Mente estesa: La coscienza del Quantum Brain

Mente estesa: La coscienza del Quantum Brain
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Abbiamo visto parlando di mente estesa come i processi della “embodied mind” di percezione-cognizione-azione possano essere interpretati in termini di emergenza derivante da uno stretto accoppiamento tra il corpo-mente con sé stesso e con l’ambiente-mondo.

Ne è conseguito che quella che noi chiamiamo “coscienza” risulti in realtà non una “cosa” che accade dentro di noi, ma un processo complesso, dinamico ed aperto che deriva dalla co-esistenza e dalla co-evoluzione del sistema corpo-cervello con l’ambiente-mondo e viceversa. Dunque, non avremo a che fare solo con i “correlati neurali”, ma anche con quelli ambientali e socio-culturali, che avranno pieno titolo nella definizione dei contenuti mentali e dei relativi processi.

Una conseguenza importante è quella della irriducibilità della mente estesa a fattori meramente bio-chimici, per quanto importantissimi come si é detto (compresi quelli genetici), così come l’esecuzione di una musica non dipende solo dalle note scritte sul pentagramma.

In sintesi, il paradigma della mente estesa pur non facendo riferimento a leggi non fisiche e quindi rientrando, a mio parere, all’interno del principio di chiusura causale del mondo fisico (che è un principio, ripeto, metafisico materialistico e non una legge della fisica in senso stretto come le leggi della termodinamica) considera la coscienza non “zippabile” all’interno dell’individuo e non comprimibile alle sue singole componenti bio-chimiche in quanto è un processo emergente, complesso ed aperto al mondo, senza il quale non potrebbe nemmeno esistere.

In tale quadro, un modello molto interessante che mostra notevoli analogie con la mente estesa è quello del “dissipative quantum brain”, elaborato dal fisico teorico italiano Giuseppe Vitiello (“My double unveiled”, 2001) sulla base del modello di Ricciardi-Umezawa (1967; Stuart, Takahashi e Umezawa, 1978; 1979), e che proporrò nella versione affinata negli ultimi anni assieme al neurobiologo Walter J. Freeman, recentemente riproposta in forma sintetica e abbastanza comprensibile anche per “non addetti ai lavori” nel Journal of Cosmology con l’articolo “The Dissipative Brain and Non-Equilibrium Thermodynamics” , che fa riferimento anche al modello olonomico del cervello e della memoria (che, come vedremo, ha una funzione importante nel modello) frutto delle intuizioni e degli studi di Karl Pribram anche in collaborazione con David Bohm.

Prima di spiegare in sintesi ed in termini discorsivi il modello di Vitiello-Freeman, è necessario precisare che quando si parla di “quantum brain” lo si può fare essenzialmente in due modi, ossia considerando che nei modelli:
a. i processi quantistici vengano considerati reali all’interno del cervello e siano descritti dal formalismo della meccanica quantistica (cd. “prima quantizzazione”) o della teoria quantistica dei campi (cd. “seconda quantizzazione”) (Licata, 2008);
b. i processi quantistici non vengano considerati reali, ma si utilizzi il formalismo quantistico per descrivere processi complessi caratterizzati da auto-organizzazione ed emergenza. In tal caso, si parla di “Quantum like semantics”, “in quanto i sistemi trattati non sono di natura quantistica ma seguono piuttosto una logica quantistica nelle relazioni tra sistema ed osservatore, cosa che modifica il significato del formalismo” (Licata, 2008).

Modelli del primo tipo sono ad esempio quello citato di Vitiello-Freeman e la teoria Orch-OR, tanto famosa quanto controversa, di Penrose-Hameroff, mentre modelli del secondo tipo sono quelli elaborati ad es. da Yuri Orlov o da Andrei Khrennikov (cfr. Licata cit.) o ancora gli studi connessionistici sulle “reti neurali quantistiche”, come quelli di Avshalom C. Elitzur , con applicazioni ad esempio nella robotica evolutiva e nell’intelligenza artificiale post-classica basata in prevalenza sui sistemi sub-simbolici (connessionismo).

Quando si parla di “cervello quantistico” in senso reale ci riferiamo ad un sistema macroscopico quantistico a tutti gli effetti, come possono essere i fenomeni della superconduttività, superfluidità, i laser ed il quantum computing (che può essere digitale e quindi di tipo Turing o analogico, quindi super-Turing ma non universale).

Il concetto di sistema quantistico macroscopico ci riporta al famoso paradosso del gatto di Schrödinger (la sovrapposizione degli stati “gatto vivo” e “gatto morto”) e quindi all’annoso problema della misura in fisica quantistica ed al collasso della funziona d’onda descritta dalla equazione di Schrödinger.

Il problema di fondo è capire “se e come” l’interazione fra strumenti di misura e “quanti” (e in generale fra realtà macro e realtà micro), di cui l’esempio tipico è l’esperimento delle due fenditure, determina la “scelta” di un valore tra le “infinite storie quantistiche” possibili o se invece la funzione d’onda “collassi” naturalmente indipendentemente dal ruolo dell’osservatore/misuratore come prevedono ad esempio l’ipotesi della decoerenza quantistica, in cui “l’oggetto quantistico arriva all’apparato di misura già classico, dopo una sorta di decadimento legato a processi più o meno esotici oppure ad un opportuno gioco di interferenze distruttive tra le varie storie” (Licata, cit.), della riduzione dinamica della teoria GRW (Ghirardi-Rimini-Weber) o la stessa Orch-OR citata di Roger Penrose.

Del resto, come diceva ironicamente lo stesso John Stuart Bell nel suo “Against Measurement”:
“La funzione d’onda del mondo ha per caso atteso di ‘saltare’ per migliaia di anni fino a che non è apparsa la prima creatura vivente monocellulare? Oppure ha aspettato ancora un pò di più, per aspettare qualche sistema meglio qualificato… con un dottorato?”.
Quindi, da un lato nella meccanica quantistica l’osservatore e il ruolo del soggetto sono recuperati rispetto alla fisica classica in quanto l’osservatore è sempre “accoppiato” al sistema osservato e lo descrive da una prospettiva particolare, ma dall’altro si dibatte sull’ “oggettività” della realtà quantistica a prescindere dal fatto che ci sia un osservatore che misura.

Tutto questo è fondamentale quando si parla di “quantum brain reale” perché se consideriamo il cervello come un sistema quantistico macroscopico reale, occorre capire le relazioni che intercorrono fra la realtà quantistica sottostante (l’ “implicate order” di Bohm) e quella classica di tipo termodinamico (l’ “explicate order”) e come sia possibile che la realtà classica emerga da quella quantistica conservando proprietà quantistiche.

La descrizione del modello Vitiello-Freeman del “quantum brain” che vi propongo sarà necessariamente discorsiva e cercherò di estrapolarne gli elementi che ritengo essenziali per una sua comprensione intuitiva poggiante comunque su una base di concetti della fisica quantistica e in parte della biologia.

Innanzitutto, come ho già detto nel precedente post, questa teoria ipotizza una coesistenza e interazione fisica reale fra processi quantistici e processi biologici, laddove la realtà classica biologica e neurale emergerebbe “naturalmente” da quella quantistica e i relativi processi neurali nel cervello sarebbero direttamente “implementati” da quest’ultima (ad es. la rapida sincronizzazione dei pattern neurali) oltre cha da fenomeni tipicamente biochimici e quindi “classici” (dunque, come detto, quantistico e classico coesisterebbero).

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In particolare, nel nostro cervello e in generale in tutto il corpo – dove il sistema nervoso è “immerso” in un “milieu di biomolecole”, tra cui quella più diffusa è l’acqua – si verificherebbero dei processi quantistici spontanei (rotture spontanee di simmetria dei dipoli elettrici delle biomolecole) dovuti alla continua interazione con l’ambiente ed alla natura stessa dei legami elettromagnetici delle predette biomolecole. In buona sostanza, nel cervello (e in tutto il corpo per logica estensione) esisterebbe già “a monte” un campo quantistico, con caratteristiche che vedremo, entro il quale avverrebbero i predetti fenomeni di rottura spontanea di simmetria e dal quale emergerebbero naturalmente i processi della realtà classica biologica, che nel nostro caso specifico è fatta, semplificando, da biomolecole e neuroni nel cervello (e poi, ovviamente, da sinapsi, assoni, dendriti, cellule gliali ecc.; nel modello di Vitiello-Freeman la “sorgente” dei pattern rilevati e all’origine della formulazione della teoria riguarda il cosiddetto “neuropil” della neocorteccia).

Il modello di Vitiello-Freeman si basa sull’utilizzo della teoria quantistica dei campi a molti corpi , che si è rivelata ottimale per descrivere i fenomeni di emergenza dal livello quantistico a quello classico e per spiegare alcuni importanti dati sperimentali derivanti dagli elettroencefalogrammi (EEG) e dagli elettrocorticogrammi (ECoG), che altrimenti non sarebbero spiegabili attraverso i processi classici di tipo meramente elettrochimico.

Come abbiamo detto la teoria quantistica dei campi è detta anche “seconda quantizzazione” (Licata, 2008) e fondamentalmente si distingue dalla meccanica quantistica (“prima quantizzazione”) per la modifica sostanziale del concetto di spazio-tempo vuoto (il “vuoto quantistico” e le sue fluttuazioni di “punto zero”) e, in particolare, quella “a molti corpi” descrive in maniera efficace l’emergenza di comportamenti coerenti collettivi a partire da una molteplicità di “particelle elementari” ed è comunemente usata ad esempio nella fisica della materia condensata (fenomeni della superfluidità, superconduttività ecc.).

Un punto di partenza dell’analisi quantistica di Vitiello-Freeman la possiamo far risalire al famoso dilemma di Lashley risalente alla prima metà del secolo scorso (1942) : “Here is the dilemma. Nerve impulses are transmitted … from cell to cell through definite intercellular connections. Yet, all behavior seems to be determined by masses of excitation…within general fields of activity, without regard to particular nerve cells… What sort of nervous organization might be capable of responding to a pattern of excitation without limited specialized path of conduction? The problem is almost universal in the activity of the nervous system”. La ricerca di Vitiello-Freeman, dunque, si basa sulla definizione di questi “pattern di conduzione non specializzati” del sistema nervoso (cerebrale) in risposta ai “pattern di eccitazione” nel ciclo di azione-percezione ed interazione dell’organismo con l’ambiente.

In sostanza, il problema è capire come si generano comportamenti collettivi neurali coerenti e sincronizzati a velocità difficilmente spiegabili con la semplice trasmissione elettrochimica.

Fonte: Vitiello, Freeman, 2008 "The sharp spikes (gray, De(t)) show the rate of change in spatial AM patterns. The lower curve (black, the inverse of Re(t), a measure of synchrony) shows that the re-synchronization precedes the emergence of spatial order and also the increase in power in each frame."
Fonte: Vitiello, Freeman, 2008 “The sharp spikes (gray, De(t)) show the rate
of change in spatial AM patterns. The lower curve (black, the inverse of Re(t),
a measure of synchrony) shows that the re-synchronization precedes the emergence
of spatial order and also the increase in power in each frame.”

Come dicono in questo articolo gli stessi autori: ” Observations and data analysis carried on in the past decades (Freeman, 1975-2006) have shown that the brains of animal and human subjects engaged with their environments exhibit coordinated oscillations of populations of neurons, changing rapidly with the evolution of the relationships between the subject and its environment, established and maintained by the action-perception cycle. Our analysis of electroencephalographic (EEG) and electrocorticographic (ECoG) activity has shown that cortical activity during each perceptual action creates multiple spatial patterns in sequences that resemble cinematographic frames on multiple screens. In this paper we will briefly review some of the features of the dissipative model of brain which has been formulated in recent years (Vitiello, 1995, 2001; 2004; Freeman & Vitiello, 2006- 2010).”

Questi pattern rilevati da EEG e ECoG sono detti “spatial amplitude modulated patterns” (AM) e Vitiello-Freeman ne hanno identificato la sorgente nel “neuropil neocorticale”, ossia “the dense felt-work of axons, dendrites, cell bodies, glia and capillaries forming a continuous sheet 1 to 3 mm in thickness over the entire extent of each cerebral hemisphere in mammals” e le relative onde di trasporto sono state identificate come strette bande di oscillazione di circa 3-5 Hz all’interno delle frequenze cerebrali beta (12-30 Hz) e gamma (30-80 Hz), che “form during the active state and dissolve as the cortex returns to its receiving state after transmission” (Vitiello-Freeman, 2008).

Questa oscillazione di frequenza fra “active state” e “receiving state” della neocorteccia secondo i nostri autori comporterebbe che: “The change in the dynamical state of the brain with each new frame resembles a collective neuronal process of phase transition requiring rapid, long-distance communication among neurons for almost instantaneous re-synchronization of vast numbers of neurons”.

Dunque, i pattern AM rilevati dagli strumenti (EEG e ECoG) e le relative onde di trasporto ad essi associati nella forma di leggere variazioni (3-5 Hz) delle onde cerebrali beta e gamma possono essere riferibili a processi neuronali coerenti e collettivi conseguenti a transizioni di fase, che richiedono rapide comunicazioni a lunga distanza fra neuroni e che determinano una ri-sincronizzazione pressocché istantanea di un vasto numero di neuroni.

Secondo Vitiello-Freeman la rapidità di questo processo di ri-sincronizzazione neuronale a lunga distanza non è compatibile “with the mechanisms of long-range diffusion and the extracellular dendritic currents of the ECoG, which are much too weak. The length of most axons in cortex is a small fraction of the observed distances of long-range correlation, which cannot easily be explained even by the presence of relatively few very long axons creating small world effects [Barabásí, 2002]”.

Cioè, i meccanismi di diffusione a lunga distanza, ossia le correnti elettriche dendritiche extra-cellulari e le trasmissioni di tipo chimico, non sono idonee secondo VF (abbrevierò così Vitiello-Freeman a partire da qui) a spiegare i pattern AM osservati e la velocità del processo neuronale da essi implicato (“Thus, neither the chemical diffusion, which is much too slow, nor the electric field of the extracellular dendritic current nor the magnetic fields inside the dendritic shafts, which are much too weak, are the agency of the collective neuronal activity. Lashley’s dilemma remains, thus, still to be explained” [2008]).

A questo punto, l’ipotesi di VF è quella di spiegare questo processo osservato dei pattern AM e dei processi quasi-istantanei di ri-sincronizzazione neuronale ad esso riferibili come un processo quantistico reale e quindi di ipotizzare che il cervello sia un sistema quantistico macroscopico reale (“namely a system whose macroscopic behaviour cannot be explained without recourse to the microscopic dynamics of its elementary components” [Vitiello, Freeman, 2011]) in cui i neuroni e le biomolecole restano enti biologici classici, ma i relativi processi sono emergenti dal campo quantistico bosonico sottostante che è descritto dalla citata teoria quantistica dei campi a molti corpi.

Tale campo quantistico bosonico sarebbe interessato da continui processi di rottura spontanea della simmetria rotazionale del dipolo delle biomolecole, che sono ionizzate e dipolari (Licata, 2008), che da’ origine – in base alla teoria a molti corpi – ai bosoni di Nambu-Goldstone (dipole wave quanta, DWQ), che sono particelle o modi del campo a massa nulla o estremamente piccola (Higgs-Kimble mechanism) e che “possono condensare a temperature biologicamente rilevanti producendo stati coerenti (evanescent photons) attraverso una peculiare filamentazione del campo elettrico che si dirama su ampie zone cerebrali” (Licata, 2008).

Il modello VF rappresenta una evoluzione di quello di Hiroomi Umezawa e Luigi M. Ricciardi (RU Model, 1967 e successive modifiche), che era un modello sviluppato per lo studio della materia condensata e prevedeva “la variazione di alcuni parametri d’ordine che innescano dei processi SSB (spontaneous simmetry breakdown) grazie ai quali si manifestano nel “cervello” un gran numero di modi vibrazionali di tipo bosonico” (Licata, 2008). Tale modello, però, prevedeva un “quantum brain” solo “formale”, ossia considerava la teoria quantistica un modo strumentale ed efficace per descrivere i processi cerebrali (una sorta di “quantum like semantics”), ma non ipotizzava il cervello come un sistema quantistico macroscopico reale come invece fa il modello VF.

Inoltre, il modello Umezawa-Ricciardi non era di tipo dissipativo come invece quello Vitiello-Freeman, che prende il nome di dissipative quantum brain, e quindi non considerava gli aspetti termodinamici dovuti all’interazione con l’ambiente ed al relativo scambio di energia ed informazione con il sistema cerebrale e l’intero organismo come fa invece il modello VF “che porta all’immagine di una mente che vive tramite una serie continua di transizioni di fase e dunque di nuovi livelli emergenti” (Licata, cit.). Infine, il modello Ricciardi-Umezawa era troppo statico in quanto sostanzialmente “chiuso” (bassa apertura logica) e ciò comportava un grosso problema nella modellizzazione dei processi di memoria che si “sovrapponevano” l’uno sull’altro dando come risultato una sorta di incapacità strutturale del cervello a dimenticare, ovviamente non accettabile.

Questo problema viene risolto dal dissipative quantum brain proprio grazie al meccanismo quantistico di tipo bosonico che si svolge in un campo quantistico a stati di vuoto multiplo (cd. “vuoto degenere”) all’interno dei quali i bosoni possono continuamente condensarsi dando luogo a “possibili infiniti stati coesistenti e non distruttivi per codificare l’informazione; l’arrivo di nuova informazione non produce necessariamente la distruzione di quella precedentemente immagazzinata, ma piuttosto, com’è naturale aspettarsi da un sistema dissipativo, un continuo processo di assemblaggio tra vecchia e nuova informazione. I numeri quantici associati ai vari comportamenti collettivi non sono fissi, ma variano nel tempo in co-evoluzione con gli stimoli ambientali. L’introduzione di un flusso complementare di informazione e dissipazione introduce in modo naturale una freccia del tempo legata alla descrizione dei processi cognitivi” (Licata, cit.).

Dunque, nel modello VF acquisisce fondamentale importanza il ruolo degli stati multipli di vuoto quantistico non equivalenti fra loro (“inequivalent ground state”) e della continua rottura spontanea di simmetria dei dipoli rotazionali delle biomolecole, che da’ origine alle transizioni di fase con “eccitazioni bosoniche” e la relativa densità di condensazione sempre diversa e in continua riorganizzazione all’interno degli stati di vuoto multiplo, che consente quella continua riconfigurazione del codice dell’informazione associabile alla memoria ed all’apprendimento.

In tale contesto, la densità di condensazione bosonica (e la sua variazione) è associata al parametro d’ordine del processo collettivo (“In our model we conceive the order parameter as the density of the synaptic interactions at every point in the cortical neuropil, and we interpret the ECoG recorded at each point as an experimentally observable correlate of the neural order parameter”) e alle correlazioni neuronali a lunga distanza e quindi alla relativa coerenza del sistema (uno stato coerente è caratterizzato da bosoni NG che condividono la stessa fase). Inoltre, in base alla teoria gli stati di vuoto multiplo sono reciprocamente esclusivi fra loro e quindi impediscono che ci siano sovrapposizioni di stato (che hanno reso famoso il gatto di Schroedinger, come visto nel post precedente).

Come scrivono i nostri: “In the dissipative model, under the influence of an external stimulus, the brain inner dynamics selects one of the possible (inequivalent) ground states, each of them thus being associated to a different memory. Infinitely many memories may thus be stored and, due to the unitarily inequivalence of the (vacuum) states, they are protected from reciprocal interference. In the dissipative model we regard the NG condensate as an expression of a transiently retrieved memory (thought, percept, recollection) that has been accessed by a phase transition.”

La cosa interessante che emerge per necessità matematica della teoria è che trattandosi di un sistema dissipativo termodinamico occorre duplicare i gradi di libertà per rendere conto dell’interazione con l’ambiente e ciò porta alla “nascita” del Double del sistema – che chiameremo ∼Ak (tilde-A con k gradi di libertà del campo quantistico) – , mentre il sistema-cervello lo chiameremo Ak (non-tilde A, con k gradi di libertà), dove ∼Ak (l’ “universo tilde”) “può essere considerato il time-reversed mirror image” (Licata, cit.) dell’ “universo non tilde”, ossia Ak (il sistema cervello).

A tal proposito, i nostri scrivono: “The possibility to exploit the whole variety of unitarily inequivalent vacua arises as a consequence of the mathematical necessity in quantum dissipation to “double” the system degrees of freedom so as to include the environment in which the brain is embedded. That reflective fraction of the environment is thus described as the Double of the system, which turns out to be the system time- reversed copy. The entanglement between the brain and its environment is thus described as a permanent coupling, or dynamic dialog between the two, which may be related to consciousness mechanisms. Consciousness thus appears as a highly dynamic process rooted in the dissipative character of the brain dynamics, which, ultimately, is grounded into the non-equilibrium thermodynamics of its metabolic activity.”

La coscienza emergerebbe in tale modello dal dialogo (il “between”) tra le “modalità tilde” e quelle “non-tilde” del campo quantistico, quindi tra il sistema ed il suo Doppio o Sosia, e dunque si potrebbe “spiegare i processi coscienti come una speciale proprietà di auto-interazione del sistema con sé stesso.

E’ possibile dire in accordo con Maturana e Varela, che l’attività mentale è una continua produzione del mondo che origina dalla natura irreversibile e dissipativa delle nostre interazioni con l’ambiente” (Licata, 2008). Dobbiamo, quindi, immaginare la coscienza come una capacità emergente dal dialogo continuo fra il sistema Ak ed il suo Doppio ∼Ak, in cui i processi bosonici dovuti alla rottura di simmetria ed alle transizioni di fase sono alla base della formazione ed evoluzione della memoria (sia a breve che a lungo termine), dell’apprendimento e in generale del ciclo percezione-azione. E’ importante ribadire che tali processi quantistici implementano, ma non sostituiscono quelli classici di tipo elettrochimico, costituendone per così dire “la matrice fisica informazionale profonda” su cui si fonda la coerenza del sistema.

Al livello classico, inoltre, dicono i nostri autori che ci sono fenomeni di non linearità e di caos deterministico :”In recent years, the dissipative model has been developed also considering the available experimental observations and data analysis (Freeman & Vitiello, 2006-2010). The reader can find in the quoted literature a list of properties and predictions of the model, as compared to observations, which here for brevity we do not report. The data analysis shows that one can depict the brain non-linear dynamics in terms of attractor landscapes. Each attractor is based in a nerve cell assembly of cortical neurons that have been pair-wise co-activated in prior Hebbian association and sculpted by habituation and normalization (Kozma & Freeman, 2001). Its basin of attraction is determined by the total subset of receptors that has been accessed during learning. Convergence in the basin to the attractor gives the process of abstraction and generalization to the category of the stimulus. The memory store is based in a rich hierarchy of landscapes of increasingly abstract generalizations (Freeman, 2005; 2006). The continually expanding knowledge base is expressed in attractor landscapes in each of the cortices.”

Pertanto, il dissipative quantum brain abbina la teoria quantistica dei campi, la termodinamica, la complessità (caos deterministico e non linearità) e neurobiologia in un approccio interdisciplinare davvero pregevole, che dovrà essere perfezionato come dicono gli autori stessi per rendere conto meglio delle relazioni con i processi biochimici neuronali e delle funzioni mentali più elevate (“Moreover, the dissipative model describes the brain, not mental states. Also in this respect this model differs from those approaches where brain and mind are treated as if they were a priori identical (…) “There are many open questions which remain to be answered. For example, the analysis of the interaction between the boson condensate and the details of electrochemical neural activity, or the problems of extending the dissipative many-body model to account for higher cognitive functions of the brain need much further work”[2008]).

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Una prima riflessione che farei dopo aver dato una descrizione discorsiva del modello di Vitiello-Freeman del “dissipative quantum brain” è che esso presenta delle analogie con l’approccio che in filosofia della mente prende il nome di “mente estesa”.

Nella trattazione della “extended mind” ho focalizzato l’attenzione sui seguenti aspetti, che ricordo brevemente:
a. Il principio di causalità e la sua natura emergente ed epistemologica più che ontologica (la scienza preferisce al livello ontologico locale la nozione di “legge”);
b. La differenza fra causalità, determinismo e predicibilità;
c. La nozione di “mente estesa” come processo emergente dall’accoppiamento imprescindibile fra corpo-cervello ed ambiente-mondo (non esiste il “cervello nella vasca”), evidenziando quindi l’importanza non solo dei correlati neurali della coscienza, ma anche di quelli ambientali e socio-culturali, dove sempre più importanza stanno rivestendo le nuove tecnologie della comunicazione ed il relativo uso massivo con implicazioni cognitive da analizzare attentamente;
d. La prudenza epistemologica che dobbiamo attribuire alle interpretazioni derivanti dall’utilizzo delle tecniche di “brain imaging”, che non sono delle “macchine leggi-pensieri” (cfr. blog I. Licata, 2009);

e. La coscienza non “accade” (solo) nel cervello, ma è un’attività emergente della mente ed i relativi contenuti non provengono solo dal cervello, ma anzi in gran parte dal “mondo esterno” (approccio esternalistico), fatti salvi ovviamente gli aspetti genetici diciamo di “strutturazione morfologica” del cervello e di quegli “schemi neuronali” che si possono considerare innati.
f. Prevalenza di una visione filosofica fenomenologica di stampo “post-heideggeriano” e critica delle posizioni di tipo “kantiano”, imperniate sugli schemi a priori del cervello, a favore di un approccio sensomotorio (nel cui ambito è da ricordare lo studio sui “neuroni specchio”);
g. La metafisica è una dimensione “naturale” dell’essere umano (cfr. Virno, 2010).

Il “dissipative quantum brain” di VF mostra, come dicevo, delle analogie con la “mente estesa” attraverso il processo di interazione (quantistico e dissipativo, quindi “aperto”) del cervello (l’ “universo non tilde” Ak) con il suo Double (l’ “universo tilde” ∼Ak) da cui emergerebbe la coscienza.

Ricordando che l’ “universo tilde” è la “reversed copy image” del cervello richiesta dalla matematica stessa della teoria quantistica a molti corpi dissipativa e che, in sintesi, è l’insieme dei processi di memoria e apprendimento derivanti dall’interazione del cervello con l’ambiente-mondo con i quali l’ “universo tilde” interagisce continuamente a seguito degli stimoli sia ambientali che del cervello stesso, è evidente come il modello dia una fondamentale importanza all’accoppiamento strutturale dell’individuo con l’ambiente e di come la stessa coscienza emerga solo in virtù di questo accoppiamento.

Occorre, per altro, ricordare che il modello VF non si è ancora posto come modello esplicativo degli stati mentali, ma solo di quelli del cervello – per altro “in fieri” per quanto concerne le relazioni con i processi meramente biologici – per cui in attesa di una formalizzazione di tali ulteriori processi emergenti possiamo solo fare delle ipotesi analogiche. La cosa interessante di questa interazione “Ak R ∼Ak” (chiamiamo R il processo quantistico fra cervello e Double in cui come si è visto è fondamentale il concetto fisico di stati multipli di vuoto quantistico non equivalenti fra loro o “vuoto degenere”) è che per quanto l’ambiente sia determinante nella generazione della coscienza è comunque solo nel momento in cui il cervello interagisce con sé stesso (con il suo Double) che la coscienza emerge in quanto tale.

Questo punto determinante del modello ci fa quasi subito riflettere sull’eventualità che la struttura del “Double” è fondamentale per un corretto funzionamento del cervello nel suo insieme e che se ci sono “anomalie” nel meccanismo di strutturazione del Double, con ogni probabilità il cervello avrà delle carenze nei suoi “stati di coscienza” (ad es. patologie di tipo relazionale come l’autismo).

Il Double, in qualità di “immagine memorizzata del mondo”, è nella sua evoluzione dinamica ciò che consente al sistema-cervello di fare una “corretta” esperienza del e nel mondo e quindi consente quell’agire nel mondo che è alla base della coscienza della “mente estesa”.

In questo modello, dunque, la mente “produce” continuamente attraverso il Double il proprio mondo, e sembrerebbe manifestare in ciò una struttura ontologica di monade, come afferma il filosofo Gordon Globus in questo scritto intitolato “The being/brain problem” (2005) e nel recente “Consciousness and Quantum Physics: a Deconstruction of the Topic” (2011), dove afferma che :

“The present view might be called ‘monadological’ but in a distinct sense from that of Leibniz. Leibniz did not doubt that there is in fact a transcendent world bestowed through God’s love. ‘God produces substances from nothing,’ Leibniz (1952, sect. 395) states in the Theodicy. The worlds in parallel of monads are in ‘pre-established harmony’ with the transcendent world God thinks into being. But there is no transcendent world according to the view developed here. There is closure–a distinctionless ‘abground’ (Heidegger 1999) or even ‘holomovement’ (Bohm 1980; Bohm and Hiley 1993)–and multiple parallel phenomenal world disclosures.”

Ovviamente, le monadi hanno esperienze in comune e riconoscono nell’ambito della propria esperienza “oggetti comuni” (ad esempio se parliamo di politica italiana abbiamo subito un contesto comune di riferimento), ma c’è sempre una irriducibilità di fondo tra esse in virtù del processo “cervello-Double”, che implica sempre una “mediazione interna” e quindi una ontologia sostanzialmente “monadica”. Al variare della “struttura” del Double cambia la monade e il suo livello di apertura/chiusura al mondo nonché quello di comprensione del mondo. In tale senso, occorre considerare le implicazioni sociali e quindi politiche di questa presumibile “natura monadica” cercando di riflettere sulle sue conseguenze su questioni importanti come da un lato l’empatia e la cooperazione per il raggiungimento di obiettivi che trascendono il singolo e dall’altro come il rispetto e la giusta considerazione della singola individualità, che per quanto “empatica” sarà sempre inesorabilmente “monadica” e dunque con una storia irripetibile e a cui fare sempre riferimento.

Nella visione di Gordon Globus, tipicamente fenomenologica e heideggeriana, c’è inoltre una interessante provocazione filosofica che decostruisce completamente il concetto stesso di coscienza e dei qualia, considerati vaghi, a favore di un recupero dell’ “essere” di cui parla Heidegger e che nel modello VF è assimilato proprio alla dinamica fra “modalità tilde” e “modalità non tilde”, in cui poi c’è una suggestiva analogia fra l’Abgrund (l’ “abisso” che Heidegger contrappone al concetto metafisico classico di “fondamento”, Grund) del filosofo tedesco ed il vacuum quantistico (“ground state”) da cui continuamente attraverso la dinamica delle condensazioni bosoniche emerge e si struttura la memoria e la coscienza.

Così come l’essere, dunque, secondo il nostro emergerebbe dall’abisso (si “svela”), il ciclo percezione-azione è originato dal “between” fra cervello e Double, che sarebbe in sintesi l’esserci e l’essere-nel-mondo di Heidegger.
Al di là della post-fenomenologia postmoderna di Gordon Globus, che comunque è a mio parere da apprezzare per la provocazione decostruzionista, il modello VF apre sicuramente le porte ad un approccio interdisciplinare molto stimolante fra fisica, biologia e filosofia, anche se è evidentemente ancora un momento embrionale ai fini di una comprensione ampia della mente, che si auspica possa trarre dal “paradigma quantistico”, con i necessari salti qualitativi auspicati dagli stessi scienziati, una nuova linfa per il pensiero e la conoscenza.

 

Mario Esposito

braintwobrain.blogspot.it