Marte, verità e bugie

marte mars
1962: cominciano le prime esplorazioni

Marte ha da sempre affascinato l’uomo… dall’antichità, coi primi tentativi di scorgere la sua “rossa” superficie, ad occhio nudo o con primitivi telescopi… fino ai nostri giorni, con lanci di shuttle o navette spaziali tese a fornire informazioni visive sulla sua superficie e sulla composizione del suo terreno.

Le imprese progettate e realizzate con destinazione Marte sono davvero moltissime: vastissima la documentazione di cui oggi disponiamo, anche perché, seppur con alterne fortune, si può dire che l’interesse verso di esso non sia mai diminuito.

– In calce all’articolo la scheda riassuntiva delle missioni realizzate sinora.

Mars Pathfinder è stata la prima sonda ad atterrare su Marte dopo 20 anni, quando le Viking 1 e 2 scesero per la prima volta sul suolo del pianeta. Questa è stata una delle prime missioni NASA della classe Discovery, studiate per poter essere sviluppate in tempi ridotti, con costi contenuti ed obiettivi scientifici focalizzati.

Dopo il Pathfinder è la missione “Surveyor” che terrà impegnati i tecnici NASA per 7 anni; vediamone gli sviluppi nel breve:

Mars Surveyor ’98 Orbiter: Ha descritto l’atmosfera marziana, con osservazioni sull’acqua presente nell’atmosfera durante i cicli stagionali. Ha creato un ponte per la comunicazione del mars Surveyor ’98 lander. Mars Surveyor ’98 Lander: Ha studiato le riserve d’acqua presenti e passate di Marte, la chimica, la mineralogia e la topologia della superficie oltre a proseguire gli studi atmosferici. Ha incluso due innovative microsonde per il terreno sviluppate dalla NASA all’interno del programma New Millennium. Costo combinato delle due missioni ’98: 187 milioni di dollari + 26 milioni per le microsonde.

Le ultime informazioni che pubblichiamo riguardano le recenti operazioni del 2001:

Mars Surveyor ’01 Orbiter: Ha studiato la chimica e la mineralogia del suolo, ricercando anche riserve d’acqua vicino alla superficie. Mars Surveyor ’01 Lander e Rover: Ha studiato il terreno in una zona di 10 km dal sito scelto per mezzo delle osservazioni del Mars Global Surveyor e del Mars Surveyor ’98. Ha selezionato e immagazzinato campioni per un possibile ritorno. Inclusa nei progetti una piccola fabbrica di propellente. Costo previsto per lo sviluppo delle due missioni 2001: circa 250 milioni di dollari. Ulteriori informazioni su queste missioni, di cui proprio in questi giorni si legge qualcosa, disponibili prossimamente.

– Il tormentone della “faccia di Marte”

Tutto cominciò nel momento in cui gli enormi sforzi profusi dall’ingegneria spaziale di mezzo mondo, videro i primi risultati concreti nelle poche immagini che ritornavano dalle navette spaziali. Era il 1964 quando il Marineer 4 inviò le prime, importantissime 21 foto. In quelle stampe erano concentrate le attese di tutta l’umanità: erano anni in cui si guardava con grande interesse allo spazio, in ottica fantascientifica oltre che scientifica; non c’erano solo le attese della NASA, c’erano quelle di ufologi e appassionati di misteri, che vedevano in Marte, in quanto così (relativamente) vicino alla Terra, un nodo cruciale per lo sviluppo di queste tematiche.

Marte, verità e bugieIl vero ed accesissimo dibattito ha inizio qualche anno più tardi, nella metà degli anni ’70, cioè nel momento in cui le sonde americane Viking 1 e 2 raggiungono la superficie di Marte: era il 20 luglio ed il 4 settembre 1976, e gli archivi fotografici della NASA si arricchirono di oltre 60.000 fotografie inviate alla Terra.

Fra queste, alcune in particolare hanno destato scalpore fra gli ufologi. Nella zona di Cydonia Mensa, nella piana di Acidalia, fra le rocce sembra di vedere traccia di alcuni manufatti.

Sembrano delle rovine: una cittadella, una fortezza, una serie di piramidi, ma soprattutto, chiaro ed inequivocabile, il volto di una sfinge! La struttura inquadrata dal Viking in due diverse occasioni, e con luce differente, e’ lunga un chilometro e mezzo e può ricordare un volto umano “adagiato” sul suolo marziano.

La foto venne scattata il 25 Luglio 1976, appunto, nella regione di Cydonia Mensae, nella parte settentrionale di Marte. La NASA rivelò l’immagine definendola una “insolita struttura a forma di faccia” e dichiarò di ritenerla frutto di un’illusione ottica. Tuttavia, i primi esami computerizzati dell’immagine, effettuati nel 1980, permisero di evidenziare la probabile struttura dell’orbita relativa all’occhio visibile oltre alla presenza della pupilla, della linea dei capelli, del mento nonché dello zigomo destro.

La NASA pensò di contrattaccare, per bocca dello stesso direttore della missione Viking, il dottor Gerald Soffen, che ebbe a dichiarare come il successivo passaggio al di sopra di Cydonia, avvenuto “poche ore dopo non aveva rivelato nulla”. Pertanto la faccia era una illusione.

Ma alcuni ricercatori, fra cui Vincent Di Pietro e Gregor Molenaar, controllarono quelle asserzioni appurando che l’area in questione era stata sorvolata per la seconda volta dallo stesso Viking non poche ore, bensì trentacinque giorni dopo il primo passaggio. Si era dunque in presenza di una seconda fotografia, nella quale si ripresentava l’immagine della stessa faccia con gli stessi particolari. Risultavano presenti anche tutte le strutture di contorno, prime fra le quali qielle che sembravano, ormai nitidamente, maestose piramidi.

La più alta di queste raggiungeva i 1600 metri. L’esistenza di due fotografie rendeva ora difficile l’opera demolitrice della NASA. Tra l’altro, l’esistenza di due immagini, riferite allo stesso oggetto, ripreso sotto differenti condizioni di luce, dava la possibilità di realizzare un modello tridimensionale computerizzato, il che significava identificare la costruzione indipendentemente dai “giochi di luce”.

A quindici chilometri da quella testa gigantesca compaiono delle insolite formazioni rocciose che sembrano disegnare una fortezza triangolare e ben sei piramidi a quattro e cinque lati, perfettamente definite, se si considera l’eventuale accumulo di residui terrosi ai loro piedi.

Un notevole passo avanti si ebbe quando Richard Hoagland, naturalista ed ex-collaboratore della NASA, incuriosito dagli studi di Di Pietro e Molenaar, iniziò insieme al suo gruppo una serie di studi dettagliatissimi sulle singolari strutture rinvenute dai due ricercatori nella regione di Cydonia, ma anche su diversi siti misteriosi rinvenuti nella stessa zona.

Marte, verità e bugieMa soprattutto mise in evidenza le diverse relazioni significative tra le loro posizioni reciproche, le dimensioni e gli orientamenti. Il risultato finale fu che tali relazioni erano così complesse che appariva alquanto difficile spiegarle come il frutto di semplici “coincidenze o del caso”. Infatti nel suo libro “The Monument of Mars”, Hoagland, dimostra che le sei piramidi presenti nella regione di Cydonia ed il volto scolpito sarebbero in realtà i resti di un grande complesso, collocato in modo da essere rivolto sia al levar del sole che al tramonto.

Tale complesso sarebbe stato edificato su Marte circa 500.000 anni fa in base a delle leggi di una geometria armoniosa ed analogamente agli antichi templi e luoghi sacri presenti sulla Terra.

Tale geometria sarebbe stata elaborata come un codice, come un messaggio matematico, ai pianeti vicini! Inoltre, lo studioso americano scoprì ben presto che la struttura più importante presente nell’area di Cydonia non era il volto ma una piramide pentagonale che lo stesso Hoagland chiamò di D&M, in onore dei due ricercatori Di Pietro e Molenar.

In effetti, già due ricercatori avevano, nelle loro analisi iniziali, riscontrato la presenza di un complesso massiccio la cui forma denotava un’evidente regolarità. Hoagland successivamente, con l’ausilio dei sofisticati elaboratori dello Stanford Research Institute, riuscì ad ottenere una maggiore definizione delle immagini evidenziando che tale complesso aveva effettivamente la configurazione di una grande piramide a base pentagonale, con un asse di simmetria bilaterale diretto verso il volto.

– Un’incredibile geometria tetraedrica

Si può immaginare, dunque, come Hoagland non si ponga più nemmeno il minimo dubbio sulla possibilità che un’antica civiltà sia esistita; i suoi studi vanno ben oltre, e si avvalgono in particolare della preziosissima collaborazione di Errol Torun, tecnico del Pentagono e specialista del Servizio Cartografico del Ministero della Difesa statunitense originariamente incaricato di indagare su tali strutture al solo fine di smentirne la reale origine artificiale a cui Hoagland ed altri erano favorevoli.

Ebbene durante il suo studio raccolse così numerosi elementi, a favore di questa ipotesi, da cambiare idea e schierarsi nelle fila dei sostenitori dell’esistenza di un’antica civiltà su Marte.

Lo studioso, infatti, dopo attenti esami escluse qualsiasi ipotesi d’origine naturale affermando che non si conosceva alcun fenomeno morfologico in grado di generare una piramide pentagonale. Una simile struttura non esiste nè su Marte, nè sulla Terra e tanto meno in altri pianeti del sistema solare.

Torun evidenziò, inoltre, come Cydonia fosse un concentrato di fenomeni geologici insoliti.

Ma la scoperta più sorprendente che lo studioso effettuò fu che la struttura piramidale pentagonale non solo venne edificata secondo le sezioni auree impiegate da Leonardo Da Vinci per il noto disegno dell’uomo all’interno del cerchio, ma che gli angoli, le distanze e le costanti matematiche riscontrate nella piramide di D&M sono le medesime che si trovano in tutta la regione di Cydonia.

Tali costanti si ottengono dividendo fra loro altre due costanti, di cui la prima è E (la base degli algoritmi naturali), l’altra è P (il rapporto della circonferenza per il diametro del cerchio); E diviso per P dà il rapporto di 0,865 che è una funzione trigonometrica ed una tangente ad arco dell’angolo 40,87. “Fatalità”, l’apice della piramide si trova esattamente sul 40,87mo grado di latitudine di Marte, come se le coordinate della sua posizione siano codificate nella sua intrinseca geometria. Una geometria che lo stesso Hoagland ha definito tetraedrica.

A tale conclusione il ricercatore vi è giunto grazie al lavoro svolto dallo studioso Stan Tenen, che da più di vent’anni si occupa dei simboli geometrici che appaiono nei testi antichi.

Tenen è riuscito a trovare le basi della geometria che sarebbe all’origine della costruzione della piramide di D&M attraverso la geometria sacra degli antichi templi terrestri quali Teotihuacan (Messico), Giza (Egitto), Stonehenge (Inghilterra), etc. Infatti se si posiziona un tetraedro, cioè una piramide triangolare, con la punta rivolta al polo Nord di una sfera, gli angoli la toccano nella fascia di 19,5° di latitudine.

Ebbene, numerosi templi antichi della Terra sono collocati sulla fascia di 19,5° di latitudine e così anche grosse strutture geologiche come ad esempio i vulcani delle isole Hawaii. Inoltre va aggiunto che anche la famosa macchia rossa di Giove, i vulcani spenti di Venere, il grande vulcano Olympus su Marte, la macchia scura di Nettuno e la porzione più ampia delle macchie solari si trovano tutti a 19,5° nord o sud di latitudine.

Per non appesantire l’argomento, abbiamo deciso di tralasciare le altre tematiche esposte da Hoagland nei suoi studi. Ci limitiamo ad osservare come egli non si limiti a trovare numerossissime ed impressionanti “coincidenze numeriche” che legherebbero le strutture di Marte, ma si spinge ad identificare in questi particolari punti terresti delle possibili fonti di energia magnetica, collegate a porte spazio-temporali… con un legame, a loro volta, col fenomeno (tutto terrestre?!?!?) dei “cerchi nel grano”! Per chiunque fosse interessato ci può contattare.

-Le missioni fallite e le spedizioni “Phobos”

Alla fine di agosto 1993 i mass media annunciarono con grande risalto che la sonda spaziale americana Mars Observer, giunta proprio in quei giorni nei pressi di Marte, aveva improvvisamente e inspiegabilmente interrotto i contatti con la propria base sulla Terra (Pasadena, California).

Ogni tentativo di ripristinare la comunicazione si era rivelato inutile; la sonda doveva considerarsi definitivamente perduta. Mars Observer era costato 980 milioni di dollari (circa 1600 miliardi di lire) ed avrebbe dovuto mappare la superficie marziana, grazie ad apparecchiature sofisticate, capaci di rilevare fino ad un metro e mezzo di grandezza. Tutto ciò in preparazione dello sbarco umano sul pianeta previsto entro il 2020.

Gli esperti della NASA dichiararono di non capacitarsi della improvvisa interruzione di contatto. Qualcuno parlò di guasto di un transistor di bordo, altri di esplosione, altri ancora di collisione con un corpo siderale (meteorite).

Alcuni autorevoli studiosi di Marte, quali ad esempio Mark Carlotto (specialista in elaborazioni fotografiche), Tom Van Flandem (astronomo della Yale University), David Webb (membro della commissione spaziale presidenziale), e lo stesso Richard Hoagland presero questo come pretesto per accusare pubblicamente la NASA di aver sabotato la missione di proposito, o di far finta che la missione fosse finita, allo scopo di nascondere al grande pubblico quello che la sonda avrebbe potuto rilevare sulla superficie del pianeta rosso.

Nel mese di luglio del 1988, poi, grazie ad una notevole partecipazione internazionale, l’ex-Unione Sovietica inviò verso Marte due sonde denominate Phobos 1 e Phobos 2. Il compito principale di entrambe le missioni era di fotografare la superficie del pianeta, raccogliere dati e successivamente proseguire verso Phobos, una delle due lune di Marte.

Sfortunatamente la prima sonda era sfuggita al controllo a causa di un errore d’immissione di dati nel computer di bordo. Phobos 2, invece, era riuscita ad arrivare sino a Marte, nel gennaio del 1989, ed a collocarsi nella sua orbita prima di trasferirsi in un’orbita parallela con la luna marziana. Infatti l’obiettivo principale era quello di sondare dettagliatamente la piccola luna con sofisticate apparecchiature, di cui alcune da collocare sulla stessa superficie.

Tutto sembrava procedere regolarmente fino a quando la sonda non si allineò con il piccolo satellite. In effetti, il 28 marzo, il centro di controllo della missione sovietica annunciò di avere improvvisi problemi di comunicazione con la navicella.

Gli stessi organi d’informazione sminuirono la gravità dell’evento affermando che si stava operando in tutti i modi per ripristinare i contatti con la sonda spaziale. Ma in realtà gli scienziati americani ed europei associati al programma vennero informati attraverso canali non ufficiali dell’effettiva natura del problema; fu detto loro che l’interruzione delle comunicazioni era stata causata da un errato funzionamento di un’unità di trasmissione.

Il giorno successivo, però, mentre l’opinione pubblica veniva rassicurata che i contatti sarebbero stati ripristinati, un alto ufficiale della Glavkosmosa, l’agenzia spaziale sovietica, suggerì che in realtà non c’era nessuna speranza. La sonda Phobos 2 era al novantanove per cento persa definitivamente.

A questo punto un alone di mistero iniziò a calare sull’intera vicenda, ma venne ben presto squarciato quando iniziarono a trapelare, agli organi d’informazione, determinate notizie. In particolare, il 31 marzo, un noto quotidiano spagnolo, tramite un suo corrispondente da Mosca, pubblicò un dispaccio decisamente sorprendente. Il testo affermava che: “il notiziario televisivo Vremya aveva rivelato, il giorno prima, che la sonda spaziale Phobos 2, che stava orbitando attorno a Marte quando vennero interrotti i contatti, aveva fotografato un oggetto non identificato sulla superficie di Marte qualche secondo prima di perdere il contatto. Inoltre, continua il testo, gli scienziati definirono inesplicabile l’ultima fotografia trasmessa dalla sonda, in cui si vedeva chiaramente una sottile ellisse. Il fenomeno, era stato detto, non poteva essere un’illusione ottica perchè registrato con la stessa chiarezza sia da obiettivi a colori che agli infrarossi.

Una tale notizia aveva a dir poco dell’incredibile. Legittimi furono, a questo punto, i diversi interrogativi che nacquero in merito a tale dichiarazione. Quali immagini stava trasmettendo Phobos 2 quando si verificò l’incidente? Ma soprattutto, che cosa aveva causato la destabilizzazione della sonda, un’avaria tecnica o un agente esterno? Le risposte non tardarono ad arrivare.

Pressate dai partecipanti internazionali alla missione, che chiedevano chiarimenti sulla vicenda, le autorità sovietiche fornirono la registrazione della trasmissione televisiva che Phobos 2 aveva inviato nei suoi ultimi istanti, tranne le ultime inquadrature, effettuate pochi secondi prima che i contatti si interrompessero. Tale sequenza mostrava due evidenti ed insoliti particolari o meglio ancora due “anomalie”.

La prima era una rete di linee diritte nella zona equatoriale di Marte, alcune erano brevi, altre più lunghe, altre sottili, altre abbastanza larghe da apparire come forme rettangolari incise sulla superficie. La sequenza televisiva era commentata in diretta dal dott. John Becklake, del Museo Scientifico Britannico, il quale descriveva il fenomeno come sconcertante. Difatti i disegni visibili sulla superficie marziana erano stati fotografati non con il semplice obiettivo ottico delle sonde, ma con l’apparecchio ad infrarossi.

Quindi con uno strumento che fotografa gli oggetti utilizzando il calore che irradiano e non il solo contrasto di luci ed ombre che può agire su di essi. In poche parole la grande rete di linee parallele e di rettangoli, che copriva un’area di circa 600 Km quadrati, irradiava radiazioni termiche. Per di più era decisamente improbabile che potesse trattarsi di una sorta di irraggiamento naturale dovuto a geyser o a concentrazioni di elementi radioattivi sotto la superficie. In effetti sarebbe stato decisamente impensabile che un fenomeno naturale potesse produrre un disegno geometrico così perfetto.

Inoltre, ad un ripetuto e dettagliato esame, il disegno appariva inequivocabilmente artificiale. L’unico punto scuro, per lo scienziato, era il non saper esprimere un parere sull’effettiva natura di tale formazione. Per quanto concerne la seconda anomalia, rilevata dalla sonda, questa mostrava una sagoma scura che poteva essere descritta come una sottile ellisse con i margini molto netti, appuntiti invece che arrotondati. Inoltre i margini invece di essere confusi risultavano perfettamente netti contro una specie di alone sulla superficie di Marte.

Secondo il Dott. Becklake, l’ombra poteva appartenere solamente ad un oggetto collocato tra la sonda sovietica in orbita ed il pianeta. Difatti era possibile vedere l’ombra sulla superficie sotto di essa, inoltre l’oggetto era stato ripreso sia dalla macchina ottica che da quella agli infrarossi. Becklake spiegò che l’immagine era stata effettuata mentre la sonda si era allineata con Phobos ed aggiunse: “Hanno visto qualcosa che non avrebbe dovuto esserci, i sovietici non hanno ancora fornito l’ultima fotografia, e non possiamo immaginare di cosa si tratti”.

Tali fotografie non vennero rilasciate e pertanto, sul loro possibile contenuto, furono fatte solo ipotesi. Ci fu chi collegò quest’ombra ellittica alla presenza di un’astronave madre extraterrestre “parcheggiata” nel cielo di Phobos e fatta sparire all’istante tramite un impulso di energia; fatto sta che proprio dopo aver trasmesso verso terra questo fotogramma, la sonda scomparve “misteriosamente”.

Altri posero l’accento sulle anomalie della superficie di Phobos, tali da lasciare a dir poco perplessi gli scienziati sovietici. In effetti Phobos ha delle caratteristiche particolari che, già in passato, hanno portato diversi scienziati a supporre che si potesse trattare di un prodotto artificiale. Una delle principali peculiarità di Phobos è il fatto che trasgredisce la regola propria di tutti gli altri satelliti del sistema solare, cioè quella di girare, attorno ai loro pianeti più lentamente di quanto i pianeti stessi ruotino sul proprio asse.

La luna ad esempio, effettua un giro in un tempo in cui la Terra compie 27 rotazioni. Phobos, invece, effettua una vera gara di velocità con Marte; infatti il giorno sul pianeta rosso dura 24h e 37m, mentre la rivoluzione del satellite è di 7h e 39m. In effetti Phobos in tutto il sistema solare è l’unico satellite che presenti “l’anomalia” di una rivoluzione, come definiscono gli astronomi, retrograda.

Inoltre, la luce prodotta dalla luna marziana è troppo forte e brillante per essere un riflesso di materiale roccioso, il materiale che, normalmente, compone tutti i satelliti. Gli astronomi hanno ipotizzato molto sulla possibile spiegazione di quella luce ed alcuni di essi hanno concluso che si tratta di materia metallica. Ora nessun corpo celeste ha una superficie metallica, ma ce l’hanno i vettori spaziali ed i satelliti artificiali.

Guardando, inoltre, attentamente la superficie del satellite marziano non si può fare a meno di notare particolari solchi o segni di “strade” che proseguono dritti e quasi paralleli l’uno all’altro. La larghezza è quasi uniforme, tra i 230 e i 330 metri circa. La possibilità che questi “solchi” siano imputabili a fenomeni naturali, ad esempio scavati dall’acqua corrente o dalle raffiche di vento, è stata ampiamente esclusa, dato che su Phobos entrambe non sono presenti.

Tali “solchi” sembra che conducano o si diramino da un cratere che copre più di un terzo del diametro di Phobos e i cui margini circolari sono così perfetti da apparire artificiali. Difatti gli stessi scienziati sovietici hanno supposto che ci fosse, in generale , qualcosa di artificiale in Phobos a causa della sua orbita circolare quasi perfetta attorno a Marte, così vicina al pianeta da sfidare qualsiasi legge del moto celeste.

Phobos, ed in qualche modo anche Deimos, avrebbero dovuto avere orbite ellittiche tali da averli lanciati nello spazio o fatti precipitare su Marte, già da diverso tempo.

Da qui alcuni studiosi hanno pensato che la causa di questa accelerazione fosse dovuta al fatto che il pianeta era più leggero di quanto si potesse supporre! Il fisico I.S. Shklovsky, nel 1959, suggerì un’incredibile ipotesi: Phobos, al suo interno, doveva essere cavo. E poiché nessun corpo cosmico poteva essere cavo, bisognava concludere che Phobos fosse di origine artificiale.

Lo scienziato sovietico non è stato l’unico a proporre un’ipotesi del genere; altri scienziati sovietici hanno ipotizzato sulla possibile origine artificiale di Phobos, frutto, probabilmente, di una razza di umanoidi estinti milioni di anni fa. Inevitabili e scontate furono le critiche mosse contro tale ipotesi, ma in un rapporto dettagliato, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica “Nature”, si menzionava la recente scoperta del fatto che Phobos era molto meno denso di quanto si supponesse.

In effetti, l’interno della luna marziana doveva essere costituita di ghiaccio, oppure vuota. Inoltre, sempre nel rapporto, erano menzionati anche i famosi e “misteriosi” solchi.

Questi ultimi erano definiti gallerie, le cui pareti sarebbero costituite da un materiale più brillante della superficie della luna. Ma la vera notizia sbalorditiva che determinò sconcerto, fu l’apparizione sul satellite di nuove gallerie. In effetti nell’area ad ovest del grosso cratere erano comparse nuove “scanalature” o “strade” che non erano presenti quando il Marineer 9 e le Viking effettuarono le foto della piccola luna marziana.

Dato che su Phobos non esiste attività vulcanica, non ci sono tempeste di vento, nè pioggia, nè acqua che scorre, in che modo si sono originate queste nuove “scanalature”?. L’origine, probabilmente, era da imputarsi alla stessa causa o movente che portò alla “misteriosa” perdita delle due sonde spaziali sovietiche e, successivamente ed in modo ancora più insolito, di quella statunitense, il Mars Observer.

– L’altra faccia della medaglia: le speculazioni folli

Negli anni Ottanta cominciavano a circolare delle foto palesemente contraffatte che mostravano alcune statue greche del dio Marte adagiate sulla superficie del pianeta e tuttora negli Stati Uniti e’ in vendita una videocassetta intitolata “Alternativa Tre”, che racconta, come un documentario, di un presunto sbarco segreto russo americano su Marte nel 1962. Scopo della missione sarebbe stata la costruzione di una cittadella capace di ospitare un numero ristretto di persone (scienziati, politici e militari) scampati alla morte del nostro pianeta a causa dell’effetto serra.

Il documentario, una burla televisiva organizzata nel 1977 dalla tv inglese Anglia, ha infiammato gli animi dei cultori del mistero al punto che, nonostante la smentita dell’emittente, da allora circolano in Inghilterra e America libri che presentano come vera l’intera storia e persino costosissime copie pirata del programma, in videocassetta.

Quanto alla sfinge marziana, cosi’ si è espresso il giornalista italiano Giovanni Caprara, responsabile della sezione astronomica del Corriere della Sera, riguardo alla perdita del Mars Observer: “La perdita della sonda per Marte e’ stata una grandissima delusione, non imputabile certo ad alcun boicottaggio. Si e’ scoperto cosa e’ successo. Si e’ trattato di un fatto di estrema banalità.

Tutto e’ dipeso da un difetto del sistema di propulsione, il guasto di una valvola che non era stata collaudata e che ha cominciato a perdere gas durante il viaggio verso Marte. Al momento dell’accensione del motore principale la sonda, satura di gas, e’ esplosa.

Quanto alla sfinge marziana, non ho un’opinione, ma solo una sensazione ricavata dall’esame delle foto che ci sono arrivate attraverso le sonde: ritengo che ci voglia molta fantasia per affermare con certezza, come taluni fanno, che si tratti di un manufatto prodotto dall’azione intelligente di qualche essere.

Ma se vogliamo essere pragmatici, non occorre molto per smantellare delle convinzioni che sono legittime se personali, un po’ meno quando si vuole convincere la gente a tutti i costi. Basta guardare con molta umiltà la successione di immagini sulle quali la presunta sfinge compare con una illuminazione diversa per rendersi conto che si tratta di un’illusione ottica, un’illusione tanto bella quanto irreale…”.

Vanno inoltre evitati tutti i tentativi di spettacolarizzazione dell’avvenimento, proprio per evitare quello a cui si arrivò negli anni ’80, quando sui giornali di tutto il mondo furono pubblicate le notizie piu’ fantasiose.

Secondo lo scrittore viennese Walter Hain la sfinge di Cydonia sarebbe l’esatta replica del volto della Sindone. Hain, oltre a riscontrare un’affinita’ fonetica fra Cydonia e Sindone, ritiene di scorgere sulla fronte del marziano i fori della corona di spine di Cristo!

Altri entusiasti hanno riconosciuto nel volto alieno le fattezze di Kennedy o di Elvis Presley. Tutta da verificare è anche l’ipotesi di presunti legami tra Marte e la terra d’Egitto (nata dopo la visione di una nuova foto in cui compariva una “sfinge” identica al volto di Cydonia, con addirittura un danno al naso molto simile a quello che si riscontra nella sfinge di Giza in Egitto); ancora, all’altezza del polo sud marziano venivano identificate una serie di rovine ciclopiche che ricordavano una citta’ incas.

Secondo Hoagland ci sarebbero molte similitudini (invero discutibili) fra le piramidi marziane e quelle egiziane, per forma, misure ed orientamento. Non per niente Il Cairo, in arabo, significa Marte. L’idea che un’antica e forse perduta civilta’ abbia colonizzato Marte, per poi emigrare nell’antico Egitto, come nel film Stargate, ha preso particolarmente corpo agli inizi degli anni Ottanta. Lasciamo al futuro l’ultima parola…

– La prova della vita su Marte

Dopo aver esposto gran parte delle argomentazioni uscite negli ultimi anni su Marte, ci sembrava opportuno concludere dandovi notizia di quello che possiamo definire “l’ultimo filone di ricerca” concernente la probabile esistenza di vita sul pianeta rosso, ipotesi quest’ultima molto meno fantascientifica, forse meno spettacolare, ma sicuramente più concreta.

Un gruppo di ricercatori americani del Johnson Space Center ( JSC ) e della Stanford University ha trovato gli indizi della possibile esistenza di forme di vita primitive, vissute più di 3,6 miliardi di anni fa sul pianeta Marte. La ricerca, finanziata dalla NASA, ha portato al ritrovamento di molecole organiche complesse, probabilmente di origine marziana; di minerali prodotti da attività biologica e forse di microscopici fossili di organismi primitivi simili a batteri, all’interno di una roccia marziana caduta sulla Terra come meteorite.

Il ritrovamente è stato fatto in realtà molti anni addietro: il meteorite, denominato ALH84001, fu trovato infatti nel 1984 in Antartide, durante la spedizione annuale del programma di ricerca di meteoriti della National Science Foundation.

E’ stato conservato per le analisi nei laboratori del JSC e la sua possibile origine marziana non è stata rilevata fino al 1993.

E’ uno dei 12 meteoriti la cui composizione è simile a quella rilevata dalla sonda Viking sul suolo marziano nel marzo 1976. ALH84001, con un’età tre volte superiore, è il più antico dei 12 meteoriti marziani.

La roccia ignea del meteorite, delle dimensioni di una patata e del peso di 2 kg, risale a 4,5 miliardi di anni fa, quando Marte si stava formando. Si ritiene che la roccia abbia avuto origine sotto la superficie marziana e sia stato intensamente fratturato da impatti meteorici che, nelle prime fasi della formazione del sistema solare, hanno colpito intensamente i pianeti.

Tra 3,6 e 4 miliardi di anni fa, il tempo necessario a rendere il pianeta più caldo ed umido, si pensa che l’acqua sia penetrata nelle fratture della superficie rocciosa ed abbia formato un sistema idrico sotterraneo.

Poiché l’acqua era satura di biossido di carbonio di cui era ricca l’atmosfera marziana, minerali a base di carbonio furono depositati nelle fratture in cui filtrava l’acqua. In seguito, circa 16 milioni di anni fa, un enorme cometa o un asteroide colpirono Marte, lanciando in aria il frammento di roccia con forza sufficiente a farlo sfuggire all’attrazione gravitazionale del pianeta.

Dopo aver vagato nello spazio per milioni di anni, 13.000 anni fa incontrò l’atmosfera terrestre, cadendo nell’Antartide come meteorite.

“Non abbiamo ancora nessun elemento che ci porti a concludere che questa è la prova definitiva dell’esistenza di forme di vita nel passato di Marte. Piuttosto si tratta di una serie di coincidenze”

ha dichiarato McKay, uno dei planetologi del JSC. “La scoperta dei ricercatori della S.U. è importante, tra l’altro, per la scoperta di presenza di molecole organiche, composti carboniosi che sono la base della vita; e diversi minerali, poco comuni, che sappiamo prodotti anche sulla Terra da organismi microscopici primitivi.

Strutture simili a microscopici fossili avvalorano queste ipotesi inoltre, e questa è una delle prove più evidenti, la presenza di tutte queste caratteristiche in uno spazio microscopico. “Non diciamo che sia la prova conclusiva, diamo alla comunità scientifica i nostri risultati per ulteriori ricerche, verifiche, cambiamenti e, nel caso, critiche e disapprovazioni, come parte di un processo scientifico in atto. “Quella cui siamo arrivati è l’interpretazione più ragionevole e la sua natura è così estrema che potrà essere accettata o respinta solo dopo che altri ricercatori avranno confermato o meno i nostri risultati” aggiunge McKay.

Dalle ricerche effettuate non sarebbe da escludere la partecipazione di organismi viventi alla formazione dei carbonati, alcuni dei quali potrebbero essersi fossilizzati, in un processo simile a quello che ha portato alla formazione dei fossili calcarei sulla Terra .

Si tratta del piccolo frammento di carbonato in cui i ricercatori ritengono di aver trovato un numero di prove sufficienti a portare alla conclusione predetta. I ricercatori della SU non hanno faticato a trovare quantità rilevabili di molecole organiche denominate idrocarburi policiclici aromatici ( PAH ), concentrate vicino ai carbonati. I ricercatori al JSC hanno trovato composti minerali associati generalmente alla presenza di microorganismi e di possibili strutture fossili.

Il più grande dei possibili fossili ha una dimensione pari ad 1/100 del diametro di un capello umano, la maggior parte ha le dimensioni di 1/1000 di capello umano, piccoli al punto che circa migliaio di questi, disposti in fila indiana, troverebbero posto nel punto che chiude questa frase. Alcuni hanno forma ovoidale, altri tubolare; come aspetto e dimensioni sono estremamente simili ai microscopici fossili dei più piccoli batteri ritrovati sulla Terra.

Molte delle scoperte effettuate dai ricercatori sono state rese possibili dai recentissimi sviluppi tecnologici nella microscopia a scansione elettronica e negli spettrometri di massa a laser.

Solo pochi anni fa, molte delle caratteristiche rilevate sarebbero state inosservabili. Benché studi precedenti di questo meteorite e di altri di origine marziana avessero dato esito negativo nella ricerca di possibili forme di vita, va considerato che furono condotte senza l’ausilio delle tecnologie utilizzate recentemente e quindi con basso potere d’ingrandimento.

La scoperta, avvenuta recentemente, di batteri terrestri di dimensioni estremamente piccole chiamati nanobatteri, ha dato al gruppo di ricercatori la spinta a ripetere il lavoro ma ad una scala molto più piccola che in passato.

I nove autori della ricerca sono McKay, Gibson e Thomas-Keprta del JSC; C. Romaneck della University of Georgia; H. Vali, della McGill University di Montreal, Quebec, Canada; Zare, S.J.Clemett, C.R.Maechling X.Chillier della Stanford University. Il gruppo di ricercatori comprende un’ampia varietà di esperti come microbiologi, esperti in minerali, tecniche di analisi, geochimica e chimica organica e le analisi condotte intersecano tutte queste discipline.

La composizione e la posizione delle molecole organiche dei PAH trovate all’interno del meteorite confermerebbero l’origine extraterrestre di quelle che i ricercatori ritengono siano state in passato forme di vita. Nessun PAH è stato trovato all’esterno della crosta del meteorite ma la concentrazione aumenta verso l’interno a livelli elevati e mai riscontrati in Antartide.

Vale la pena concludere come, nonostante la diversità di approcci fin qui osservati (fantascientifici per l’analisi delle immagini e scientifica per quella dei meteoriti), l’interrogativo, più che legittimo, venga sempre e solo posto in un’unica direzione: dove si nasconde la vita su Marte, o dove si è nascosta? La soluzione la si avrà forse tra 11 anni, in quel fatidico 2012, che prevede il primo sbarco umano sul pianeta rosso…

Alberto Musatti
Su gentile concessione di Acam.it

– Scheda riassuntiva delle missioni realizzate sinora:

MISSIONE  NAZIONE LANCIO  SCOPI  RISULTATI 
Mars 1 URSS 1/11/62 Incontro con Marte Persa a 106 milioni di km
Mariner 3 USA 5/11/64 Incontro con Marte Fallita
Mariner 4 USA 28/11/64 Incontro con Marte Riuscito il 14/7/65 con 21 foto
Zond 2 URSS 30/11/64 Incontro con Marte Fallito il ritorno dei dati planetari
Mariner 6 USA 24/2/69 Incontro con Marte Riuscito il 31/7/69, ricevute 75 foto
Mariner 7 USA 24/3/69 Incontro con Marte Riuscito il 5/8/69, ricevute 126 foto
Mariner 8 USA 8/5/71 Incontro con Marte Fallito durante il lancio
Mars 2 URSS 19/5/71 Orbiter e Lander 27/11/71 nessun dato utile
Mars 3 URSS 28/5/71 Orbiter e Lander 3/12/71 alcuni dati e poche foto
Mariner 9 USA 30/5/71 In orbita dal 13/11/71 al 27/10/72, ricevute 739 foto
Mars 4 URSS 21/7/73 Orbiter Fallita l’immissione in orbita
Mars 5 URSS 25/7/73 Orbiter Arrivato il 12/7/74, alcuni dati
Mars 6 URSS 5/8/73 Orbiter e Lander Arrivati 12/3/74, pochi dati
Mars 7 URSS 9/8/73 Orbiter e Lander Arrivati 9/3/74, pochi dati
Viking 1 USA 20/8/75 Orbiter e Lander Orbita: 19/6/76-1980 Lander: 20/7/76-1980, ricevute più di 50000 foto
Viking 2 USA 9/9/75 Orbiter e Lander Orbita: 7/8/76-1987 Lander: 3/9/76-1980
Phobos 1 URSS 7/7/88 Orbiter e Lander per Phobos e Marte Perso nell’8/88 durante il viaggio verso Marte
Phobos 2 URSS 12/7/88 Orbiter e Lander Perso nel 3/89 vicino a Marte
Mars Observer USA 25/9)92 Orbiter Perso poco prima dell’arrivo il 22/8/93
Marsd Pathfinder USA 4/12/96 Orbiter e Lander („sojourner“) Immesso in orbita il 4/7/97
Mars Global Surveyor USA 1996-2003 Orbiter e Lander Immesso in orbita il 12/9/97
Mars 96 RUSSIA 16/11/96 Orbiter e Lander Fallito durante il viaggio