Le crisi tutte convergenti

Il Giornale OnlineInviata da skorpion75

«Le forze armate britanniche sono una corda tesa oltre le capacità», ha detto il maresciallo dell’aria sir Jock Stirrup, comandante in capo delle suddette forze armate (1). Due guerre simultanee – i britannici hanno 4 mila uomini in Iraq e 8 mila in Afghanistan – sono troppe.

«Non abbiamo la struttura nè ricevuto le risorse per fare le due cose (sic) su questa scala e su questa durata, e siamo durando da anni. In un futuro non tanto distante le cose devono cambiare», nel senso che una delle due guerre deve «diventare di scala minore» (sic). In Afghanistan, ha aggiunto il lord feldmaresciallo, l’Occidente «sta cercando di risolvere un problema colossale (mammoth). Qualcosa che non si può risolvere in uno, due o tre anni, perchè stiamo parlando di un paese essenzialmente medievale, che ha pochissime infrastrutture, pochissimo sviluppo di risorse umane (sic) e una cultura endemica di corruzione».

La stampa inglese nota che è la prima volta che il più alto in grado ha espresso una diagnosi così dura sulle difficoltà militari. Non è del tutto esatto: poche settimane fa il capo di stato maggiore generale, sir Richard Dannatt, ha avvertito che il peso delle operazioni nelle due guerre può «spezzare» l’esercito inglese. In questi nostri strani tempi, sono i militari a dire le verità; come in USA ha fatto l’ammiraglio Fallon, che si è dimesso per sventare l’attacco all’Iran.

Il confronto con i politici – cosiddetti civili – è stridente: Charlie Black, primo consigliere del candidato repubblicano McCain, ha appena auspicato un attentato in America, sarebbe utile per vincere le elezioni…Già l’assassinio della Bhutto «ci ha aiutato». Menti criminali, che non possono fare a meno di smascherarsi: dunque anche l’11 settembre…?

Per loro fortuna, i «grandi media» – nessuno dei quali è militarizzato – non hanno dato rilievo all’auto-confessione di Black. Il giorno dopo, già il consigliere di McCain che desidera la morte di qualche centinaia di cittadini USA per far vincere le elezioni ai repubblicani, è scomparso dalle pagine del Washington Post e New York Times. Da noi, nel nostro piccolo, c’è Frattini che ordina di mettere i nostri soldati a fianco degli inglesi, già prossimi al collasso, in una guerra-mammoth.

In Germania, i politici civili non sono meglio. In seguito all’« incidente» del settembre 2007, quando un B-52 con sei testate nucleari innescate sorvolò l’America al difuori della catena di comando (come conseguenza, il capo di SM dell’USAF è stato obbligato a dimettersi, insieme al civile segretario della difesa per le forze aeree), è stato ordinato un controllo a tappeto della sicurezza delle armi atomiche americane nel mondo: anche sulle 2-300 bombe di stanza in Europa che si trovano in sei paesi (in Italia, ad Aviano e a Ghedi).

Ora il rapporto – militare, «Air Force Blue Ribbon Review of Nuclear Weapons Policies» – è stato pubblicato. E la rivista militare Defense News, i 30 ispettori dell’USAF che hanno fatto il controllo hanno rilevato ufficialmente «falle nel personale, nelle strutture, nell’equipaggiamento fornito per la sicurezza dalle nazioni ospiti…visita dopo visita, è saltato all’occhio un fatto comune: che i siti per lo più esigono molte più risorse per adeguarsi ai requisiti di sicurezza ministeriali (del Pentagono). In certe basi, a proteggere le armi contro i furti erano assegnati coscritti con meno di un anno di esperienza» (2).

Ne è nato qualche allarme, qualche polemica. Senza esagerare: adesso i Verdi tedeschi, guidati da Cohn-Bendit (l’immarcescibile sessantottino), sono filo-americani. Ma è da notare la risposta del governo Merkel: le armi nucleari devono restare in Germania. «D’accordo, i siti nucleari richiedono sicurezza, ma dobbiamo considerare i pericoli che abbiamo di fronte».

Ma quali pericoli giustificano un simile arsenale in Europa ma – beninteso – con mani americane sui pulsanti? La Russia non ci minaccia più. Dev’essere il famoso attacco atomico dell’Iran contro l’Europa.

Ma se tanti pericoli ci minacciano, cerchiamo di capire come mai l’esercito britannico, con 12 mila uomini impegnati in due piccole guerre lontane, è sul punto di spezzarsi, esausto.

Nella sola Grande Guerra, solo per occupare la Palestina da dare agli ebrei (Lord Balfour l’aveva promesso a Lord Rotschild) Londra spostò là un milione di uomini, sottraendoli ai fronti europei pericolanti. In quei fronti europei, centinaia di migliaia di uomini morirono; e milioni, interi popoli, furono mobilitati e combatterono.

Anche questo dice qualcosa – molto – sulla nostra crisi occidentale: i generali lo capiscono, i politici civili, da noi eletti (così ci dicono), nascondono la realtà dietro menzogne. Anche a se stessi.

Perchè la realtà non è menzionabile, e il nemico non è dichiarabile: il nemico è «l’insicurezza» e l’instabilità generata dalla fase terminale del sistema globale: speculazione ed inflazione, rincari stratosferici di carburanti e cibo, che di colpo mettono in pericolo la civiltà materiale occidentale, la «società del benessere». Mica possono accusare quello, i politici.

Vedono il sistema impazzire, e le crisi multiple convergere l’una nell’altra, e ciascuna intensifica l’altra, e non sanno bene che fare. Oscuramente, chi ha le armi più potenti è tentato dall’azzardo di sfuggire a questo caos auto-generato ancora con un’altra guerra; il trucco è riuscito nel 1939, così l’America uscì dalla Depressione decennale. Ora non più. Ora i trucchi e i «rimedii» di pronto soccorso si rivoltano, ottengono risultati opposti al voluto.

Un esempio recente di crisi interconnesse e convergenti è dato da Bloomberg (3): la Federal Reserve ha inondato di dollari le banche speculative, e tiene i tassi bassissimi; con ciò, ha inteso anche aiutare i debitori (le famiglie col mutuo sub-prime) a continuare a pagare i ratei dei mutui. Ma il risultante deprezzamento del dollaro ha fatto salire alle stelle i prezzi del petrolio e delle granaglie; rincari esasperati dagli speculatori finanziari che, perdendo su tutti i fronti, si sono buttati a guadagnare sui soli beni in rialzo, i beni che ci nutrono e che danno forza motrice.

Risultato finale: le famiglie americane, anche coi tassi bassissimi, non riescono a pagare il mutuo. Perchè altrimenti, non possono pagare la benzina nè il cibo. E quindi, non pagano le banche creditrici.

«Il consumatore alle corde, super-indebitato, se obbligato a tagliare le spese, può creare ancora più problemi per il sistema bancario, in quanto le insolvenze sui prestiti cominciano a salire ancor più. E ci sono insolvenze crescenti dovunque», così ha scritto Bennet Sedacca, presidente del fondo d’investimento Atlantic AdvisorsLLC in Florida. Uno «tsunami finanziario» si sta formando, secondo costui, provocato dall’inflazione.

I salvatori dei mercati finanziari gli paiono «come uno che sta solo su una spiaggia, con un mano un secchio, a cercare di bloccare lo tsunami che colpisce le coste. Questa è la sensazione che mi danno i mercati e gli strumenti usati dalla Federal Reserve, dalla BCE, e dagli altri enti di regolamentazione. I loro mezzi sono senza proporzione inferiori a quello che affrontano, e peggio, loro stessi hanno creato il pasticcio, con la loro manica troppo larga in creazione di moneta e di debito».

È, in fondo, quel che dice il feldmaresciallo Stirrup. Dovunque, in guerra e nell’economia, l’Occidente mette in campo mezzi insufficienti, inferiori senza confronto rispetto alla gravità della crisi. Perchè? Ecco una possibile risposta.

Ora in USA il Congresso cerca almeno di emanare misure che stronchino la speculazione sulle materie prime; ebbene, sul Times, un certo Carlo Mortished attacca questi provvedimenti, furioso, con un illuminante argomento: porre regole al mercato speculativo è una misura da «padri pellegrini puritani» (4).

«Rieccoli di nuovo, questi pellegrini puritani», scrive Mortished: «di nuovo minacciano di vietare, regolamentare e controllare ogni forma di rischio. Dopo (aver vietato) l’adulterio, l’alcol, e il poker su Internet, questi americani inventano un nuovo vizio: quello che si pratica alla Borsa Merci».

Non si può essere più chiari: il liberismo e l’adulterio (o «libertà sessuale» in genere) sono un tutt’uno, l’assenza di regole finanziarie e l’assenza di regole morali fanno parte dello stesso pacchetto chiamato «società dei consumi» e «del benessere». E c’è chi difende il tutt’uno anche quando diventa veleno mortale: «Vietato vietare», morte ai «proibizionisti».

E’ il segno che la crisi è in noi – tutti, nessuno escluso.

Per questo non curiamo più i nostri vecchi, li abbandoniamo a badanti romene; i muri delle nostre case, li lasciamo costruire da albanesi e ucraini; i nostri vegetali, li facciamo raccogliere da nordafricani. E non è che i nostri giovani non abbiano il coraggio di morire: lo fanno in numero enorme, ma all’uscita delle discoteche.

Dovunque, i mezzi che mettiamo in atto sono deboli, perchè ogni aspetto della realtà sgradevole l’ abbiamo risolto pagando chi li risolva al nostro posto. Con denaro, notatelo, che si squaglia come neve al sole, e che già comincia a mancare.
La memoria va all’antica Tartesso, la dolce città che sorgeva millenni fa sulla foce del Guadalquivir. Secondo il poema geografico di Avieno (un gallico del I secolo d.C.), i tartessi avevano leggi datanti da seimila anni; erano pacifici e spregiavano il valore militare. Il loro re, enormemente ricco, era chiamato non a caso Argantonios, l’uomo dell’argento, del denaro. Vivevano una vita soave tra raffinatezze decadenti, si concedevano comodità insuperabili nel mondo antico.

«A ciò si aggiunga», scrive Ortega y Gasset, «che gli abitanti costituivano un popolo di vecchi, sintomo tipico delle civiltà in cui non c’è più nulla da fare» (5). I cartaginesi conquistarono facilmente Tartesso e la distrussero totalmente, nel VI secolo a.C.
Noi siamo la Tartesso di questo ciclo?

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1) James Kirkup, «Britains’ armed forces ‘stretched beyond their capabilities’ by fighting in Iraq and Afghanistan», Telegraph, 25 giugno 2008.
2) «Mélange de genres», Dedefensa, 24 giugno 2008.
3) Mark Gilbert, «Faster inflation may unleash ‘financial tsunami’», Bloomberg, 24 giugno 2008.
4) Carl Mortished, «Think there is no future speculating on oil?», Times, 25 giugno 2008.
5) Ortega y Gasset, «Storia e Sociologia», Napoli 1983, pagina 164. Sulle società basate sul denaro: «Quando si volatilizzano la maggior parte dei poteri sociali (razza, religione, stato, idee) rimane sempre il denaro…o meglio: il denaro non comanda, se non quando manca un altro principio che comandi».

fonte: www.effedieffe.org