La tecnica CRISPR/Cas9 e l’eugenetica

La tecnica CRISPR/Cas9 e l’eugenetica
Crediti immagine: thierry ehrmann, Flickr CRISPR + Cas9
Crediti immagine: thierry ehrmann, Flickr

Approfondimento – Da mesi fra i biologi è in corso un aspro dibattito sul cosiddetto “editing” della linea germinale, le modificazioni genetiche dell’ovulo fecondato, ereditabili dai discendenti.

Ci sono parecchie tecniche per modificare il DNA. Fino a un paio di anni fa la più diffusa anche nell’industria biotech era l’enzima di restrizione sintetico “nucleasi a dita di zinco“. Come una forbice, taglia via solo gli errori tipografici che devono essere specificati uno per uno. L’ultima, molto più efficiente, si chiama CRISPR/Cas9. L’acronimo sta per l’enzima prodotto dal gene Cas9 e i Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats, le ripetizioni palindromiche di gruppi di Dna estraneo disposti a intervalli regolari. (Rimando a Wikipedia per i dettagli – affascinanti – della loro evoluzione, però è in inglese; questa anche, più sul versante terapeutico.)

I CRISPR fanno parte del sistema immunitario dei batteri, si era scoperto dodici anni fa in quelli dello yogurt.

Sono anche dei “redattori genetici” grazie all’endonucleasi Cas che riconosce l’RNA nel quale il DNA virale si traduce per replicarsi. L’enzima Cas si appropria di quell’RNA, così riconosce esattamente i pezzi di DNA virale e li elimina tutti. La correzione resta nel genoma del batterio ed è ereditato dalle cellule figlie.

A differenza dei batteri, noi eucarioti abbiamo due copie di ciascun gene. Se una è mal funzionante, la cellula usa l’altra come matrice per riparare il gene e se nemmeno l’altra copia è integra, siamo da capo. Il sistema CRISPR + Cas9 + RNA-guida da solo non basta a modificare geneticamente piante e animali: occorre aggiungere la sequenza di DNA corretta da inserire nel gene al posto di quella tagliata via.

Così la grossa molecola diventa uno strumento preciso e potente. Nei laboratori è stato subito provato su cellule umane, staminali sopratutto, e su animali che fanno da modello per tumori, malattie virali, neurodegenerative e altre patologie.

Il 12 marzo scorso su Nature, Edward Lanphier, il padre e padrone della nucleasi a dita di zinco, e altri quattro ricercatori chiedevano una moratoria sull’uso biomedico della nuova tecnica, ancora immatura e rischiosa, perché secondo “voci insistenti” almeno cinque gruppi cinesi la stavano già usando su embrioni umani. Il giorno dopo Science anticipava on line l’appello di 18 ricercatori dopo un seminario simile a quello che si era svolto ad Asilomar, nel 1975, e aveva deciso la moratoria sul Dna ricombinante. I firmatari, tra i quali il premio Nobel per la medicina David Baltimore, chiedevano che

Un gruppo globalmente rappresentativo di ricercatori e utenti dell’ingegneria del genoma ed esperti di genetica, diritto e bioetica, nonché membri della comunità scientifica, del pubblico, delle agenzie governative deputato e dei gruppi di interesse, consideri queste importanti questioni e, se del caso, raccomandi le misure (policy) appropriate.

Per esempio delle linee-guida e dei criteri etici comuni.

Il 16 marzo veniva pubblicata la prima prova su ovuli fecondati (zigoti) umani, scartati per la fecondazione assistita perché avevano 3 copie di ogni cromosoma. Nell’articolo – rifiutato da Nature e da Science dopo una revisione approfondita, ma accettato in due giorni appena dalla rivista cinese Protein & Cell – Junjiu Huang e altri quindici genetisti dell’Università Sun Ya Tsen a Guandong spiegano come hanno cercato di sostituire in 86 zigoti il gene HBB, che se mutato causa la beta talassemia.

Su 71 zigoti sopravvissuti alla procedura, in 28 le mutazioni erano state eliminate e soltanto in 4 la cellula aveva sostituito il gene HBB. Ma proprio come prevedevano Lanphier e i suoi colleghi:

si sono anche trovate un numero sorprendente di mutazioni “fuori bersaglio”, probabilmente introdotte da un’azione del complesso CRISPR/Cas9 su altre parti del genoma. Questo effetto è una delle principali preoccupazioni riguardanti l’editing della linea germinale perché queste mutazioni non intenzionali potrebbero essere dannose. Il loro tasso è molto superiore a quelli osservati negli studi su embrioni di topo e sulle cellule staminali umane adulte. Inoltre Huang sottolinea che il suo gruppo ha rilevato soltanto un sottoinsieme di quelle mutazioni, perché ha analizzato sono la parte del genoma chiamata exoma. “Se l’avessimo sequenziato tutto,” dice, “ne avremmo viste molte di più.”

Da allora, la comunità scientifica è divisa. Avanti così, il potenziale è straordinario, i benefici per le generazioni future saranno immensi, i comitati etici imporranno regole stringenti. Non lasciamo che le preoccupazioni assurde di Lanphier e altri fermino la possibilità di modificare la linea germinale umana, scrivevano genetisti dell’università di Newcastle e di Oxford su Nature in aprile. Come molti altri, Robert Pollack della Columbia University rispondeva il 22 maggio su Science

Aprire alla modificazione della linea germinale è semplicemente aprire al ritorno del programma eugenetico: alla selezione positiva delle versioni “giuste” del genoma umano e all’eliminazione di quelle “sbagliate” non solo per la salute di un individuo, ma per il futuro della specie. … Dubito che, per quanto inadeguato, l’appello (di Baltimore et al.,ndt) sia ascoltato dalle sei aziende private che hanno finanziato la ricerca cinese, o dalle università elencate nell’articolo quali titolari di brevetti che essa ha utilizzato.

Sylvie Coyaud

oggiscienza.it