Intelligenza? Insieme, lo siamo di più!

http://science.sciencemag.org/content/330/6004/686

http://science.sciencemag.org/content/330/6004/686Il 29 Ottobre 2010 è stato pubblicato su Science (abstract) uno studio che, per molti versi, possiamo sperare essere il primo di una lunga serie.

Si tratta di un articolo dal titolo “Evidence for a Collective Intelligence Factor in the Performance of Human Groups“, strutturato e scritto da un gruppo di ricercatori di varie Università americane.

Lo studio, capitanato da Anita Williams Woolley, sembra mettere in luce l’esistenza di un’intelligenza collettiva non assimilabile alla somma delle intelligenze singole che compongono il gruppo. Come sappiamo, fino ad ora la psicologia ha molto lavorato sulla misurazione dell’intelligenza individuale sulla base di metodi statistici, ma mai nessuno fino ad ora aveva pensato di utilizzare gli stessi metodi per misurare l’intelligenza di un gruppo di persone.

L’obiettivo di questa serie di esperimenti si basa sull’ipotesi che i gruppi, proprio come gli individui, possiedano un’intelligenza propria – qualcosa quindi di diverso dalla somma delle intelligenze degli individui che li compongono – che può essere misurata ed usata per predire le performance future del gruppo stesso su una grande varietà di compiti. Innanzi tutto per dimostrare l’esistenza di questa intelligenza di gruppo – che i ricercatori hanno chiamato fattore c, che sta per collettivo – sono stati creati 40 gruppi di tre persone che hanno lavorato per 5 ore su una serie di compiti semplici e complessi.

I compiti includevano la risoluzione di puzzle visivi, brainstorming, l’emissione di giudizi collettivi di carattere morale e negoziazioni. All’inizio di ogni sessione, gli studiosi misuravano l’intelligenza individuale dei membri del gruppo e, alla fine, chiedevano ad ogni gruppo di fare una partita a dama contro un computer standardizzato.

I risultati così ottenuti hanno mostrato che il fattore c esiste davvero e che non è affatto correlato dalla media e dai risultati massimi ottenuti dai singoli membri del gruppo. Inoltre, mentre le intelligenze individuali non risultarono predittive delle performance su altri compiti, il fattore c si mostrò significativamente funzionale in tal senso.

Nel secondo studio vennero creati 152 gruppi composti da un numero di persone che variava tra 2 e 5 membri. L’obiettivo di questa seconda tranche di sperimentazioni, fu di testare il fattore c su gruppi di dimensioni diverse, utilizzando un campione più ampio di compiti e una misurazione alternativa dell’intelligenza individuale. Come ci si aspettava, anche in questo caso i risultati si rivelarono positivi: presi insieme, i risultati ricavati dai test offrirono un forte sostegno all’esistenza di un fattore c dominante sottostante alle performance di gruppo.

Dunque i ricercatori si sono chiesti quali potessero essere i fattori soggiacenti alla manifestazione di c, e cioè che cosa possa causare effettivamente l’attivazione di tale intelligenza collettiva. A quanto pare negli esperimenti condotti, la motivazione, la coesione e la soddisfazione dei singoli membri non si rivelarono fattori significativi, o almeno non come altri tre che, invece, si rivelarono maggiormente corresponsabili dei successi dei gruppi.

In primo luogo, risultò esserci una forte correlazione tra il fattore c e la sensibilità sociale dei membri del gruppo, misurata da un test chiamato “leggere la mente negli occhi”.

In secondo luogo, c sembrò essere negativamente correlato con la varianza nel numero di turni in cui i membri del gruppo si lasciavano la parola. In parole povere, i gruppi in cui solo poche persone dominavano la conversazione, e quindi con una disequilibrata distribuzione dei turni di parola, si rivelarono meno intelligenti in senso collettivo degli altri.

In terzo ed ultimo luogo, venne osservato che c fosse significativamente e positivamente correlato con il numero di donne all’interno del gruppo, probabilmente perchè le donne vantarono di per sè di risultati maggiormente positivi nei test di sensibilità sociale rispetto agli uomini.

Naturalmente questi risultati aprono le porte ad innumerevoli interrogativi, ad esempio come fare a metterci in testa che l’unione faccia la forza, dove per unione non intendiamo, naturalmente, l’unione-come-la-penso-io ma qualcosa che ospiti e che favorisca la diversità rivolta comunque verso un obiettivo comune. Non sarebbe male, in tal senso, provare a sperimentarsi in prima persona e ad osservare l’innesco del fattore c nelle nostre imprese familiari, relazionali, lavorative, formative e quant’altro. Allora, che cos’ha effettivamente funzionato? Il turno di parola, ora, è tutto vostro!

spaziomente.wordpress.com