Le conoscenze segrete dei garamanti

Le conoscenze segrete dei garamanti

Le conoscenze segrete dei garamanti“I primi che abitarono la Terra furono i Jinn, ma essi vi portarono corruzione e sparsero sangue, così che Dio mandò il diavolo tra un esercito di angeli per ammazzarli” al-Tarafi, Qishash al-anbiya (Storie dei profeti).

In pieno Medioevo, mentre l’Occidente si affrancava dall’epoca di barbarie in cui era piombato, gli arabi mappavano il cielo e compivano enormi progressi nel campo della medicina. Ma…da dove arrivavano loro tutte queste conoscenze? Certo non dagli extraterrestri, quanto più semmai dallo studio dell’uomo e della Terra, grazie all’insegnamento dei filosofi aristotelici e degli astronomi astrologi caldei. Ma d’altro canto si può escludere a priori che nella cultura araba antica sopravvivessero nozioni e concetti forse portati “dall’alto”, frutto di uno o più incontri ravvicinati con il popolo delle stelle, se si tiene conto, come vedremo in seguito, che proprio il Medioriente antico fu la terra che ospitò le prime visite celesti?

Non si tratta di mere speculazioni: l’antica Arabia era percorsa in lungo e in largo da una popolazione errante, detta dei garamanti, che si dice provenisse dall’Egitto. Gente misteriosa, i garamanti: le loro origini si perdono nel mito, nella notte dei tempi; erano in possesso di conoscenze scientifiche incredibili per l’epoca, che le altre popolazioni chiamavano “le cose segrete”. Frutto di chissà quale antico retaggio, vennero disseminate per tutta l’Africa influenzando profondamente le culture successive. Grazie ad esse, il geografo arabo Masudi (morto nel 965 d.C.) poteva conoscere, ad esempio, con tre secoli d’anticipo sulla data di scoperta ufficiale il Madagascar; e lo descrisse nella sua monumentale opera “Praterie d’oro”.

I garamanti influenzarono anche la popolazione africana dei Dogon dei Mali, una tribù che negli anni Cinquanta era ancora ferma all’età della pietra, ma che però conosceva benissimo la parte invisibile della volta celeste; come dissero attraverso metafore all’antropologo francese Marcel Griaule, “la luna era morta e disseccata, Giove aveva quattro satelliti più visibili e la stella Sirio A aveva una compagna invisibile, composta della materia più pesante dell’universo” (una nana bianca, in gergo tecnico, cioè una stella talmente compatta da essere pesantissima). Ora, l’esistenza del compagno invisibile della stella Sirio è stata documentata solo in questo secolo, eppure pare che i Dogon ne parlassero da secoli (alcune versioni vogliono che i Dogon e i garamanti l’abbiano saputo direttamente dagli extraterrestri; gli scettici dicono che invece i Dogon lo vennero a sapere negli anni Cinquanta dai missionari occidentali, gesuiti, e che retrodatarono arbitrariamente i loro miti).

PRIMO CONTATTO

Sia come sia, l’idea che una parte della sapienza del mondo preislamico fosse di derivazione extraterrestre non è, di fatto, né azzardata né eccessivamente fantasiosa; è quasi mezzo secolo, ormai, che scrittori e ricercatori di tutto il mondo vedono in alcuni dei manufatti più rappresentativi del mondo preislamico (le piramidi, le piattaforme di Baalbeck, le incisioni del Tassili) il frutto di un incontro ravvicinato con esseri di altri mondi; al riguardo esiste una letteratura copiosissima, divisa fra chi tende ad attribuire certe opere alla cultura di Atlantide e chi agli extraterrestri. Queste affermazioni, che agli inizi degli anni Sessanta apparivano solo come bizzarre speculazioni, via via hanno conquistato diversi esponenti della scienza ufficiale, ed ecco allora che ai congressi di clipeologia (così è stata ribattezzata questa nuova disciplina a margine dell’ufologia, che studia le visite aliene nel passato; affianca la più ampia fantarcheologia, archeologia misteriosa, astroarcheologia o studio sugli Antichi Astronauti) non è infrequente trovare scienziati NASA e cattedratici provenienti dal mondo dell’astronomia e dell’archeologia.

Già Josif Shklovskij, astrofisico e radioastronomo sovietico, e Carl Sagan, americano di origine russa, alla fine degli anni Sessanta si erano detti convinti che gli alieni avessero raggiunto almeno una volta la Terra ed avessero preso contatto i sumeri (quindi, con un popolo mediorientale). La prova si sarebbe trovata proprio nei sigilli sumeri, ove spiccano conoscenze astronomiche ed astronautiche che una popolazione antica non poteva logicamente possedere. In uno di questi si vede addirittura il nostro sistema solare in scala, così come apparirebbe ad un visitatore proveniente dallo spazio esterno.

Sempre in quegli anni Hermann Oberth, lo scienziato tedesco padre della missilistica e maestro di Werner Von Braun, aveva dichiarato di “ritenere molto probabile la visita di una razza extraterrestre sul nostro pianeta” e per studiare gli uranidi (il popolo del cielo, così egli definiva gli E.T.) intratteneva contatti con le principali associazioni ufologiche.

Ulteriore prova del fatto che le straordinarie conoscenze dei garamanti e del mondo islamico delle origini provenissero dall’alto è testimoniato non solo da molte tradizioni mitologiche locali, che parlano di “giganti celesti figli degli angeli”, ma anche dall’esistenza di una ritualità tutta finalizzata alla costruzione di strutture gigantesche (piramidi, monumenti, ecc…) in ricordo degli Dei dalle grandi dimensioni (tali sono raffigurati nelle pitture che vanno dall’Egitto al Tassili), ma addirittura dal ritrovamento di manufatti enormi e certamente non costruiti per una mano umana, come gli strumenti appuntiti a forma di pugno e pesanti quattro chili circa, dissotterrati sia a Sasnych in Siria che ad Ain Fritissa, nel Marocco orientale. “Dobbiamo porre in chiaro che l’esistenza di una razza di giganti nell’epoca acheuleana”, ha dichiarato su una rivista libanese l’archeologo Lovis Burkhalter, “deve essere considerata come un dato di fatto, scientificamente accertato”.

Questo primo contatto dei primordi fu fondamentale; poiché il divario fra i civilizzatori ed i civilizzati era troppo ampio, la memoria di quegli eventi, confusa in un atto religioso di rivelazione degli Dei, è andata perduta a livello storico-documentale; non compare in alcuna cronaca scritta, se non a livello di folclore locale, di mito (tale lo reputiamo noi oggi) della permanenza degli Dei o dei giganti sul pianeta Terra.

Ma una ridottissima parte delle conoscenze che quegli antichi abitatori del pianeta ricevettero dai visitatori è rimasta, e si è duplicata all’infinito, come tradizione iniziatica, culto o mito, grazie alle esplorazioni ed ai contatti che il mondo islamico e preislamico ebbe con il resto del mondo. La presenza di un passaggio di genti arabe nel mondo antico è stata documentata dallo studioso Hyacinte de Clarency, che, nella sua “Storia leggendaria della nuova Spagna”, ha fatto notare che il berbero e il tamacek, le lingue cioè dei tuareg sahariani, sono strettamente imparentate con la lingua basca, il francese antico e certi dialetti dell’America settentrionale e meridionale, a dimostrazione di quanto costoro avessero viaggiato, toccando il Nuovo Continente secoli prima di Colombo, grazie a “mappe impossibili” (come quella dell’ammiraglio Piri Re’is, che mostrava l’Antartide secoli prima della sua scoperta ufficiale) che alcuni vorrebbero di origine atlantidea, ma che probabilmente erano frutto di rivelazioni (insegnamenti) extraterrestri.

I garamanti furono i più privilegiati, in quanto vennero messi a conoscenza dei segreti della parte invisibile della volta celeste.

Ovunque passarono questi antichi viaggiatori, lasciarono tracce misteriose e prove incontestabili del fatto che possedessero nozioni avveniristiche, anche in fatto di edilizia. Come ha scritto il ricercatore tedesco Ulrich Dopatka, “fra Sebha e Gat, due oasi nella zona sahariana del Fezzan libico, una carovaniera attraversa un sistema pluriramificato di gallerie sotterranee scavate nella roccia calcarea e simili a bunker, alte più di tre metri e larghe fino a quattro, costruite per dei giganti. Siccome in certi punti non distano neppure sei metri l’una dall’altra e la loro lunghezza tocca perfino i 4,8 km, non è il caso di pensare che si trattasse di condutture d’acqua.

Di questi passaggi se ne sono scoperti finora duecentotrenta. Sono chiamate foggara e si dice che le avessero costruite i garamanti, spintisi nel Sahara, si suppone, dalla costa mediterranea. Essi erano i depositari di un’antica cultura e conoscevano anche l’esistenza di Sirio B, una nana bianca pesantissima che i greci chiamavano wezen, derivando il nome dall’arabo a-wazn, che appunto vuol dire peso… I loro discendenti sarebbero i tuareg”. “Secondo il dotto arabo Silaki Ali Hassan”, prosegue Dopatka, “sotto le sabbie del deserto di Rub al-Khali, in Arabia Saudita, sarebbe sepolta la città garamante di El Yafri, con i suoi monumenti giganteschi in grado di rivaleggiare per magnificenza con quelli di Baalbek. Ebbe queste notizie da suo padre Philby Ali Hassan, che a sua volta le aveva ottenute dagli arabi del deserto. Tracce di città sepolte si trovano anche nell’antica Arabia felice, ora coperta dai deserti dello Yemen (come Ubar, l’Atlantide del deserto, n.d.A.)”.

Sul legame celeste dei garamanti – come pure sull’origine esogena delle loro conoscenze – Dopatka non ha dubbi: “Nella mitologia greca”, continua lo studioso, “si parla dei figli del dio Urano, il cielo, e della dea Gea, la terra: Cotto, Briareo e Gige. Questi tre pare avessero un quarto fratello, Garama. E garamanti si chiamavano i suoi discendenti, gli abitatori dell’antico Fezzan, che avevano la capitale a Garama, nei pressi dell’odierna Germa, ed il cui territorio arrivava sino a Djado, nel Niger. Lì, nella parte occidentale del massiccio del Tibesti, si trovano lastricati monolitici il cui scopo non è stato ancora spiegato, misteriosi come quelli analoghi presso Enneri Sherda. Secondo un’altra versione, Garamante sarebbe stato Anfitemide, figlio di Apollo e di Acacallide che, rimasta incinta, fu scacciata dal padre Minosse re di Creta ed esiliata in Libia; là le nacque Garamante, che sposò poi la ninfa Tritonide, figlia di Tritone”.

Dopatka sospetta che dietro il racconto mitizzato di questi eventi vi siano stati degli episodi ben reali, ovvero l’insediamento di una tribù celeste in Africa, legata al mito di uomini-pesce (Oannes, secondo la mitologia assiro-babilonese, Nommo secondo le credenze africane del Mali) giunti dalle stelle per portare la conoscenza agli uomini (se ne parla più diffusamente nel quinto capitolo). A prova di ciò Dopatka rivela di avere identificato il lago ove, secondo la leggenda, viveva Tritonide, ubicato al confine tra Algeria e Tunisia ed anticamente in comunicazione con il mare. Gli antenati dei garamanti, al di là della loro origine celeste, “sarebbero stati degli emigranti greci”, prosegue Dopatka. “E anche Cirene, l’antica Libia, avrebbe avuto come fondatori i loro cugini argonauti. I garamanti, vinti e sottomessi storicamente dal romano Lucio Cornelio Balbo nel 19 a.C., emigrarono dopo il IIº secolo d.C. sul Niger superiore, nel Mali, mescolandosi con la popolazione indigena.

La tribù parente degli Akan si spinse ancora più a sud, nel Ghana; ma depositari della conoscenza che le civiltà mediterranee ed asiatico anteriori avevano di Sirio B rimasero i Dogon… Come dice Plutarco nella diatriba Su Iside ed Osiride, pare che anche i persiani preislamici possedessero conoscenze su Sirio che collimano con quelle relative a Sirio B. I due principi fondamentali dello zoroastrismo sono Ahura Mazda, simbolo della luce e del bene, e Ahrimane, simbolo dell’oscurità e del male, che Plutarco chiama Oromazes e Areimanios. Oromazes, nato dalla pura luce, e Areimanios, sorto dalle tenebre, dice sono in perpetua lotta fra di loro. Poi Oromazes triplicò il suo volume, e questo mi fa pensare ad un’espansione stellare, visto che si tratta chiaramente di miti cosmogonici sulla nascita dell’universo, e si allontanò di tanto dal sole quanto gli è lontana la Terra. E adornò il cielo di stelle. Una la mise a protezione e a guardia di tutte le altre, la stella del cane, Sirio.

Creò anche altri ventiquattro dei e li introdusse in un uovo. Ma quelli che avevano creato Areimanios ed erano altrettanto numerosi dei primi, penetrarono nell’uovo. Entrambi i contendenti crearono venticinque dei, in totale dunque cinquanta. Sirio fu incluso tra i cinquanta, forse perché col tempo la tradizione orale subì qualche modifica, ma in origine rappresentava il cinquantunesimo. Penetrati in un uovo: sarebbe una metafora per descrivere l’orbita ellittica percorsa dal compagno di Sirio? Le antiche conoscenze riguardanti l’astronomia erano state tramandate così nelle allegorie mitico-religiose?”.

MAGIA E ALCHIMIA DALLE STELLE

Dei garamanti non si sa moltissimo. Hanno lasciato diverse tombe megalitiche, che l’archeologia ufficiale chiama libico-berbere, attorno a Germa, la loro capitale; hanno riempito il Ténéré, tra l’Algeria ed il Niger, di strani tumuli di pietra, a forma di torre e con delle braccia a V, composte da pietre sovrapposte, la cui funzione tuttora ci sfugge; alcune di esse sono chiaramente tombe; altre potrebbero essere monumenti religiosi o punti di riferimento geografici o astronomici, non si sa (come per le linee di Nazca in Perù). Hanno riempito di cerchi di pietre la zona di Afellahlah, di tumuli il Tassili, Tiririne e Terarart; quale fosse il messaggio che volevano lasciare ai loro discendenti non ci è dato di saperlo; solo, conosciamo che quest’opera di accumulo di pietre iniziò sul finire del neolitico (Iº-IIº millennio a.C.) e proseguì sino al Medioevo, allorché l’incontro con gli arabi portò all’islamizzazione del territorio.

Furono, assieme agli altri algerini, un popolo di irriducibili: il Maghreb ove abitavano, seppure completamente romanizzato, non venne mai del tutto pacificato dai conquistatori, checché ne dica Dopatka. Alcune delle regioni montagnose del Nordafrica, come ad esempio gli Aurés, la Kabilia, l’Ouarsenis, il medio Atlante ad occidente, non vennero mai del tutto assimilate dai romani, come del resto le terre steppose ed aride ai margini del Sahara, che furono visitate solo in occasione di operazioni militari di annientamento delle bande di razziatori. I romani supplirono strategicamente a questa loro debolezza creando attorno al deserto ed ai massicci montuosi una cintura di fortilizi e di piccole città che isolavano e controllavano le bellicose popolazioni autoctone. Nel 19 a.C. i romani intrapresero la prima delle loro spedizioni punitive contro le tribù getuli che nomadizzavano a sud di Vescera (Biskra) e contro i garamanti di Cydamus (Ghadames) e Garama (Germa o Djerma); con queste spedizioni iniziarono le prime missioni esplorative del Sahara.

In quel modo Germa, l’antica capitale dei garamanti, divenne un punto nodale per i contatti commerciali e di scambio culturale, sorgendo nei pressi della comoda oasi di Ti-n-Abunda; ma, commercio a parte, i garamanti e le altre popolazioni sahariane dovettero guardarsi, riuscendoci benissimo, dalle spedizioni esplorative e punitive romane di Cornelio Balbo (19 a.C.), Valerio Festo (78 d.C.), Suello Flacco (85 d.C.) e Giulio Materno (83-92 d.C.). Fu poi la volta dello scontro con i barbari Vandali, poi con i bizantini ed infine con gli arabi di Okba ibn Nafi; in quell’occasione i garamanti, era il 668 d.C., si convertirono all’Islam. Ma le loro antiche conoscenze astronomiche ed ufologiche si sparsero per il mondo, proprio grazie al contatto con gli invasori. Nel 1350 incontrarono il celebre viaggiatore arabo Ibn Battuta. Non sappiamo cosa si dissero, ma si sa per certo che Ibn Battuta diventò il più documentato ed acceso sostenitore dell’esistenza di Atlantide.

L’incontro (storicamente documentato) dei garamanti con l’Occidente ci permette di rintracciare più agevolmente prove del fatto che i primi, ed i popoli con loro in contatto, possedessero conoscenze fuori dal comune; ciò è documentato da diverse fonti greco-romane, che ricollegano la sapienza dei primi agli studi iniziatici che gli stessi avrebbero appreso dagli antichi egizi. Il monaco Rufino sosteneva che gli antichi africani conoscessero ciò che oggi chiamiamo principio del magnetismo, accennando all’ascensione (a cui assistette verso la fine del 300 d.C.) di un disco metallico raffigurante il sole, nel tempio di Serapide ad Alessandria d’Egitto; l’oggetto sembrava mosso da una forza invisibile e misteriosa; un altro storico dell’antichità, Luciano (IIº secolo d.C.), noto per il suo scetticismo, ammise di avere visto i sacerdoti siriani far levitare il simulacro di una loro divinità.

Resoconti di questo tipo sono stati riferiti da varie fonti del monto classico, come Plinio il Vecchio e Cassiodoro. In questi racconti, spacciati dai sacerdoti arabi per magie, non vi era in realtà nulla di miracoloso, salvo l’applicazione, con qualche millennio di anticipo sulla scienza ufficiale, di precisi principi fisici (allora insegnati dagli ‘alchimisti’) derivati dall’utilizzo di calamite. Questi prodigi della tecnica, in verità, vennero replicati per centinaia di anni e spesso si confusero con la leggenda, al punto che secondo una tradizione del XIIº secolo l’architetto costruttore della torre di Mansurah, presso Tlemcen, sarebbe stato solito volare dalla sommità della torre stessa ad una vicina collina. L’antica storiografia ci racconta che per secoli i sacerdoti ammaliarono le folle dei credenti facendo volare una verga, che poi sostava immobile a mezz’aria, nella chiesa abissina di Bizan. Nel 1515 padre Francisco Alvarez, segretario dell’ambasciata portoghese in Etiopia, poté accertarsi che la bacchetta galleggiava in aria senza alcun trucco o gioco di prestigio.

La stessa alchimia pratica, un rozzo sistema di conoscenza esoterica che ebbe però il merito di gettare i fondamenti della chimica moderna, nacque in Egitto; il suo stesso nome origina da una dizione araba che significa terra di Kem, il nome islamico dell’Egitto. Gli antichi sacerdoti alchimisti, al di là di qualsiasi speculazione su iniziazioni esoteriche o religiose, utilizzavano in buona sostanza i fondamenti della fisica e della chimica moderna per stupire le folle, spacciando i prodigi della scienza per miracoli della fede. Secondo le tradizioni gnostiche ebraiche ed islamiche, tutte queste conoscenze perdute erano state rivelate agli uomini dai figli degli angeli caduti, i Veglianti, i servitori celesti che si erano ribellati a Dio. Secondo un testo apocrifo noto come “Libro di Enoch” (attribuito ad un personaggio conosciuto nel Corano come Idris) duecento di questi angeli ribelli ed i loro diciassette capi avrebbero trovato rifugio sulla Terra, all’epoca della cacciata dal paradiso, atterrando sull’Ardis (l’attuale Begel el-Sheikh), una vetta del monte Ermon in Siria. Costoro insegnarono all’umanità i segreti di ciò che all’epoca si chiamava magia ed alchimia, e che oggi definiremmo rudimenti di fisica e chimica. I garamanti, in particolare, ne raccolsero l’eredità e gli insegnamenti.

Che questa vicenda possa essere ben più di un mito, e dunque sia il ricordo deformato di incontri reali con esseri poi demonizzati perché troppo diversi da noi, è dimostrato dal passo ricorrente in diverse narrazioni, sia islamiche che bibliche, secondo cui i discendenti dei veglianti, nati dall’unione con donne della Terra, erano dei giganti (e la leggenda dei giganti è assai diffusa nell’Africa musulmana). Che questi giganti siano esistiti effettivamente in Arabia e nell’Africa bianca pare definitivamente provato dal ritrovamento di enormi amigdale a Sasnyh in Siria (pesanti 3,8 kg) e presso Ain Fritissa nel Marocco Orientale, pesanti 4,2 kg. É quanto resta degli antichi civilizzatori giunti dalle stelle?

Alfredo Lissoni