Il computer cosmico – Ecco l'estrema frontiera informatica

Il Giornale Online
Rivoluzione informatica, autostrade elettroniche, computer sempre più potenti, chip sempre più complessi, Internet. Gli ultimi anni hanno cambiato il panorama della nostra vita, dalla produzione all'intrattenimento fino alla struttura della società. E siamo solo all'inizio di sconvolgenti mutazioni, destinate a travolgere tutte le nostre abitudini. Avverranno nei prossimi venticinque anni, e alcune sono facilmente prevedibili o addirittura già in corso. Sparirà la carta, sostituita da impalpabili bit, i giornali li leggeremo sugli schermi e li comporremo noi a nostro piacimento, attingeremo alle banche dati di ogni angolo del mondo. Avremo tutte le informazioni in tempo reale, il villaggio globale sarà un fatto compiuto. Lasciamo da parte le conseguenze, i problemi che ciò indurrà e sta già inducendo. La questione più grossa è un'altra. Ci abitueremo a ritmi di crescita esponenziali? E cosa accadrebbe se, a un certo punto, tutto ciò si fermasse? Già, perché questo progresso ha un limite superiore, invalicabile. Le prime macchine di calcolo elettroniche, una trentina di anni fa, avevano valvole di dimensioni dell'ordine di 10 centimetri e un tempo di commutazione di 10 elevato alla -8 secondi. E poiché la potenza di un computer (misurabile come la quantità di possibili commutazioni nell'unità di tempo) è inversamente proporzionale al tempo di commutazione e al cubo della dimensione del commutatore, essa era dell'ordine di grandezza M = 10 alla 5. Poi sono arrivati i transistor, i circuiti integrati e i processi fotografici per stampare i circuiti.

Le dimensioni dei commutatori si sono ridotte vertiginosamente. Oggi lo spazio di un centimetro cubo può contenere milioni e milioni di funzioni. E la potenza degli attuali computer è salita a 10 alla 20 (cento miliardi di miliardi) commutazioni al secondo. Il balzo in avanti della nostra civiltà sta tutto in questa cifra. Una accelerazione pazzesca, che l'umanità fatica ancora a percepire. Per ora ne stiamo usando una minima parte e ci vorrà ancora qualche tempo perché la cascata di conseguenze su tutte le tecnologie, nessuna esclusa, si riversi su di noi, con effetti benefici e/o tragici, vedremo. Ma la vera questione è ancora un'altra. Ed è che davanti a noi si erge un muro invalicabile. Le tecniche di miniaturizzazione ci hanno portato al confine dell'elettrodinamica quantistica. Possiamo pensare di scendere ancora di un fattore 10. 000 nell'infinitesimamente piccolo e immaginare che la potenza dei nostri futuri computer salga ancora fino a 10 alla 25. Ma come andare oltre? Con le nostre conoscenze attuali non si può, perché siamo ormai a dimensioni atomiche e subatomiche. Le quali sono caratterizzate dalla massa e dalla carica dell'elettrone. A queste dimensioni i comportamenti delle particelle non sono più descrivibili in termini di elettrodinamica classica. Qui l'elettrone si presenta sotto nuova veste, come particella quantistica. E anche il tempo dei suoi movimenti è regolato dalle equazioni dell'elettrodinamica quantistica. L'elettronica molecolare si ferma qui: teoricamente la massima potenza di un computer, per questa via, non può superare M = 10 alla 28. Si può scandagliare un altro possibile percorso: per giungere a un mezzo di calcolo basato sui processi fotonici (fibre ottiche). Il fotone è una particella senza massa che viaggia alla velocità della luce. A prima vista un commutatore fotonico dovrebbe consentire un enorme accrescimento della potenza di calcolo.

Ma le stesse leggi quantistiche che ostacolano lo sviluppo della elettronica molecolare si ripresentano anche in questo caso. Infatti la dimensione minima dell'elemento fotone è data dalla sua lunghezza d'onda (nella banda visibile L = 0,5×10 alla -4 centimetri). Il tempo d'azione è L/c (dove c rappresenta la velocità della luce). Un calcolo semplice dice che, anche per questa via, la potenza massima teorica del computer fotonico si fermerebbe a M = 10 alla 28. Lo stesso numero magico. In realtà pensare a una potenza di calcolo di questo ordine di grandezza è cosa priva di senso fisico anche nell'ambito della teoria quantistica, poiché è noto che ogni osservazione su un oggetto quantistico provoca inevitabilmente una modificazione dello stato che si vuole determinare, e questa modificazione è tanto più cospicua quanto più ci si avvicina al limite quantistico. Dunque la nostra civiltà (e tecnologia) avrebbe un tetto superiore, oltre il quale non potrà spingersi? Forse. Ma affacciarsi oltre fa venire le vertigini. Ne parlo con Anatolij Akimov, uno dei fisici matematici del Centro di Tecnologie non convenzionali di Mosca, collaboratore autorevole del fisico teorico Ghennadij Shipov. «Certo, nell'ambito dei paradigmi teorici di cui disponiamo non possiamo andare oltre – dice Akimov – ma la teoria quantistica è ancora largamente imperfetta. I suoi postulati sono ancora quelli su cui disputarono Bohr e Einstein». Ma Akimov e Shipov avanzano un'ipotesi, nata dallo sviluppo, da essi tentato, delle equazioni del vuoto di Einstein, dalla geometrodinamica di Wheeler e dalle intuizioni del matematico britannico Roger Penrose. «Esistono oggi le premesse per una teoria unificata del campo (TUC) – continua Akimov – che permetterebbe di individuare una base comune all'origine delle quattro forme d'interazione fisica oggi note: elettromagnetica, gravitazionale, nucleare forte e nucleare debole. Secondo le equazioni di Shipov la dimensione fondamentale caratteristica della TUC è la lunghezza di Planck: L=1,6×10 alla -33 centimetri.

La corrispondente potenza di calcolo del computer teorico sarebbe assolutamente fantastica, da altra civiltà, cioè M=L/c=10 alla 142. Valutare il significato di questa potenza è difficile, poiché ai limiti della lunghezza di Planck perdono di significato sia il concetto di tempo che quello di spazio. Non ci sono nell'intero universo tante particelle elementari quante ne raffigura questa cifra e dalla nascita dell'universo (il big-bang) non sono ancora trascorsi tanti microsecondi». Sì, davvero vengono le vertigini, ma anche le domande si affollano. Siamo nella fantascienza pura, nell'aldilà da venire e che forse non verrà mai, nell'inconcepibile? «Meno di quanto sembri, anche se la risposta giusta è proprio questa: inconcepibile. Ma l'ipotesi è tutt'altro che campata in aria. Dalle equazioni di Shipov emerge un nuovo campo, il campo di torsione. E uno spazio non più quadridimensionale (tre dimensioni euclidee più il tempo) ma a dieci dimensioni, cioè con l'aggiunta di sei coordinate angolari per determinare l'orientamento dei punti dello spazio-tempo…». Bene, ma che rapporto c'è tra questo e il supercomputer della lunghezza di Planck? Akimov sorride con aria misteriosa. «Abbiamo già un cospicuo apparato sperimentale che dimostra un rapporto (di natura ancora da chiarire) tra torsione e attività biologica. Il centro del ragionamento è lo spin, il momento angolare delle particelle elementari. La sorgente del campo di torsione è la rotazione dei sistemi di particelle, cioè l'insieme dei momenti angolari che variano. Ciò riguarda tutte le particelle elementari, ivi incluse, ovviamente, quelle che compongono le molecole delle nostre cellule. Pensiamo ora alle cellule del nostro cervello, in particolare i neuroni e le loro sterminate reti. Mutamenti nel campo di torsione indurrebbero modificazioni fisiche nello stato dei gradi di libertà degli spin delle molecole, che si tradurrebbero in determinate configurazioni (pensieri, sensazioni) della coscienza…» . I campi di torsione sarebbero dunque il sostrato materiale della coscienza?

«Press'a poco, ma non soltanto. C'è anche un viceversa. I processi biochimici connessi con la coscienza, o attività intellettuale (e emotiva) in senso lato, creerebbero a loro volta determinate configurazioni delle strutture di spin, le quali indurrebbero variazioni di stato nella struttura del campo di torsione esterno. In altri termini l'individuo (la sostanza vivente) sarebbe intimamente connesso con il resto dell'universo, soggetto alle sue influenze globali ma anche in grado di modificarlo mentalmente. Tra l'altro c'è più d'un motivo per ritenere che la velocità di diffusione del campo di torsione sia di molti ordini di grandezza superiore alla velocità della luce. Cioè la connessione sarebbe, per così dire, istantanea, a prescindere dalla distanza». Vuol dire che un computer torsionale sarebbe qualcosa di connettibile con la coscienza dell'uomo? «Più o meno, ma è così. Certo dovremmo disporre di una tecnologia della torsione, nella quale stiamo muovendo solo i primi passi. Gli attuali computer hanno come base i chip, semiconduttori; quello torsionale sarebbe composto di campi. I problemi da risolvere sarebbero due: quello di strutturare e dominare un determinato volume di spazio, controllandone le situazioni metastabili di polarizzazione. E quello di realizzare un dialogo tra l'operatore e una tale struttura di calcolo. Ma sarebbe la coscienza dell'operatore a consentire l'accesso al processore, senza alcuna periferica di collegamento. Il primo dei due problemi è in linea di principio risolvibile. Il secondo richiede un individuo molto diverso da quello attuale». Ci fermiamo qui, affacciati sull'abisso dell'ordine di grandezza 10 alla 142. L'uomo del terzo millennio non è ancora pronto ad affrontare tutte le conseguenze di questa ipotesi.

Tratto da TUTTOSCIENZE, 24 gennaio '96
Giulietto Chiesa
Fonte: http://www.artico.name/testi/ts99/960124.shtm