L'inganno del senso comune


Di Marco Cattaneo

Le due più fertili e affascinanti teorie fisiche del XX secolo, la meccanica quantistica e la relatività, proprio non ne vogliono sapere di andare d'accordo. Lo sanno bene i fisici che da decenni cercano di elaborare una teoria della gravità quantistica che rifletta i principi di entrambe. E se ne era già accorto – prima di tutti, come al solito – Albert Einstein.

Oltre al problema di integrare la gravità – descritta dalla relatività generale – con le altre tre forze, per avere una descrizione unitaria delle leggi di natura, c'è infatti la grana che il genio di Ulm espose come un paradosso nel 1935, insieme a Boris Podolsky e Nathan Rosen, in un articolo intitolato Può la descrizione quanto-meccanica della realtà ritenersi completa? In quello storico lavoro i tre illustravano un esperimento ideale che dimostrava come, secondo i principi della meccanica quantistica, una misura eseguita su una parte di un sistema quantistico poteva propagarsi istantaneamente a un'altra parte dello stesso sistema.

Quel fenomeno è chiamato entanglement, e con buona pace di Einstein, Podolsky e Rosen la sua esistenza è stata pienamente dimostrata, al punto da essere la base degli esperimenti sul teletrasporto quantistico. Eppure resta uno dei concetti più difficili da assimilare della fisica contemporanea, perché inganna il senso comune. Come spiegano David Z Albert e Rivka Galchen nel loro articolo Sfida quantistica alla relatività speciale, a p. 40, il nostro intuito alimenta l'idea che i fenomeni siano determinati da precisi rapporti causa-effetto che comportano un'interazione diretta o indiretta tra la prima e il secondo.

L'entanglement, invece, viola questo «principio di località»: il cambiamento di stato di un elettrone può influenzare direttamente e istantaneamente lo stato di un altro elettrone dalla parte opposta della galassia senza «agire» su nessun altro oggetto fisico che stia nel mezzo. E questa «non località» può minare alla base i fondamenti della relatività speciale. Albert e Galchen illustrano con chiarezza il complesso dibattito che è andato sviluppandosi negli ultimi anni in senso alla comunità scientifica, riportando al centro dell'attenzione la questione dell'interpretazione della meccanica quantistica e dei fenomeni a essa associati, fino ai più recenti tentativi di conciliare due visioni del mondo che sembrano decisamente in rotta di collisione.

Albert ha contribuito personalmente al dibattito, pervenendo a conclusioni che imporrebbero un drastico ridimensionamento della nostra possibilità di descrivere il mondo. Non è una lettura facile, e non per ragioni di competenze specifiche, ma perché richiede di rinunciare a molte delle più radicate convinzioni della nostra logica quotidiana. Ma dà l'idea di come stia evolvendo la riflessione di fisici e filosofi della scienza sui fondamenti della fisica, a partire dalle critiche di Einstein alla meccanica quantistica. Da questa riflessione potrebbe emergere una visione del tutto nuova dello spazio – in senso lato – in cui siamo immersi, nella quale la non località quantistica potrebbe trovare posto in una cornice più ampia e coerente.

La sfida aperta potrebbe constringerci a smantellare, rivedere, ridimensionare o addirittura rifondare i pilastri che sostengono la migliore descrizione del mondo che abbiamo elaborato fino a oggi. Per questo la lettura di Albert e Galchen vale lo sforzo di astrarsi – almeno per qualche minuto – dal senso comune con cui affrontiamo la vita di ogni giorno.

Fonte: http://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/L_inganno_del_senso_comune/1338173
Vedi: http://www.scientificamerican.com/article.cfm?id=splitting-time-from-space