Il doppio sonno degli antenati

doppio sonno

Pil doppio sonnorima del XIX secolo, i nostri antenati dormivano in un modo che oggi troveremmo bizzarro. Dormivano due volte per notte!

L’esistenza di questo doppio sonno è stata scoperta dal Dott. Rogere Ekirch, professore di storia alla Virginia Tech, USA.

La sua ricerca ha rivelato che dormire per otto ore filate non è sempre stata la prassi.

Una volta si dormiva in due tranche separate, e la notte, nel senso di periodo adibito al dormire, durava di più, ovvero 12 ore. Si iniziava da un sono di 3/4 ore, poi si stava svegli per 2/3 ore e ci si riaddormentava fino al mattino. Si trovano ovunque riferimenti a questa pratica nella letteratura, nei documenti di corte, negli scritti personali e in vari altri reperti del passato. Ciò che sorprende non è tanto il fatto che le persone dividessero il sonno in due momenti, ma che fosse un concetto così incredibilmente comune.

Dormire due volte era lo standard, era il modo accettato di dormire. “Non ci ha colpito solo il numero dei riferimenti, ma il modo in cui si cita la pratica, come se fosse una cosa ovvia”, spiega Ekirch. Per esempio, un medico inglese scriveva che l’ora ideale per lo studio e la contemplazione era fra il “primo sonno” e il “secondo sonno”. Ne I racconti di Canterbury, Chaucer diceva che un personaggio andava a letto in seguito al “primo sonno”. E, spiegando il motivo per cui la classe lavoratrice concepiva più figli, un medico del 1550 citava il fatto che tipicamente queste persone facevano sesso dopo il primo sonno. Il libro di Ekirch At Day’s Close: Night in Times Past è pieno zeppo di esempi del genere. Ma che cosa facevano le persone con queste ore buie in più?

Più o meno quello che vi aspettereste. Per lo più stavano a letto o nella loro stanza, a volte a leggere, e spesso usavano questo tempo per pregare. I manuali religiosi comprendevano delle preghiere speciali da recitare nelle ore fra un sonno e l’altro. Altri fumavano, parlavano con il partner o avevano rapporti sessuali. Alcuni erano più attivi e uscivano per andare a trovare i vicini. Come sappiamo, questa pratica con il tempo è scomparsa. Ekirch attribuisce il cambiamento all’avvento dell’illuminazione stradale e poi alla diffusione dell’elettricità nelle case, nonché alla popolarità dei caffè.

Il Dott. Craig Koslofky, professore di storia all’università dell’Illinois, offre un’ulteriore teoria nel suo libro Evening’s Empire. Con la diffusione delle luci stradali, la sera non era più il regno dei criminali e delle classi operaie ma diventò un orario per lavorare o socializzare. Alla fine due cicli di sonno finirono per essere considerati uno spreco per queste ore. Indipendentemente dal motivo del cambiamento, poco dopo l’inizio del XX secolo il concetto del doppio sonno era svanito dal sapere collettivo, fino al 1990 circa. Forse i due sonni per notte saranno antiquati, ma anche nell’uomo moderno permangono tendenze a fare qualcosa di simile. Potrebbe esistere una preferenza biologica innata per la separazione del sonno in due, nelle giuste circostanze.

All’inizio degli anni Novanta, lo psichiatra Thomas Wehr, dell’Istituto Nazionale di Salute Mentale(NIMH) statunitense, condusse uno studio sulla fotoperiodicità (esposizione alla luce) e i relativi effetti sui modelli di sonno. I questo studio, 15 uomini trascorsero quattro settimane con la luce del giorno limitata artificialmente. Anziché essere svegli e attivi per le normali 16 ore al giorno, stavano alzati solo per 10 ore. Passavano le altre 14 ore in una stanza chiusa e scura, nella quale riposavano o dormivano il più possibile. Si tratta di un’imitazione delle giornate di inverno inoltrato, in cui la luce diurna dura poco e le notti sono lunghe.

Inizialmente i partecipanti dormivano a lungo, probabilmente compensando un debito di sonno tutt’altro che raro nell’uomo moderno. Una volta recuperato il sonno, però, accadeva qualcosa di strano: iniziavano a suddividere il sonno in due parti. Nel corso di 12 ore, i partecipanti all’inizio dormivano in genere per 4-5 ore, poi si svegliavano per qualche ora e quindi riprendevano a dormire fino al mattino. Non dormivano più di 8 ore in totale. Le ore centrale della notte, fra un sonno l’altro, erano caratterizzate da un’insolita calma, come negli stati di meditazione. Non si trattava degli episodi notturni in cui ci si rigira nel letto senza dormire, che molti di noi sperimentano spesso.

Queste persone non si preoccupavano di doversi riaddormentare, ma usavano questo tempo per rilassarsi. Il Dott. Russell Foster, professore di neuroscienze circadiane all’Università di Oxford, Regno Unito, sottolinea che anche con i modelli di sonno standard, il risveglio notturno non è sempre qualcosa di preoccupante. “Molte persone si svegliano di notte e ne sono spaventate. Io dico a loro che si tratta di una regressione a un modello di sonno bimodale.” Al di fuori del contesto scientifico, questo tipo di modello di sonno è ancora raggiungibile, ma ci impone di modificare il nostro stile di vita moderno ed elettrico. J.D. Moyer e la sua famiglia hanno scelto intenzionalmente di vivere per un mese intero senza luci elettriche.

Nei mesi invernali, ciò comportava molta oscurità e molto sonno. Moyer ha scritto: ”Andavo a letto davvero presto, circa 20.30, e poi mi alzavo verso 2.30. Inizialmente la cosa mi preoccupava, ma po mi sono ricordato che questo modello di sonno era piuttosto comune nelle epoche in cui non c’era l’elettricità. Quando mi capitava, mi mettevo a leggere o a scrivere a lume di candela per una o due ore, e poi tornavo a letto.” Insomma, la prossima volta che vi svegliate alle 2 e non riuscite a dormire, vi basti ricordare i vostro avi. Per loro era così tutte le notti.

Estratto dal magazine Nexus nr.114