adattamento.

“L'adattamento è un altro sinonimo di Equilibrio. L'Equilibrio è Universale, è ciò che non ha nulla di esterno che possa alterarlo.

“Ma tutto ciò che noi chiamiamo 'essere' è movimento: e tutto quel movimento è espressione non dell'equilibrio, ma dell'equilibrismo ovvero dell'equilibrio non raggiunto: i movimenti della vita sono espressione di equilibrio non raggiunto: tutto quel pensiero si collega con ciò che non è stato raggiunto: avere ciò che è chiamato essere nel nostro quasi-stato, non significa esistere in senso positivo, ma significa essere intermedi tra l'Equilibrio e lo Squilibrio.

“Quindi ritengo:

“Che tutti i fenomeni nel nostro stato intermedio, o quasi-stato, rappresentino quest'unico tentativo di organizzarsi, di stabilizzarsi, armonizzarsi, individualizzarsi… positivizzarsi ovvero diventare reali;

“Che il solo avere l'apparenza significhi esprimere un fallimento o una intermediarità tra il fallimento e il successo finali;

“Che ogni tentativo osservabile sia sconfitto dalla Continuità, o dalle forze esterne… o dall'escluso che è continuo all'incluso:

“Che tutta la nostra 'esistenza' sia un tentativo da parte del relativo di essere l'assoluto, o da arte del locale di essere l'universale.

“In questo libro il mio interesse sta in questo tentativo com'è manifestato nella scienza moderna:

“Che ha cercato di essere vera, reale, finale, completa e assoluta:

“Ma se l'apparenza dell'essere, qui nel nostro quasi-stato è il prodotto dell'esclusione che è sempre falsa e arbitraria, se l'incluso e l'escluso sono sempre continui, l'intero sistema apparente, o entità, della scienza moderna è solo un quasi-sistema, o una quasi-entità, elaborata dallo stesso falso e arbitrario processo secondo il quale l'ancor meno positivo sistema che lo precedeva, o sistema teologico, aveva elaborato l'illusione del suo essere.” (2)

Oltre ad anticipare in maniera straordinaria talune intuizioni della fisica delle particelle sub-atomiche (vedi l'esempio del cosiddetto “gatto di Schrödinger, che può essere contemporaneamente vivo e morto), la teoria fortiana dell'intermediarità ha il pregio di consentire una spiegazione, o un tentativo di spiegazione, per tutta una serie di fenomeni altrimenti inspiegabili. Gli avvistamenti di “oggetti volanti non identificati” e, soprattutto, gli incontri ravvicinati con esseri alieni, potrebbero rientrare in questa tipologia di fenomeni, così come molte apparizioni di creature misteriose che si collocano a metà strada fra i fenomeni della mente e quelli di tipo fisico, tra il classico “fantasma” e la creatura tridimensionale che, tuttavia, non dovrebbe poter esistere in base alle nostre attuali nozioni scientifiche.

Ma torniamo a San Giovanni Bosco e alle sue memorie, nelle quali un breve capitolo è, appunto, dedicato al “Grigio”, lo strano e inafferrabile cane di grossa taglia che gli fu inspiegabilmente compagno in alcuni frangenti piuttosto scabrosi.

“Il cane Grigio è stato oggetto di molte discussioni e di varie supposizioni. Non pochi di voi l'hanno visto e anche accarezzato. Ora io lascio da parte le strane storie che si raccontano su questo cane, ed espongo ciò che è la pura verità.

“I frequenti brutti scherzi da cui ero preso di mira mi consigliavano a non camminare da solo nell'andare e venire dalla città di Torino. A quel tempo l'ospedale psichiatrico era l'ultimo edificio della città. Di lì, scendendo verso l'Oratorio, c'era un lungo tratto di campagna ingombra di cespugli e di acacie.

“Una sera oscura, piuttosto sul tardi, venivo a casa solo soletto, non senza un po' di paura, quando mi vidi accanto un grosso cane che a prima vista mi spaventò. Ma non ringhiò contro di me, anzi mi fece le feste come se fossi il suo padrone. Abbiamo fatto amicizia e mi accompagnò fino all'Oratorio. Ciò che avvenne quella sera si ripeté molte altre volte. Posso dire che il Grigio mi ha aiutato parecchie volte in maniera straordinaria. Esporrò alcuni fatti.

Sul finire del novembre 1854, una sera nebbiosa e piovosa, venivo solo dalla città. Per non percorrere un lungo tratto disabitato, discendevo per la via che al santuario della Consolata porta all'Opera del Cottolengo. A un ratto mi accorsi che due uomini camminavano a poca distanza da me. Acceleravano o rallentavano il passo ogni volta che io acceleravo o rallentavo. Tentati di portarmi dalla parte opposta per evitare di incontrarli, ma essi lestamente si riportarono davanti a me. Provai a tornare indietro, ma era troppo tardi: con due balzi improvvisi ,in silenzio, mi gettarono un mantello sulla testa. Mi sforzai di non lasciarmi avviluppare nel mantello, ma non ci riuscii. Uno tentò di turami la bocca con un fazzoletto. Volevo gridare, ma non ci riuscivo più. In quel momento apparve il Grigio. Urlando si lanciò con le zampe contro la faccia del primo, poi azzannò l'altro. Ora dovevano pensare al cane prima che a me.

“- Chiami questo cane! – gridarono tremanti.

“- Lo chiamo se mi lasciate andare in pace.

“- Lo chiami subito! – implorarono.

“Il Grigio continuava a urlare come un lupo arrabbiato. Andarono via lesti, e il Grigio, standomi a fianco, mi accompagnò fino all'Opera del Cottolengo.

Mi ripresi allo spavento, e gradii molto una bevanda che i religiosi mi offrirono con carità. Quindi, ben scortato, tornai a casa.

“Tutte le sere in cui non ero accompagnato, entrato tra gli alberi, vedevo spuntare il Grigio da qualche punto della strada. I giovani dell'Oratorio lo videro molte volte. Una sera entrò nel cortile e fu il protagonista di una lunga scena. Qualcuno lo voleva allontanare con un bastone, altri con dei sassi. Giuseppe Buzzetti intervenne.

“- Non fategli del male. È il cane di don Bosco.

“Allora si misero ad accarezzarlo e a fargli festa. Lo accompagnarono da me. Ero in refettorio e facevo cena con alcuni preti e con mia madre. Lo guardarono tutti sbigottiti.

“- Non temete, dissi, è il mio Grigio. Lasciatelo venire.

“Difatti, compiendo un largo giro intorno alla tavola, mi venne vicino tutto festoso. Gli feci una carezza e gli offrii minestra, pane e companatico. Rifiutò tutto.

“- Allora cosa vuoi? – mormorai. Egli mosse le orecchie e agitò la coda. – Se non vuoi mangiare, va' in pace – dissi.

“Egli, sempre festoso, appoggiò la testa sulla mia tovaglia come volesse parlare e augurarmi buona sera. Poi si lasciò accompagnare dai ragazzi, allegri e meravigliati, fuori della porta. Mi ricordo che quella sera ero venuto a casa tardi, e un amico mi aveva portato nella sua carrozza.

“L'ultima vola che vidi il Grigio fu nel 1866, mentre mi recavo da Morialdo a Moncucco a casa di Luigi Moglia, mio amico. Il parroco di Buttigliera mi aveva voluto accompagnare per un trato di strada, e così la notte mi sorprese a metà cammino.

” – Se ci fosse qui il mio Grigio – dissi tra me – sarei molto più tranquillo.

“Subito dopo mi arrampicai su per un prato ripido, per godermi l'ultimo sprazzo di luce. In quel momento il Grigio mi venne incontro con gran festa, e mi accompagnò per il resto della strada, cioè per tre chilometri.

“Giunto alla casa dei Moglia, dov'ero atteso, videro il mio cane e m pregarono di passare dietro la casa, perché il Grigio non facesse baruffa con i due cani che erano nel cortile.

” – Si sbranerebbero a vicenda – mi disse Luigi Moglia.

“Parlai a lungo con tutta la famiglia, poi andammo a cena, e il mio Grigio fu lasciato in un anglo. Quando finimmo di cenare, Luigi disse:

” – Bisogna portare da cena anche al Grigio.

“Preso un poco di cibo, lo portammo al cane. Lo cercammo in ogni angolo della casa, ma non c'era più. Si meravigliarono tutti, perché le porte e le finestre erano chiuse, e i cani nel cortile non avevano dato alcun segno della sua uscita,. Cercammo anche nelle stanze dei piani superiori, ma nessuno lo trovò.

“È questo l'ultima notizia che ebbi del Grigio, il cane che è stato argomento di tante ricerche e discussioni. Non potei mai conoscere il suo padrone. So soltanto che quell'animale, in tanti pericoli, fu per me una vera provvidenza.” (3)

Teresio Bosco, curatore dell'edizione cui abbiamo fato riferimento, aggiunge queste ulteriori osservazioni:

Don Bosco scrive queste ultime pagine dopo il 1875. Alcuni ragazzi dell'Oratorio, che hanno visto e accarezzato il Grigio, sono diventati salesiani, come Michele Rua e Giuseppe Buzzetti.

“Il pensiero di scoprire la provenienza di quel cane venne più volte a don Bosco. Ma non riuscì a trovare niente. Nel 1872 la baronessa Azelia Fassati gli domandò cosa pensasse di quel cane, e don Bosco sorridendo rispose: «Dire che sia un angelo farebbe ridere. Ma neppure si può dire che sia un cane ordinario». (4)

No, davvero non era un cane ordinario. Un cane “normale” non sarebbe uscito di casa senza passare dalla porta, né sarebbe comparso dal nulla ogni qual volta veniva invocato. Il fatto che rifiutasse il cibo farebbe pensare a una apparizione immateriale, ma questa conclusione contrasta con il fatto che molti lo poterono accarezzare, che i due malviventi fecero anche l'esperienza delle sue zanne e che don Bosco lo udì latrare (lui usa il verbo urlare e questa scorrettezza lessicale aggiunge, secondo noi, credibilità alla sua testimonianza; inoltre urlare dà quasi l'idea di un essere umano o, comunque, capace di sentimenti umani).

È possibile stabilire qualche analogia fra il Grigio di don Bosco e alcune creature segnalate, nel corso gli anni, nelle campagne inglesi; in quei casi, però, non si tratta di esseri benefici.

Nell'isola di Jersey si parla di un gigantesco cane nero, delle dimensioni di un bue, che vagherebbe per le scogliere nord-occidentali. È possibile che lo scrittore Arthur Conan Doyle si sia ispirato a tale credenza, o ad altre analoghe radicate nelle campagne inglesi, per la stesura del suo celebre romanzo Il mastino dei Baskerville. (5)

Un altro caso inspiegato è quello del cosiddetto “animale del Devonshire”, le cui impronte furono rinvenute nella neve fresca nel freddo inverno del 1855 e proseguivano in linea retta per chilometri, scavalcando muri e altri ostacoli, senza che nessuno riuscisse a identificarle con esattezza né a spiegare come potessero proseguire sui tetti, come se l'animale che le aveva lasciate potesse alzarsi verticalmente senza alcuna difficoltà. Alcuni uomini cercarono di seguire le tracce, che rimasero ben visibili per quattro giorni; ma, all'entrare in una foresta, i cani diedero segni di paura e si rifiutarono di proseguire.

Ma andiamo con ordine e riportiamo con la dovuta accuratezza questo interessante e ben documentato episodio.

La mattina dell’8 febbraio 1855 gli abitanti del Devon scoprirono, uscendo di casa nel freddo intensissimo di quell’inverno eccezionale, una serie di impronte di zoccoli nella neve, disposte in linea retta e riconoscibili lungo una distanza totale di circa 80 miglia. Non assomigliavano alle impronte di alcun animale conosciuto, ma né questo fatto né la straordinaria lunghezza della traccia, che attraversava le campagne innevate in linea retta, rappresentavano la cosa più sconcertante.

Quest’ultima era costituita dal fatto che le impronte si snodavano una dietro l’altra, tagliando diritto anche in presenza di ostacoli. Davanti ai muri dei giardini, per esempio, esse si fermavano per continuare dall’altra parte, come se lo sconosciuto animale li avesse saltati senza minimamente deviare, anzi, come se li avesse “attraversati”. E la neve sulla cima dei muri era rimasta vergine! In alcuni villaggi, poi, le impronte a ferro di cavallo erano ben visibili sui tetti delle case, a parecchi metri d’altezza; oppure si fermavano davanti alla soglia di una capanna, per ricomparire sul retro; oppure ancora scomparivano davanti a un mucchio di fieno e poi riprendevano al di là di esso, sempre in linea retta, come se la creatura avesse compiuto un salto prodigioso. La popolazione ne fu terrorizzata: furono organizzate, ma invano, delle battute di caccia con fucili e forconi, e ben presto nacque fra il popolo la voce che il Diavolo, in quella buia e fredda notte d’inverno, avesse passeggiato sulla Terra con piedi di caprone, come ai tempi dei Sabba delle streghe.

Naturalmente anche il mondo scientifico fu messo a rumore, e parecchi naturalisti, tra cui il celebre Richard Owen, vollero dire la loro. Si parlò di un tasso; ma quale animale selvatico poteva correre in in linea retta per la bellezza di 80 miglia, coprendo una tale distanza in una sola notte? E saltare a quel modo al di là dei muri e dei covoni di fieno, per poi salire sui tetti delle case? (6)

Qualcun altro ipotizzò che un pallone sonda si fosse alzato, forse per disguido, dal porto militare di Devonport la sera del 7 febbraio, e che dei sacchetti pendenti da delle funi avessero lasciato le famose impronte. (7) Certo che il vento doveva esser stato un prodigio di costanza, per aver sospinto il pallone sonda così a lungo senza mai deviare né a destra né a sinistra!

Si parlò anche di un uccello; di un canguro fuggito da uno zoo; di un buontempone in vena di scherzi fuori del comune: tutte ipotesi praticamente insostenibili e tutte rispondenti a una medesima logica: il mistero non è una dimensione della realtà che va accostata con l’indagine razionale ma anche con umiltà e consapevolezza dei limiti umani, bensì un nemico da aggredire, una sfida intollerabile da rintuzzare, un’inquietudine che va rimossa ad ogni costo per riportare la percezione del reale entro i binari rassicuranti di ciò che è già conosciuto. In altre parole, per la mentalità scientista è preferibile cadere nell’assurdo (un tasso che copre 80 miglia in poche ore, saltando muri e scalando edifici) piuttosto che ammettere, anche solo per ipotesi, che si possa sollevare per un momento il velo della razionalità codificata dal paradigma scientifico dominante.

Scrive sulle impronte del Devon il noto studioso Colin Wilson:

“Morris K. Jessup, l’ufologo morto in circostanze misteriose nel 1959, avanza l’ipotesi che le impronte trovate nel Devon fossero state lasciate da un qualche tipo di oggetto volante, facendo rilevare che, dal racconto fatto da un testimone, queste, così chiaramente impresse nella neve, potevano essere state originate solo da un mezzo meccanico. Jessup, in base a queste osservazioni, suggeriva che le impronte potevano essere state fatte da un veicolo che, volando a bassa quota, riusciva a mantenere la distanza dal terreno grazie a una specie di radar. Questa ipotesi spiegherebbe l’esistenza di impronte sui tetti, al di là di muri e fienili.” (8)

Però si vede bene che le differenze con il caso del Grigio di don Bosco sono maggiori delle analogie. Nel caso del cane nero di Jersey, pare si tratti piuttosto di un'apparizione fantasmatica, mentre in quello delle impronte del Devonshire si dovrebbe piuttosto approfondire l'argomento nella direzione della criptozoologia, ossia la scienza degli animali “nascosti”.

E la stessa cosa si dovrebbe fare, probabilmente, nei confronti delle impronte di zoccoli nella neve trovate sull'isola sub-antartica di Kerguélen, all'estremità meridionale dell'Oceano Indiano, dall'esploratore britannico sir James Clark Ross, nel 1839: là dove l'eccezionalità del fatto risiede nella circostanza che nessun mammifero dotato di zoccoli esisteva sull'isola, o avrebbe dovuto esistere, a quell'epoca. Ce ne siamo già occupati in un precedente articolo. (9)

L'episodio è stato poi amplificato da echi leggendari e orrorifici, come nel romanzo d'avventura A grue of Ice dello scrittore sudafricano Jeoffrey Jenkins:

“la porta sul davanti era chiusa con quattro grossi catenacci scorrevoli orizzontalmente, aperti, pieni di grasso. Li feci scorrere e spalancai la porta. L'interno era quasi del tutto oscuro e ispirava una sensazione strana, tanto che per un momento mi chiesi se avrei rinvenuto forse qualche orrendo cadavere, come successe al famoso esploratore sir James Clark Ross che intorno al 1840 aveva trovato nelle Isole Kerguélen un uomo con una bottiglia in mano, un'espressione di terrore nello sguardo e, davanti a lui, volte nella sua direzione, gigantesche impronte di piede…” (10)

Per talune creature misteriose si può anche pensare a delle forme non materiali, a esseri fantasmatici o a una sorta di “registrazione” di avvenimenti di un lontano passato; e quest'ultima ipotesi si attaglia particolarmente ad animali mostruosi, simili a dinosauri, segnalati anche oggi in diverse regioni del globo.

Il pastore anglicano Donald Oman, autore – fra l'altro – di un celebre esorcismo sul lago scozzese di Loch Ness, era convinto che tali esseri mostruosi avessero a che fare con una presenza demoniaca e che l'unico modo adeguato di affrontarli fosse quello di tipo religioso e spirituale. (11)

Il Grigio di don Bosco era, invece, una presenza amica, benefica, e compariva ogni qual volta il santo pareva trovarsi in difficoltà.

Osserva in proposito Renzo Baschera:

“La comparsa di animali (per lo più cani) che prendono la difesa delle persone in pericolo, si registra anche per altri personaggi eccezionali. Può trattarsi di forme materializzate, o di esseri reali,, che vengono guidati e comandati secondo codici da noi sconosciuti.” (12)

Pertanto, tutto quello che possiamo dire su questo caso straordinario è che una presenza benedica, che aveva l'aspetto di un cane e ne possedeva le caratteristiche abituali, soccorse più volte, nel corso degli anni, la persona di san Giovanni Bosco quando questi si trovava in difficoltà. Ma vi sono anche altre caratteristiche, queste ultime tutt'altro che comuni, le quali sembrano avvicinare questa creatura al concetto cristiano di “angelo custode” e, comunque, porla al di là della sfera puramente fisica, in una dimensione altra.

Un prezioso indizio, per tentare di comprendere meglio il fenomeno del Grigio, potrebbe venire dalla ferma credenza di don Bosco che le persone ed i mezzi destinati a favorire la sua attività pastorale esistessero, anche nei momenti più bui della sua vita di sacerdote, quando – umanamente – si sarebbe detto che non vi erano più speranze.

A un certo punto, fra il 1844 e il 1845, ostacolato dalle autorità civili, reduce da una grave malattia e disperatamente a corto di mezzi finanziari, si era visto quasi costretto a chiudere il suo Oratorio per i ragazzi “difficili”. Lui stesso ha rievocato, sobriamente, quel tragico momento:

“Un giorno, mentre erano presenti don Sebastiano Pacchiotti e altri preti, don Borel in camera mia disse:

” – Qui, se non salviamo qualcosa, corriamo il rischio di perdere tutto. Sciogliamo l'Oratorio e teniamo con noi solo una ventina di ragazzi più piccoli. Nessuno si preoccuperà se continuiamo a far catechismo a un gruppetto di bambini. E intanto Dio ci indicherà la strada più opportuna per andare avanti.

” – Non sciogliamo niente – risposi. – Abbiamo già una sede: un cortile ampio e spazioso, una casa pronta per molti ragazzi, con chiesa e porticati. E ci sono preti e chierici pronti a lavorare con noi.

” – Ma dove sono queste cose?- mi interruppe don Borel.

” – Non lo so. Ma so che esistono e sono a nostra disposizione.

“Allora don Borel scoppiò a piangere. Esclamò:

” – Povero don Bosco, è proprio andato.

“Mi prese per mano, mi baciò, e se ne andò con don Pacchiotti e gli altri. Rimasi solo nella mia stanza.” (13)

Ecco, questa forse è la spiegazione. Don Bosco aveva fede, una grandissima fede nella Provvidenza: era convinto che, per le opere di bene, uomini e mezzi sono pronti a disposizione, basta solo aver pazienza e credere con fiducia. Questa, del resto, pare essere una delle caratteristiche fondamentali della santità: l'assoluta fiducia in Dio.

Colui che ha fede nella bontà dell'esistente, non dubita che le persone e le cose necessarie a realizzare il bene esistono e sono disponibili: al momento giusto, esse verranno.

Abbiamo già affrontato questa problematica, da un punto di vista filosofico piuttosto che religioso, in un precedente lavoro: e a quello rimandiamo i lettori desiderosi di approfondire l'argomento. (14)

NOTE

1) Francesco Lamendola, Da dove hanno origine le materializzazioni del pensiero?, sul sito di Edicolaweb, rubrica Altra dimensione.

2) Charles Fort, Il libro dei dannati (titolo originale: The Book of the Damned), Milano, Armenia Editore, 1973, pp. 7-10.

3) San Giovanni Bosco, Memorie, Torino, Elle Di Ci., 1987, pp. 216-218.

4) Ibidem, note a p. 216 e 218.

5) Jean-Jacques Barloy, Gli animali misteriosi. Invenzione o realtà?, (titolo originale: Les survivants de l'mbre. Enquête sur les animaus mistérieux, Parigi, 1985), traduzione italiana Roma, Lucarini Editore, 1987, p. 167.

6) Cfr. C. Wilson, Milano, Rizzoli, 1976, p. 128. Per una raffigurazione delle impronte del Devonshire, così come furono riportate da The Illustrated London News, si veda Nel mondo dell’incredibile, tr. it. Milano, Selezione dal Reader’s Digest, 1980, p. 377.

7) Vedi C. e D. Wilson, Il grande libro dei misteri irrisolti, tr. it. Roma, Newton & Compton, 2002, pp. 267-270, che contiene una carta dettagliata delle località in cui furono trovate le impronte.

8) C. Wilson, Realtà inesplicabili, cit., pp. 129-30.

9) Francesco Lamendola, Il mistero delle isole Kerguélen, articolo pubblicato sulla Rivista Il Polo dell'Istituto Geografico Polare, fondato da Silvio Zavatti, vol. 1, 2007, pp. 57-71.

10) Geoffrey Jenkins, mare, vento, ghiacci, Milano, Longanesi & C., 1971, pp.233-234. Vedi anche Francesco Lamendola, Geoffrey Jenkins e il mistero dell'Isola Thompson, sul sito di Arianna Editrice.

11) Marc Alexander 8a cura di), lamia vita col diavolo (titolo originale To anger the Devil, 1978), traduzione italiana Padova, MEB, 1980.

12) Renzo Baschera, Le profezie di don Bosco, Padova, Edizioni MEB, 1988, p.73.

13) San Giovanni Bosco, cit., p. 133.

14) Cfr. Francesco Lamendola, Dov'erano gli enti prima di esistere?, sul sito di Arianna Editrice.

Fonte : http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=15932