Il DNA galattico

Il DNA galattico
doppia elica
By NASA/JPL-Caltech/M. Morris (UCLA), Public Domain

All’interno della nostra galassia a circa 300 anni luce dal famelico buco nero centrale il telescopio spaziale infrarosso spitzer (NASA-JPL-Caltech-UCLA), oramai noto per le innumerevoli scoperte, ha osservato una strana formazione nebulare.

Nel dominio dell’infrarosso è infatti possibile scandagliare le zone limitrofe al centro della nostra galassia poiché la polvere cosmica presente principalmente sul piano galattico e responsabile di gran parte dell’assorbimento della luce visibile, risulta più o meno trasparente a queste lunghezze d’onda; ciò che risulta quindi celato allo sguardo dei telescopi ottici risulta visibile a quello dei telescopi infrarossi.

Se a questo aggiungiamo il grande potere risolutivo che ha l’occhio del telescopio spaziale infrarosso spitzer capiamo come anche i minimi dettagli non possano essere passati inosservati al team di astronomi dell’università della California (UCLA), capeggiati da Mark Morris, che ha pubblicato la scoperta su Nature.

Cosa vi sia di strano in una delle tante nebulose galattiche è presto detto: il suo alto grado di ordine non casuale: la nebulosa in questione ha una strana somiglianza con la più nota struttura molecolare organica conosciuta, il DNA, mattone fondamentale della vita come noi la conosciamo.

 

Come è possibile evincere dall’immagine la nebulosa si contorce a formare una doppia elica con due filamenti di materia attorcinati, come se ci fosse una barra nel mezzo che impedisse il passaggio della materia, come accade già in natura nel caso dei due filamenti di RNA della molecola di DNA. Questa doppia elica cosmica in realtà è estesa per una lunghezza di circa 80 anni luce ed una larghezza di una decina di anni luce!

Ciò che ha attirato l’attenzione del team di scienziati è la differenza sostanziale con la maggior parte delle nebulose conosciute nel cosmo che altro non sono che agglomerati di gas senza una forma ben definita, spesso asimmetrici e morfologicamente irregolari ed imprevedibili. Non si tratta quindi di una coincidenza poiché come per il DNA la struttura tridimensionale rappresenta una conformazione di minima energia che rispecchia un alto grado di ordine per nulla casuale.

Il nodo saliente risulta quindi capire le origini di una siffatta nebulosa: il candidato principale risulta essere un forte campo magnetico presente al centro della nostra galassia con le linee di forza del campo ordinatamente disposte in maniera perpendicolare al piano galattico e parallele all’asse della nebulosa. Il responsabile di questa conformazione bizzarra risulta essere quindi una forza, che a sua volta crea un’onda torsionale, che attorciglia alla base le linee di forza del campo magnetico, creando la struttura osservata. Il gas all’interno della nebulosa risulta quindi essere un efficiente tracciante dell’onda torsionale in questione.

Oltre ad essere un efficiente tracciante dell’onda torsionale la dislocazione simmetrica del gas nebulare risulta anche dare indicazione osservativa diretta sull’esistenza del forte campo magnetico al centro della galassia fin ora solo teorizzato e che risulterebbe quindi un migliaio di volte più forte di quello che si credeva.

In realta l’onda torsionale è in movimento così come il campo magnetico ma date le grandi distanze la variabilità di questo fenomeno avviene su tempi scala dell’ordine di 104 anni, fatto che lascia intravedere la possibilità di una evoluzione futura dello stesso. Inoltre un siffatto campo magnetico al centro galattico può spiegare l’inibizione della formazione stellare.

Secondo le ultime teorie unificate un nucleo galattico infatti risulta attivo se all’interno della galassia ospite c’è un alto tasso di formazione stellare; in questo caso la galassia da normale diviene attiva ed il suo nucleo, emettendo solo esso gran parte dell’energia e della luminosità, viene identificato come AGN (Nucleo Galattico Attivo).

Risulta quindi grazie alla presenza di questo campo magnetico che la Via Lattea non è un tumultuoso AGN, ma una semplice galassia spirale con una piccola barra all’altezza del nucleo. Il campo magnetico stimato in prossimità del centro galattico è inferiore a quello solare (che è circa 1000 volte quello terrestre) e pervade una regione di spazio talmente vasta da accumulare un’energia pari a quella sprigionata dalla somma di 1000 supernovae.

La domanda che sorge spontanea è quale sia l’origine di questo immane campo magnetico. Le teorie più accreditate ritengono che al centro di tutte le galassie sia presente un enorme buco nero che risucchia stelle e gas. La massa stimata da considerazioni dinamiche risulta essere circa 106 masse solari.

Ma il buco nero per quanto grande e massiccio di per se non può originare un siffatto campo magnetico; il candidato va quindi ricercato altrove. Nelle regioni circostanti al buco nero vi è una regione in cui la materia attratta gravitazionalmente comincia a ruotare e spiraleggiando termina entro l’orizzonte degli eventi del buco nero.

Nell’atto di essere catturata e risucchiata dal buco nero quindi, la materia si dispone lungo un disco che ruota solidale al buco nero; è questo disco, chiamato disco di accrescimento, il responsabile del campo magnetico e della sua conformazione spiraleggiante.

In effetti il campo magnetico esce dal disco di accrescimento in direzione perpendicolare al piano del disco stesso; poiché il sistema disco + buco nero ruota con un periodo stimato di 104 anni, imprime alla base del campo magnetico una torsione, che crea un progressivo intreccio delle linee di forza e questo si ripercuote a distanze maggiori di qualche anno luce con la genesi della struttura a doppia elica osservata.

La velocità di rotazione osservata in questo caso è giusto quella sufficiente da permettere l’avvolgimento delle linee di forza del campo magnetico senza stirarle o romperle; in una conformazione di minima energia e massima stabilità.

Sistemi come la via lattea sono molto comuni nell’universo, quindi ogni galassia con gas e polvere dovrebbe possedere al suo interno una o più nebulose a doppia elica: gli unici ingredienti sono un buco nero supermassiccio, un disco di accrescimento e una nebulosa nei paraggi del campo magnetico.

Quello che limita in questo momento le osservazioni in altre galassie è il potere risolutivo degli strumenti infrarossi a disposizione, ma con l’evolversi delle tecnologie e l’uso dell’interferometria “long baseline” a breve sarà possibile effettuare questi studi anche su altre galassie vicine e non essere limitati alla nostra.

A questo punto il discorso può essere espanso in maniera più sistematica: se tutte, o quasi, le galassie posseggono gli ingredienti base per la creazione delle nebulose a forma di DNA (ognuna generata nel nucleo e plasmata dal campo magnetico unico che a sua volta è generato dal disco di accrescimento della galassia, determinato quest’ultimo dalle uniche condizioni fisiche che hanno generato la galassia stessa) allora queste strutture cosmiche nebulari potrebbero rappresentare un codice univoco di caratterizzazione della galassia ospite.

Il discorso può volgere quindi su un piano interdisciplinare e coinvolgere anche la microbiologia nonché la genetica base alla ricerca della decriptazione di un codice cosmico che per ora ci sfugge: gli astronomi possono sognare di un’epoca in cui ogni volta che verrà identificata una nebulosa a doppia elica nel nucleo di una galassia ospite, essa non avrà più segreti; come se di quella galassia si sarà in possesso delle sue impronte digitali (e perché no del suo codice genetico) e tutto questo ne caratterizzerà univocamente il passato, il presente ed il futuro in accordo con i modelli di evoluzione galattica.

Forse il futuro dell’astronomia potrebbe essere dedito alla codifica e la decodifica del “genoma galattico” come se l’universo in toto fosse un unico grande organismo oppure
si tratta solo di una coincidenza cosmica… ai posteri l’ardua sentenza.

Fonte: lswn.it
Fonte immagine: ucla