La risposta è nelle stelle

supermassicci
Immagine della simulazione Romulus che raffigura la rete di strutture che si assemblano su scale intergalattiche, rivelando dove si formano le galassie che ospitano i buchi neri. Galassie più massicce che ospitano buchi neri più massicci tendono a vivere in regioni più calde (rosse), mentre le galassie di massa inferiore vivono in regioni più fredde (blu) e ospitano buchi neri più piccoli. Crediti: Yale University

Un nuovo studio dell’Università di Yale prova che il tasso di crescita dei buchi neri supermassicci sembra essere strettamente correlato alla velocità con cui si formano le stelle nella galassia ospite. La scoperta è stata possibile grazie a Romulus, una simulazione cosmologica che segue l’evoluzione di diverse regioni dell’universo da subito dopo il Big Bang fino ai giorni nostri, includendo migliaia di galassie che risiedono in un’ampia varietà di ambienti cosmici. Tutti i dettagli dello studio su Mnras. Alcune relazioni sono scritte nelle stelle. Un nuovo studio dell’Università di Yale conferma che per i buchi neri supermassicci (Smbh) e le loro galassie ospiti è proprio così. Il “rapporto speciale” tra Smbh e galassie ospiti – qualcosa che astronomi e fisici hanno osservato per un bel po’ di tempo – si è ora compreso essere un legame che inizia presto nella formazione di una galassia e ha voce in capitolo su come galassie ospiti e Smbh crescono nel tempo.

Un buco nero è un punto nello spazio con un campo gravitazionale così intenso da non lasciare sfuggire né la materia, né la radiazione elettromagnetica. I buchi neri possono essere piccoli come un singolo atomo o grandi miliardi di chilometri di diametro. I più grandi sono chiamati buchi neri “supermassicci” e hanno masse pari a quella di milioni – o addirittura miliardi – di soli.

I buchi neri supermassicci si trovano spesso al centro di grandi galassie, tra cui la nostra: la Via Lattea. Sebbene teoricamente ci si aspettasse che esistessero Smbh, le prime osservazioni a favore della loro esistenza furono fatte negli anni ’60 e solo all’inizio di quest’anno, Event Horizon Telescope ha rilasciato la prima immagine di un buco nero nella galassia Messier 87.

Gli astrofisici continuano a fare ipotesi sulle origini dei buchi neri supermassicci, su come crescono, “brillano” e interagiscono con le galassie ospiti, in diversi ambienti astronomici. «C’è sempre stata molta incertezza riguardo alla connessione Smbh-galassia ospite, in particolare se la crescita del Smbh fosse più strettamente connessa al tasso di formazione stellare o alla massa della galassia ospite», spiega Priyamvada Natarajan, astrofisica di Yale e co-autrice dello studio apparso sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. «Questi risultati rappresentano la prova teorica più completa della prima ipotesi: il tasso di crescita dei buchi neri sembra essere strettamente correlato alla velocità con cui si formano le stelle nella galassia ospite».

Natarajan e il suo gruppo di ricerca, tra cui il primo autore Angelo Ricarte, Michael Tremmel di Yale e Thomas Quinn dell’Università di Washington, per arrivare alla scoperta di questo legame hanno utilizzato una sofisticata serie di simulazioni, chiamata Romulus: una simulazione cosmologica che segue l’evoluzione di diverse regioni dell’universo, da subito dopo il Big Bang fino ai giorni nostri, includendo migliaia di galassie che risiedono in un’ampia varietà di ambienti cosmici.

Romulus offre l’istantanea a più alta risoluzione della crescita del buco nero, fornendo una visione emergente e nitida di come i buchi neri crescono all’interno di una vasta gamma di galassie ospiti, dalle galassie più massicce situate al centro degli ammassi di galassie, alle galassie nane molto più comuni che abitano le periferie più rarefatte.

«In un momento in cui i driver della crescita del buco nero non sono chiari, queste simulazioni offrono un quadro semplice. Crescono semplicemente insieme alle stelle, indipendentemente dalla massa della galassia, dall’ambiente più o meno vasto o dall’epoca cosmica», racconta Ricarte.

Una delle scoperte più intriganti dello studio, osserva il ricercatore, ha a che fare con il modo in cui i buchi neri più grandi dell’universo interagiscono con le loro galassie ospiti, nel tempo. I ricercatori hanno scoperto che i buchi neri supermassicci e le loro galassie ospiti crescono a braccetto e che la loro relazione si “aggiusta da sola”, indipendentemente dal tipo di ambiente in cui vivono. «Se il buco nero supermassiccio inizia a crescere troppo rapidamente e diventa troppo grande per la sua galassia, i processi fisici assicurano che la sua crescita rallenti rispetto a quella della galassia», ha spiegato Tremmel. «Al contrario, se la massa del buco nero supermassiccio è troppo piccola per la sua galassia, il suo tasso di crescita, per compensare, aumenta rispetto alla dimensione della galassia».

Maura Sandri

media.inaf.it