La religiosità dell’uomo preistorico

La religiosità dell’uomo preistorico

Con la fine del Paleolitico Medio e la comparsa dell’homo di Neanderthal, appaiono le prime documentazioni afferenti alla sfera religiosa con le pratiche di sepoltura e il culto dei morti.

Sarà solo col Paleolitico Superiore, periodo contraddistinto da uno stretto legame dell’uomo con la natura, che si avrà un’esplosione dell’arte espressa con le raffigurazioni parietali nelle caverne, con le sepolture su roccia e con le statuette.

Bisonti con segni tettiformi da Font de Gaume (Dordogna), da Facchini F., Gimbutas M., Kozlowski J. K., Vandermeesch B., 1991

Le prime rappresentazioni di carattere naturalistico ritraggono bisonti, cavalli, cervi isolati o in gruppi ed in alcuni casi, le figure appaiono sovrapposte fra loro o affiancate a figure umane o a segni tettiformi, come nel caso dei bisonti ritrovati a Font de Gaume in Dordogna.

Accanto alle figure maschili, rappresentate in numero ristretto, appaiono quelle femminili.

Si tratta delle cosiddette “Veneri del Paleolitico”, le Dee Madri simbolo di fertilità, rappresentate con seni, fianchi e glutei prominenti. Durante la fase paleolitica (ancor prima della scoperta dell’agricoltura), la donna rappresenta la Dea Madre Universale, genitrice delle origini, dalla quale hanno origine gli uomini, gli animali, i frutti della natura.

Col Neolitico da un lato si farà strada la civiltà degli allevatori e dei pastori, retta da una struttura patriarcale, dall’altro quella degli agricoltori che presenterà aspetti del matriarcato.

Come riflesso religioso di questo dualismo economico-sociale, da una parte presso i pastori prevarrà la religione del Cielo Padre (perché dal cielo proviene la pioggia che fa nascere e crescere l’erba necessaria al pascolo e alla vita umana) e del Signore degli Animali (da lui, infatti, dipende la cattura della selvaggina e l’esito positivo della caccia), dall’altra, presso gli agricoltori la religione della Madre Terra.

Nel corso del Paleolitico superiore si assiste anche alla nascita delle prime vere e proprie forme di culto. La divinità più venerata è la Dea Madre, la Dispensatrice di Vita, colei che dal suo grembo dà vita ad ogni creatura, ma come genera la vita, così può anche toglierla diventando in questo modo la Dea della Morte, che personifica le forze distruttive della natura.

La massima espressione della divinità era rappresentata dalla sua riproduzione su statuette votive.

Da una parte la Dea Madre,dall’altra il Dio Padre di solito rappresentato come divinità fallica (come l’idoletto in pietra leccese ritrovato nella tomba di Arnesano vicino Lecce) o con bucrani (nel caso dei santuari di Çatal Hűyűk in Turchia), o in veste di arciere e/o guerriero (come quelli delle pitture parietali rinvenute nei siti di Morella la Vella e della Gola di Gassulla nella Spagna orientale).

In alcuni casi si hanno esempi di divinità doppie – il potere dei due – come la statuetta bicefala con il corpo decorato a motivi romboidali rinvenuta in Romania e datata al VII millennio.

Pittura rupestre da Morella la Vella da Müller – Karpe H., 1984

Numerosi sono i ritrovamenti di statuette femminili in tutto il mondo, ma senza dubbio significativa è risultata quella rinvenuta di Vicofertile (Parma) risalente al V millennio a.C. Dalla tipologia d’impasto si deduce che è stata realizzata unicamente a scopo funerario.

Elemento caratteristico del culto è il sacrificio.

L’uomo, venerando la divinità, avverte l’esigenza di ringraziarla per i doni che ha ricevuto e, sentendosi riconoscente nei suoi confronti, le offre doni.

Statuetta bicefala da Rastu (Romania) da Dumitrescu V.1972

L’uomo preistorico pratica questi culti nelle grotte ritenute dall’uomo moderno come veri e propri santuari della preistoria. In questi luoghi nella parte anteriore si svolgeva la vita socio-familiare, mentre, nella parte più interna si celebravano i riti e a volte si compivano anche sacrifici.

Tra le offerte sacrificali si rinvengono spesso animali interi o parti significative di essi raffigurate sulle pareti accanto a veri e propri sacrifici umani: impronte di mani prive di un dito, come nel caso della Grotta dei Cervi di Porto Badisco presso Otranto in Puglia.

Importanti oltre ai “santuari naturali”, sono i resti di edifici di culto realizzati dall’uomo, cioè costruzioni adibite come abitazione e nel contempo come santuario familiare e altre edificazioni probabilmente usate solo come luogo di culto.

Si ricordi a tal proposito le abitazioni di Nea Nikomadeia in Macedonia risalenti al VI millennio a. C. (con un focolare al centro della stanza ed accanto ad esso statuette femminili), o quelle di Çatal Hűyűk, nell’antica Anatolia, che si datano al 6500 a.C., e da ultimo la recente scoperta avvenuta sempre in Turchia nel sito di Göbekli Tepe di un tempio risalente al 9000 a.C..

L’uomo preistorico in questo periodo esprime il suo senso religioso, anche in forme di religiosità cosmica. Si stupisce di fronte ai fenomeni della natura e li rappresenta. Ne sono esempi il motivo decorativo detto “a cometa” presente su frammenti ceramici rinvenuti nell’isola di Malta e la raffigurazione degli occhi della “Venere di Gavà” (Barcellona).

Idolo in pietra della tomba da Arnesano (Lecce – Puglia) da Lo Porto F.G., 1972

Il motivo solare si ritrova anche sulle pareti di Grotta Magura nei Balcani ed è simile a quello ritrovato a Porto Badisco in Puglia; compare anche sulla decorazione ceramica di Grotta Pacelli, sempre in Puglia. Naturalistica è la decorazione parietale di un’abitazione di un villaggio anatolico di Ç atal H ű y ű k, dov’è raffigurato il vulcano del monte Hasan Dag durante un’eruzione.

Studiando i comportamenti dell’uomo preistorico, ci si rende conto di essere di fronte ad un homo religiosus e nel contempo symbolicus. Questo suo essere religiosus maturato durante il Paleolitico superiore, perdurerà anche nel corso del Neolitico. La religiosità dell’uomo preistorico si evidenzia maggiormente nel suo rapporto con la morte.

Il defunto non è visto come morto del tutto, ma immerso in un sonno profondo e momentaneo che lo porterà, successivamente, a risvegliarsi. Nel momento in cui tornerà in vita avrà bisogno di nutrirsi e degli oggetti a lui cari nella precedente vita.

I morti, durante il Paleolitico superiore, furono cosparsi di ocra, un pigmento naturale ritenuto simbolo di vita: il colore rosso, infatti, ricorda il colore del sangue. In Italia si ricordano le sepolture in grotta rinvenute in Liguria, nel sito delle Arene Candide (20.000 ca. a.C.), e in Puglia, in provincia di Foggia, nel sito di Grotta Pagliacci presso Rignano Garganico (24.000 ca. a.C.).

Con il Neolitico accanto alle sepolture complete sono state rinvenute deposizioni di crani staccati dal corpo. Ne è esempio il ritrovamento nel sito di Gerico in Giordania, durante la fase preceramica, di crani coperti da una maschera di argilla sulla quale erano riprodotti i lineamenti del volto del defunto con conchiglie al posto degli occhi.

Questa costumanza si spiega col fatto che nella testa sono concentrate tutte le forze vitali del corpo umano. Con il Neolitico finale, poi, accanto al rito dell’inumazione si trova quello dell’incinerazione.

Quest’ultimo rito è da collegarsi alla credenza del dualismo “corpo e anima”: l’anima essendo divina e immortale, dopo la morte corporale e la purificazione del corpo mediante il rito dell’incinerazione, sopravviveva ricongiungendosi alla sfera divina o celeste o reincarnandosi in un nuovo corpo.

Importante in questo contesto è la funzione del fuoco: dono divino che permetteva la purificazione e la restituzione del corpo alla divinità che lo aveva generato. A Gorzsa in Ungheria sono stati ritrovati i resti in parte bruciati di un bambino, contenuti in un vaso antropomorfo risalenti al 5400 a.C..

Importanti sono, per quel che concerne la sfera religiosa, i ritrovamenti di coppelle, vaschette, canalette, fori passanti, nicchie, ritrovati sui lastroni di copertura e sugli ortostrati di monumenti dolmenici o su massi posti nelle immediate vicinanze degli stessi monumenti.

Coppelle, vasche e canalette sono elementi afferenti ai riti di libagione che si compivano in prossimità dei sepolcri; i fori passanti, invece, sembrano corrispondere ai cosiddetti “fori delle anime”: aperture attraverso le quali gli spiriti dei defunti comunicavano con i vivi.

Da ultimo si ricordano le pintadere stampi in terracotta, utilizzati dall’uomo symbolicus per decorare in primis l’epidermide con motivi grafici più disparati e con colori solitamente sgargianti, oppure per abbellire i tessuti, il pane, le superfici dei vasi, le statuette o ancora per marchiare gli animali al fine di evidenziare la propria appartenenza ad un ghenos ben preciso.

Dalla forma essenzialmente tronco-conica a base rettangolare o ellissoidale, le pintaderas erano realizzate in cotto e raramente in altro materiale (pietra, osso, legno, metallo); presentavano su una superficie, raramente su entrambe, decorazioni essenzialmente geometriche caratterizzate da linee, meandri, labirinti e reticoli.

Rinvenute in tutta l’ecumene, dall’area eurasiatica, a quella africana ed americana, le pintaderas possono essere di tre tipi secondo la loro funzione:

  • a) tipo cilindrico: nel caso in cui il motivo decorativo si ottiene facendo ruotare a pressione lo strumento sulla superficie da decorare;
  • b) tipo residuo: quando la decorazione è ottenuta con una leggera pressione;
  • c) tipo discoidale: quando i due modelli precedenti appaiono associati in un unico esemplare.

Angelica Portagnuolo
lswn.it


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