L’evoluzionismo si evolve. Ancora.

Il Giornale Online

Inviata da skorpion75

Nel 2009 corre il 150mo anniversario di Origin of Species, l’opera con cui Darwin ha «spiegato» l’evoluzione attraverso la selezione naturale, e si preparano grandi festeggiamenti intesi a confermare nel grande pubblico la Fede: sarà un gran parlare delle ultimissime scoperte che ci hanno avvicinato all’«antenato comune», dell’«anello mancante», del «gene egoista» e di come la genetica ha confermato la geniale intuizione di Darwin (che del DNA non sapeva nulla); il tutto avvolto da un rituale di insulti sulle ipotesi alternative, tutte bollate di «creazionismo» e perciò espulse dal discorso scientifico.

Ma intanto, in questi giorni di luglio, 16 scienziati di fama mondiale si sono riuniti ad Altenberg (Austria) per accordarsi su come restaurare il decrepito motore darwiniano, che continua a perdere i pezzi. La sede è l’Istituto Konrad Lorenz, ospitato nella casa stessa di Altenberg dove Lorenz fece i suoi esperimenti sul comportamento delle oche e l’imprinting dei paperini; l’invito ai sedici viene dal presidente Gerd Mueller. Ma il promotore del riservato incontro è il biologo evolutivo Massimo Pigliucci, un quarantenne italiano che vive in USA da vent’anni, molto fiammeggiante e alla moda (le sue nozze sono state segnalate nelle pagine mondane del New York Times) e molto conscio di sè: difetto forse perdonabile, in uno che ha tre super-lauree, in botanica, in genetica e in filosofia (PhD).

I giornalisti non sono ammessi ad Altenberg, come s’è sentita gentilmente rispondere Suzan Mazur, la bravissima cacciatrice di darwinisti che scrive su NewsWeek e su dove può (la crisi dell’evoluzionismo, ha scoperto, non è gradita agli editori: fa perdere pubblicità). Ma Suzan conosce tutti e sedici, ed è riuscita a parlare, di persona o al telefono, con quasi tutti.

Ne ha ricavato un articolo dal titolo: «Altenberg 16: Will the real theory of evolution please stand up?» («La vera teoria dell’evoluzione vuole gentilmente dichiararsi?») e ne sta preparando un altro più lungo e completo. E inevitabilmente complesso. Sicchè, pur sotto le reticenze, dico-e-non dico, formule gerghi degli interessati, ci si può fare un’idea di ciò che i sedici si diranno, e di come cercheranno di far evolvere l’evoluzionismo.

Punto primo: Darwin si convinse che l’evoluzione – ossia il passaggio da una specie all’altra, superiore: dai pesci ai rettili, per esempio – avviene «per selezione naturale». Ma i bio-evoluzionisti sanno da decenni – anche se cercano di non dirlo troppo in giro – che la selezione naturale non ha nulla a che vedere con l’evoluzione; anzi al contrario, essa, tende a «stabilizzare» le specie anzichè a farle cambiare. Ammesso poi che esista una selezione, perchè c’è chi autorevolmente lo nega. Perchè la selezione naturale non può essere misurata.

Il più celebre cito-genetista vivente, Antonio Lima De Faria («svedese», perchè là lavora) ha scritto un libro che già dal titolo liquida l’assunto darwiniano: Evoluzione senza Selezione. De Faria sostiene che non esistono nemmeno le mutazioni, cioè quelle piccole variazioni casuali che distinguono un individuo da un altro, per esempio due passeri con penne più o meno scure, e su cui si esercita la selezione naturale, favorendo l’uno sull’altro. Ma quali mutazioni casuali, dice De Faria: «Tutto è ordinato». Manca un filo per dire: tutto è pre-ordinato.

Ma se la selezione naturale (il gioco cieco della lotta per la vita) perde la sua centralità, l’evoluzionismo viene a mancare del pilastro centrale.

Simile difficoltà ha creato la sempre maggiore conoscenza del DNA e della genetica: nulla è più stabile del DNA, come dimostra il fatto che tutti gli esseri oggi viventi sono identici ai loro antenati fossili, di centinaia di migliaia o anche milioni di anni fa. Inoltre, la presenza del DNA – complicatissimo nel verme come nell’uomo – dimostra che non esistono forme di vita che si possano dire «primitive».

Il gene ha deluso il darwinismo. I sedici scienziati sembrano dunque inclini, per salvare l’evoluzione, ad affermare «la non-centralità del gene».

Ma buttato via anche quello, cosa resta? L’errore del darwinismo e del neo-darwinismo nelle sue varie evoluzioni, ha finalmente sancito Lima De Faria, è che esso si è limitato a studiare la biologia: ma questa – la scienza della vita – è solo la fase terminale dell’evoluzione; prima, e tutti da studiare, sono i meccanismi «primordiali», le particelle elementari, gli elementi chimici e i minerali. Darwin è partito dalla vita; ma bisogna studiare come la vita è nata dalla non-vita: così si scoprirà il vero meccanismo dell’evoluzione. Esso comincia dai minerali.

Come? Lima De Faria addita la qualità di auto-assemblamento di cui è dotata la materia inanimata: «La spontanea aggregazione di strutture biologiche, con la formazione di legami chimici deboli tra superfici con forme complementari».
Non a caso Gerd Muller, insieme a Stuart Newman (luminare di biologia cellulare e anatomia al New York Medical College) ha scritto a quattro mani un saggio sulla «origine della forma». Il contrario della «origine della specie», o almeno tutto un enorme problema che Darwin ha completamente trascurato. Come si formano le forme? Perchè le simmetrie degli esseri viventi? Forse lì c’è il segreto dell’evoluzione sfuggente.

Come ha cercato di spiegare – senza sbilanciarsi troppo – Massimo Pigliucci il trilaureato alla Suzan Mazur, al bar: «Ecco, cosa stai bevendo? Acqua? Ora, noi sappiamo che essa è fatta di due atomi di idrogeno e uno di ossigeno. E tuttavia le proprietà chimiche e fisiche dell’acqua – la temperatura a cui ghiaccia, la densità che ha a certe temperature e così via – non possono essere desunte dalle proprietà fisico-chimiche di idrogeno e ossigeno. In altre parole, l’acqua è una proprietà «emergente» di una specifica combinazione di H e O. Le proprietà emergenti son dovute al fatto che questi atomi non sono sono semplicemente mescolati assieme in proporzione due a uno (H2O). In realtà, sono connessi in molecole che hanno una forma particolare. Ed è questa forma ad essere determinata dai legami chimici, che a loro volta determinano le proprietà fisiche e chimiche. L’emergenza è auto-organizzazione. E’ fondamentale. E noi non capiamo nemmeno cose come l’acqua».

Sembra difficile? E’ un breve corso di stereo-chimica, ossia dei «solidi» che formano le sostanze chimiche anche più semplici. Effettivamente, l’acqua ha qualità prodigiose: mentre tutte le sostanze, raffreddandosi, diventano più dense, l’acqua in forma di ghiaccio è meno densa, sicchè il ghiaccio galleggia sul mare – cosa provvidenziale, altrimenti i mari artici sarebbero blocchi di ghiaccio fin dalle profondità, rendendo impossibile la vita.

Il segreto della vita sarà dunque nella stereochimica? Effettivamente, un cristallo di neve – con la sua splendida forma di fiore simmetrico, tutti diversi ma tutti basati sulla stessa forma esagonale – dimostra che la materia minerale è capace di auto-organizzazione, senza bisogno di essere guidata da un DNA. L’acqua non ha DNA. E allo stesso modo, la materia minerale si auto-organizza in cristalli.

Illuminazione. Il semplice animaletto chiamato hydra è così capace di auto-organizzazione che, tagliato a pezzi e maciullato, è capace di auto-ricomporsi in tutte le sue sparse cellule. È effetto della ricetta genetica dell’Hydra, oppure della qualità auto-organizzatrice della materia non-vivente?

Di qui l’arditissima ipotesi di Newman, forte della sua superlaurea in fisica della chimica a cui ne ha aggiunto una in biologia teoretica: secondo lui, quando la vita «esplose» nella esplosione del Cambriano mezzo miliardo di anni fa (allora tutti i 35 phyla oggi esistenti anzi molti altri di più oggi estinti, comparvero simultaneamente: spugne e trilobiti, artropodi, i cordati nella forma di pesci agnati – e dei cordati facciamo parte anche noi uomini – ricci e le più diverse alghe) tutti i 35 phyla si auto-organizzarono usando «moduli di formazione dinamica» processi fisici che resero capaci esseri viventi di un millimetro, ma multicellulari, di formarsi al proprio interno cavità, strati di tessuti, segmenti, estremità, occhi e cuori primitivi. Solo poi, su questi animali auto-formatisi per stereochimica, la selezione naturale ha cominciato ad agire come «stabilizzatore della forma».

Non so se il lettore si rende conto di questa enormità. Secondo Newman – anche se lui non lo dice esplicitamente – la vita che esplose nel Cambriano non aveva il DNA, il codice genetico. Gli aracnidi e le spugne e i ricci di mare che sono simili a quelli di oggi – e che dispongono del loro materiale genetico, che trasmettono alla prole – erano tutti eguali a quelli di oggi, meno che nell’essenziale. Erano nati da minerali auto-organizzati. Solo «dopo» si sono dotati di materiale genetico.

Ma come? Che una forma vivente si sia formata così, può anche ipotizzarsi; ma tutti e 35 i phyla attuali, più altri estinti!? E per quale caso immenso tutti i phyla si manifestarono vitali, anzi vitalissimi, e procedettero a dotarsi di occhi, apparati di locomozione, fauci, e corazze, nonchè a riprodursi e a dotarsi di codice genetico? Se la stereochimica spiega questo, perchè ha agito solo nel Cambriano? I minerali e le forze deboli operanti nelle sintesi chimiche esistevano anche prima. Ed anche poi: ma la nascita di nuovi phyla, non l’abbiamo più vista.

Insomma, all’inesperto pare che, per salvare l’evoluzionismo come dogma generale, gli evoluzionisti non (più) darwiniani stiano scantonando nell’evento-miracolo, accaduto una volta sola: la vita che nasce dalla non-vita; la vita che nasce prima del «codice della vita», la gallina che nasce prima dell’ uovo.

Magari è andata proprio così. Ma se questo non si chiama «creazionismo», è solo perchè ad esplorare il campo sono dei darwinisti con tre lauree e cattedra evoluzionista, e tutti scelti per il raduno di Altenberg in quanto ostilissimi ai «creazionisti religiosi». Massimo Pigliucci in particolare.

E tuttavia, da qualche indicazione che s’è degnato di dare a Suzan, il campo che sta esplorando personalmente, e in prima linea, si chiama «epigenetica ecologica». Ossia come i cambiamenti ambientali possono stimolare l’adattività dei viventi, d’accordo; ma lungo una corrente di idee che porta allo scienziato settecentesco Jean-Baptiste Lamarck.

Lamarck credeva di poter provare la trasmissibilità dei caratteri acquisiti. A forza di piegarsi al suolo, il cammello ha sviluppato grossi calli protettivi sulle ginocchia; e li ha trasmessi alla prole, perchè infatti i feti di cammello hanno già i calli protettivi.

Se la teoria di Lamarck fosse vera, Darwin e i darwinisti sarebbero salvi: ecco che l’ambiente cambia l’animale, e l’animale passa i cambiamenti ai figli. L’evoluzione, l’evoluzione! Purtroppo, per quante generazioni abbiano tagliato la coda a topolini bianchi, non è mai nato, alla fine, un topolino senza coda. Come sappiamo oggi, bisognerebbe tagliare un specifica sezione del DNA. Anche i calli dei cammelli non sono provocati dall’uso; sono iscritti fin dal principio nel suo codice genetico (un creazionista direbbe: Qualcuno ha pensato anche a questo).

Ma evidentemente, gli evoluzionisti a corto di attrezzi sono tornati a cercare nella cassetta degli strumenti del vecchio Lamarck. Chissà che non ci sia un utensile ancora buono. Ci sono, ci sarebbero casi in cui i caratteri acquisiti si trasmettono? No, magari così proprio non si può dire. Si parlerà di «eredità epigenetica» e di «plasticità fenotipica», e si studierà come gli organismi cambiano in risposta all’ambiente. Ma forse siamo noi che non abbiamo capito bene.

L’anno prossimo saranno pubblicate le conversazioni riservate che si sono tenute ad Altenberg. Solo allora sapremo se l’evoluzionismo ha subito, finalmente, una convincente evoluzione.

(Fonte: Suzan Mazur, «Altenberg 16: an Exposé of the evolution industry», Scoop, 6 luglio 2008. Scoop è una rivista neozelandese. Editori e direttori inglesi e americani non vogliono trattare in modo critico il tema dell’evoluzionismo: fa mancare introiti pubblicitari).

Fonte: http://www.effedieffe.com