La chiesa e il suo lavaggio del cervello – parte seconda

La chiesa e il suo lavaggio del cervello – parte seconda

il-sito-cattolico-pontifex-denuncia-moretti-1Intervista di Biagio Catalano a Domenico Pacitti – Traduzione di Gianluca Freda

Catalano: Visto l’attuale stato del disastro politico, economico e sociale in Italia, lei consiglierebbe a un futuro studente di imbarcarsi in un lungo (e molto oneroso) corso di studi in Italia? O c’è il pericolo di ritrovarsi, alla fine, non solo senza lavoro, ma anche condizionati nel proprio modo di pensare, contribuendo così all’incremento degli “ignoranti istruiti” d’Italia o dei candidati alla “fuga di cervelli”?

Pacitti: Il mio consiglio è di valutare se l’istruzione universitaria sia davvero l’unica strada per un avanzamento e di considerare le possibili alternative. Un paese come l’Italia, nel quale fino a tempi piuttosto recenti esisteva un alto tasso di analfabetismo, tende a sopravvalutare l’educazione universitaria. Sarebbe difficile trovare dei genitori italiani che non considerino il conseguimento di una laurea da parte del proprio figlio o figlia come un grande risultato. In questi casi, quando l’educazione universitaria è ritenuta indispensabile, consiglio di seguire i corsi universitari con il doppio obiettivo di imparare una materia e di trasformare il sistema. Ciò significa acquisire la volontà e le capacità necessarie ad organizzare un’azione studentesca estesa ed efficace.

Quando gli studenti italiani protestano, lo fanno immancabilmente per le condizioni di studio, per le tasse e per gli alloggi. Non protestano mai contro le procedure corrotte che generano i loro insegnanti. Evidentemente questo non è importante per loro, il che significa che gran parte della colpa del triste stato delle università italiane è da attribuire agli studenti stessi. Quegli studenti che vorrebbero essere giudicati sul merito, ma che non vogliono provare a modificare il corrotto sistema italiano, dovrebbero andarsene all’estero, contribuendo alla “fuga dei cervelli”… ma dovrebbero anche essere preparati a vedere sminuite le qualifiche ottenute all’estero e le possibilità di ottenere una cattedra al loro ritorno in Italia.

Catalano: In uno dei suoi articoli [Fondamenti cattolici della corruzione in Italia], che ho recentemente citato [in L’esegesi dello “sterco di Satana”], riferendosi al legame tra religione e economia lei evidenzia una stretta relazione tra il fallimento politico ed economico italiano e il cattolicesimo. Dal suo punto di vista, esistono ragioni intrinseche di carattere geo-climatico che potrebbero giustificare la nascita del cattolicesimo, delle sue familiari caratteristiche, il suo sviluppo come strumento di controllo di massa, proprio nell’area italiana?

Pacitti: Ogni indagine che ci aiuti a far luce sul ruolo degli elementi climatici e geografici sui processi formativi che hanno forgiato le caratteristiche dei nostri antenati e delle antiche civiltà della penisola italiana, va certamente incoraggiata. Non vedo motivo per cui questi fattori non potrebbero aver giocato almeno un ruolo di contributo.

Ad esempio, il fatto che l’Italia sia una penisola, insieme alla sua collocazione mediterranea, l’ha resa ovviamente un fondamentale centro di commerci nell’antichità, e questo potrebbe aver favorito il diffondersi di una mentalità mercantile fra gli abitanti. La questione è sicuramente degna di essere oggetto di studi approfonditi lungo le linee che lei suggerisce.

Si potrebbe usare il metodo della variazione concomitante, cioè cercare altri esempi in cui caratteri geografici e climatici analoghi abbiano prodotto tratti culturali simili; e poi cercare casi in cui clima, geografia e cultura non siano relazionabili, oppure lo siano in modo parzialmente diverso. Si dovrebbe, ovviamente, tener conto dei parametri storici per cercare di arrivare alla verità, isolando i fattori rilevanti. Lo storico francese Fernand Braudel, morto nel 1985, ha compiuto importanti ricerche in questo campo. So che esiste una Fondazione Braudel a New York che porta avanti il suo lavoro, ma non ho seguito gli ultimi sviluppi.

Catalano: Professore, ad un’analisi accurata risulta immediatamente ovvio che la storia dell’Impero romano e quella del Vaticano sono interdipendenti. A suo avviso, perché tanti accademici e la stessa opinione pubblica sembrano incapaci di percepire l’evidenza dei fatti, e cioè che la cristianità fu una creazione politica dell’Impero romano?

Pacitti: Una delle ragioni è che semplicemente non conoscono la loro storia. Un’altra è che l’indottrinamento della scuola e dell’università contiene le loro indagini entro una cornice sicura e predefinita. Gli accademici tendono a iper-specializzarsi in un unico settore. Ciò porta spesso ad una forma di istupidimento o rigor mortis mentale che impedisce loro di vedere certe situazioni nel loro giusto contesto e nell’esatta prospettiva, o di essere in grado di interpretare i risultati delle loro ricerche in modo appropriato. Un principiante indipendente e intelligente, perfino se autodidatta, è probabilmente più libero da questi considerevoli limiti. Un altro motivo sta nel fatto che, in tutta evidenza, non esiste una motivazione forte – e anzi vi sono molti disincentivi – a perseguire il tipo di ricerca che lei suggerisce, poiché essa non è politicamente utile.

L’opinione pubblica, in Italia e altrove, continua ad essere guidata in gran parte da coloro che controllano i media. E’ certamente vero che dall’epoca di Platone fino all’età moderna, passando per il medioevo, vi è stata una continuità nella degenerazione, come se una specie di forza corruttrice avesse assimilato e trasformato tutto ciò con cui veniva in contatto in qualcosa di basso e immorale. La profonda e insaziabile sete di potere all’interno della penisola italiana, che risale all’alba dei tempi, è un fenomeno che non trova paragoni nell’intera storia umana.

Vale forse la pena di ricordare ai nostri lettori che l’Impero Romano si fa generalmente iniziare con la battaglia di Azio nel 31 a.C. e finire con Romolo Augustolo nel 476 d.C. A partire dall’inizio del sesto secolo, l’Impero d’Occidente si era evoluto nell’Impero Bizantino. Si potrebbe anche dire che il Sacro Romano Impero ebbe inizio con Ottone il Grande nel 962, o perfino con Carlo Magno nell’800, e ricevette il suo definitivo coup de grâce solo nel 1806, a seguito della sconfitta di Francesco d’Austria ad opera di Napoleone. Abbiamo dunque un fenomeno rimarchevole e pressoché unico nella storia: una stessa città, Roma, ha generato i due imperi più potenti che il mondo abbia mai visto, che, presi insieme, si sono estesi per un arco di oltre duemila anni. Per dirla con Agostino d’Ippona, uno, la Città dell’Uomo, era temporaneo e mortale, l’altro, la Città di Dio, era eterno e non soggetto a quei fenomeni che abbattono gli imperi e pongono fine alle civiltà.

Catalano: Lei ha parlato della Controriforma e del Concordato come di eventi chiave nella riaffermazione del cattolicesimo e della sua perniciosa influenza sulla storia d’Italia e del mondo. Lei crede che sia possibile invertire questi processi, e se sì, come?

Pacitti: Il punto importante della Controriforma, o Riforma Cattolica, i principi della quale furono suggellati dal Concilio di Trento del 1563, è che in un momento in cui tutti gli altri paesi europei compivano giganteschi balzi in avanti, la Chiesa Cattolica Romana compiva un gigantesco passo indietro verso il medioevo. La necessità di credere in dogmi assurdi, come la transustanziazione, i sacramenti e la vita eterna, venne enfaticamente riaffermata, mentre le riforme furono quasi esclusivamente burocratiche. Il Concordato, d’altro canto, fu parte dei patti lateranensi che Mussolini stipulò con la Santa Sede nel 1929.

La creazione di uno Stato del Vaticano indipendente, il consolidamento dei poteri della Chiesa e la garanzia di nuovi poteri – in particolare il controllo sul sistema educativo del paese – furono tra le concessioni fatte da un dittatore onnipotente che però riconosceva, allo stesso tempo, l’enorme forza e influenza della Chiesa, con le sue centinaia di milioni di adepti sparsi per il mondo. Questa mossa, che fu del tutto politica e a quell’epoca assai utile per Mussolini, fu però decisamente pessima per il popolo italiano. Come la Controriforma, anche il Concordato fece un passo decisivo nella direzione sbagliata. Nonostante l’apparente limitazione di una parte di questi danni ad opera della Costituzione del 1948, la mentalità italiana contemporanea rimane dominata dalla Chiesa. Come si fa a invertire più di 2.000 anni di condizionamento sociale e psicologico? Io credo che non esista alcuna misura che, se adottata da sola, possa avere successo.

C’è bisogno di due cose: una serie di misure adottate all’unisono e allo stesso tempo la percezione da parte del pubblico che i cambiamenti siano permanenti. Anche se la mini-rivoluzione di Antonio Di Pietro avesse avuto successo, sarebbe bastato il mero peso del passato a diffondere la convinzione che un futuro governo avrebbe potuto invertire tutti i cambiamenti importanti. Le misure positive dovrebbero includere: politici che siano in grado di fornire al paese un esempio moralmente ineccepibile; pubbliche ricompense per la buona condotta e punizioni per la cattiva condotta; radicale riforma delle scuole e delle università nazionali; iniziative volte ad evidenziare la necessità di abolire la religione, in considerazione degli immensi danni che essa ha provocato; e la necessità di espandere la vecchia identità in favore di una nuova e positiva identità europea. Poiché è poco probabile che tutto ciò avvenga, possiamo ragionevolmente accettare che l’attuale mentalità resti prevalente ancora per un certo tempo.

Catalano: Perché crede che la classe politica italiana, a prescindere dal colore, mostri l’irresistibile desiderio di aggrapparsi in modo quasi subliminale alla politica e all’ideologia tradizionalmente espresse dal Vaticano, senza preoccuparsi degli effetti che quest’alleanza produce sull’opinione pubblica italiana e straniera? E’ solo una questione di banale clientelismo o ci sono altri fattori determinanti?

Pacitti: Osservare la debolezza e instabilità dei loro governi, da un lato, e il potere e l’influenza della Chiesa Cattolica dall’altro, ci fornisce l’evidente risposta. Si ha l’impressione – e non solo in Italia – che il termine “politico onesto” sia un ossimoro, una pura e semplice contraddizione in termini. L’azione politica è largamente incompatibile con l’osservanza di criteri morali, o almeno questo è ciò che mi è sempre sembrato.

In Italia, per tradizione, i politici entrano in politica con il fine di diventare potenti e influenti – certo un riflesso della loro debolezza e instabilità interna – e di ammassare ricchezza attraverso l’arte di trasferire fondi pubblici a conti bancari privati. Nessuno, in Italia, entra in politica per fare davvero il bene del popolo italiano. Ciò vuol dire che la colpa è soprattutto degli italiani stessi, i quali non hanno intrapreso azioni adeguate per porre fine a questa situazione. Vuol dire che non facendo nulla, con la loro inazione prolungata e intenzionale, essi hanno dato il proprio tacito consenso a questa classe politica criminale.

Nelle scorse elezioni, Berlusconi disse ai suoi candidati di rivolgersi ai loro elettori come se fossero bambini di undici anni. Questo dà il quadro di come siano visti oggi gli elettori. L’Italia non ha mai avuto una rivoluzione come quella francese, con la sua ghigliottina, e non ha mai beneficiato in pieno dello spirito dell’Illuminismo. In un certo senso molte nazioni hanno il governo che meritano. E così anche gli italiani, per la loro debolezza di volontà, per la mancanza di coraggio, per la loro mentalità condizionata dalla Chiesa, hanno avuto i governi e il sistema politico che meritavano.

Catalano: Molti opinionisti, giornalisti e conduttori televisivi italiani hanno oggi un background cattolico o sono in gran parte allineati. Lei crede che sarà possibile, nel medio termine, una defenestrazione di questa generazione inquinata, che possa fornire un esempio ai giovani che vogliono diventare buoni giornalisti? E se sì, quali strumenti si dovrebbero usare?

Pacitti: Qui non c’entra nulla l’essere cattolici praticanti, poiché molti dei principali giornalisti italiani sono ebrei, musulmani e buddisti. Il guaio è che tutti possiedono le richieste qualità di servilismo e di autocensura istintiva che gli permettono di restare nell’ambiente. E questi sono caratteri culturali italiani profondamente radicati che fanno parte dell’eredità di un modo di pensare inculcato dalla Chiesa.

L’aspetto più pernicioso della risultante distorsione mediatica consiste nell’illusione che all’ascoltatore, lettore o telespettatore venga presentata tutta la gamma delle opinioni possibili. La verità è che le opinioni radicali o indipendenti vengono accuratamente e sistematicamente filtrate per il loro potenziale sovversivo, il che è una notevole restrizione della libertà d’espressione. Quindi i presentatori di cui lei parla sono meno pericolosi quando agiscono apertamente come maggiordomi dei loro burattinai politici piuttosto che quando sembrano operare con meticolosa imparzialità; poiché in quest’ultimo caso l’arte dell’inganno è perpetrata in modo sottile, come in una gara di scacchi, attraverso la sofisticata elaborazione di verità parziali che messe insieme producono un’immagine fasulla.

Del resto, considero l’eliminazione di questa casta corrotta tanto improbabile quanto l’eliminazione della corrotta classe politica, per gli stessi motivi della risposta precedente: debolezza e passività, che sono parte del marchio indelebile impresso dalla Chiesa sulla mentalità italiana.

Catalano: Lei pensa che affamare e ridurre all’ignoranza un intero paese rappresenti una tecnica efficiente di manipolazione demagogica? Se sì, in che modo e con quali metodi ciò viene attuato in Italia?

Pacitti: No. Il Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti ha compreso ormai da tempo che l’indottrinamento sistematico ad opera dei media è molto più efficace per controllare il pensiero della gente rispetto ai vecchi metodi che sfruttavano la fame e la miseria. E l’Italia impara continuamente dagli Stati Uniti. Gli italiani sono un popolo creativo per natura, la cui creatività deve essere ristretta entro certi confini ben definiti, affinché non divenga politicamente pericolosa o sovversiva. Un popolo affamato è potenzialmente più pericoloso di un popolo ben nutrito e dotato di appropriato intrattenimento.

La promozione di una conoscenza culturale “sicura” viene considerata accettabile. Ma allo stesso tempo, secondo il CNS, occorre tenere la gente all’oscuro di certi problemi. E questo, di nuovo, significa controllo mediatico… non solo di cosa e come viene comunicato, ma, cosa più importante, di cosa deve essere omesso.

Catalano: Professor Pacitti, grazie per la sua gentile collaborazione. Presto verremmo ancora a parlare con lei e a beneficiare delle sue opinioni.

justresponse.net