Mezzi da sbarco a motore atomico?

Il Giornale OnlineInviata da skorpion75

Già il National Defense Authorization Act del 2008, firmato da Bush, aveva sancito che tutte le nuove portaerei, sottomarini e incrociatori della Marina Militare dovessero essere a propulsione nucleare.

Motivazione: «Il futuro della forza navale non deve essere dipendente dal carburante fossile per le operazioni. Eliminare la necessità di accesso a fonti di carburante fossile moltiplica l’efficacia di tutte le forze di battaglia».

Ma il Defense National Authorization Bill per il 2009 – votato con 384 voti contro 23 – aggiunge un elemento allarmante: dovranno essere a propulsione nucleare anche «i natanti anfibi d’assalto di linea». Insomma, i mezzi da sbarco, essi stessi affetti dal gigantismo progressivo dell’armamento americano: i LHD e LHA sono progettati con piattaforma porta-elicotteri e porta-aerei a decollo verticale; i più piccoli LPD portano veicoli pesanti, oltre che le truppe d’assalto (1). Ma soprattutto, si tratta di navi da guerra eminentemente «spendibili», soggette al tiro diretto e ravvicinato del nemico, dunque al danneggiamento quasi certo.

«Se uno di questi mezzi è colpito o ha un incidente, ciò che combatteremo sul bagnasciuga sarà una marea radioattiva, una contaminazione dai tempi indefiniti», ha notato Linda Gunter del Nuclear Policy Research Institute.

Persino la US Navy è allarmata: la propulsione nucleare aggiungerebbe 800 milioni di dollari al costo di un mezzo d’assalto, facendolo salire a 1,5 miliardi ad esemplare.

Non è contenta nemmeno l’industria cantieristica: solo due cantieri in USA sono autorizzati a costruire navi a propulsione atomica, e sono quelli della Northrop Grunman a Newport News (Virginia) e della General Dynamics Electric Boat a Groton, Ceonnecticut.

Si aggiunga che già oggi le navi da guerra a propulsione atomica sono escluse da molti porti internazionali, il che ne limita e non ne aumenta l’agibilità – almeno finchè non scoppia la Superguerra Finale: è a questa che si preparano gli Stati Uniti?

Forse, ma il motivo immediato della nuclearizzazione degli anfibi da sbarco è più meschino. A premere con successo in questo senso è un deputato democratico, Gene Taylor, che presiede la sotto-commmissione «Seapower and Expeditionary Forces» della Camera Bassa, all’interno della Commissione Forze Armate. Ora, per puro caso, nel collegio elettorale di Taylor in Misissippi c’è il più importante cantiere specializzato in mezzi da sbarco ed è di nuovo una «System facility» della Northrop Grunman con sede in Pascagoula.

Che dire? Il 16 gennaio 1961, nel lasciare la Casa Bianca, il presidente Eisenhower tenne un discorso d’addio spesso citato nei libri di testo, sul pericolo che un troppo potente complesso militare-industriale (fu lui ad usare per primo tale espressione) faceva pesare sulla società.

«La nostra organizzazione militare oggi ha poca relazione con quella che conobbe qualunque mio predecessore in tempi di pace… Siamo stati costretti a creare un’industria militare permanente di vaste proporzioni. Questa congiunzione di un immenso apparato militare e una grande industria di armamenti è nuova per l’esperienza americana. La sua influenza totale – economica, politica, anche spirituale – si sente in ogni città, in ogni ufficio del governo federale. Abbiamo l’obbligo di non mancare di comprendere le gravi implicazioni di questo fatto. Esso ha un effetto sul nostro lavoro, sulle risorse, sulla nostra vita quotidiana; anzi, sulla struttura stessa della nostra società.

Come governo, dobbiamo vegliare a che il complesso militare-industriale acquisti un’influenza indesiderabile, sia deliberatamente o sia senza volere. Esiste, ed esisterà, il rischio di un’ascesa disastrosa di una potenza mal impiegata. Non dobbiamo mai permettere che il peso di questa combinazione (militare-industriale) metta in pericolo le nostre libertà o la democrazia. Non dobbiamo dare nulla per assicurato. Solo una cittadinanza sveglia e informata può obbligare a mantenere un giusto equilibrio tra l’enorme apparato militare e industriale necessario alla difesa, con i nostri fini e metodi pacifici, in modo che ‘sicurezza’ e ‘libertà’ possano prosperare insieme».

Mai profezia fu così azzeccata. Il che dimostra l’inutilità delle profezie, perchè gli Stati Uniti sono proprio al punto storico paventato da Eisenhower: l’immane peso del complesso militare-industriale ha deformato la società – in senso economico ed anche spirituale – al punto che essa dipende dalla guerra come un tossicomane dipende dalla sua droga.

Non è solo che i membri del Congresso, come ha rivelato una recente indagine, hanno pesantemente investito i loro profitti personali nell’enorme industria della difesa; nè solo che il complesso militare-industriale è una lobby strapotente e quasi invincibile. Il fatto è che per la popolazione, i soli lavori serii rimasti in USA, i soli ad alto contenuto industriale e professionale, sono nella difesa; compiuta la de-industrializzazione a favore della Cina e dell’Asia, le forze armate sono ormai i massimi datori di lavoro, e di lavoro di un tipo ormai raro in USA: non precario e qualificato. Sono anche i centri principali della ricerca e dello sviluppo scientifico-tecnologico.

Sembra che l’americano medio abbia poca scelta fra impiegarsi nei «servizi» e l’industria militare; che la sua alternativa sia tra diventare tecnico dell’armamento, oppure cameriere e friggitore di hamburger. Di qui la natura strana, patologica, senza precedenti del militarismo americano. Che non ha nulla in comune col militarismo di tipo prussiano, nè tanto meno hitleriano; è un militarismo da società per azioni e da posto di lavoro; sempre più incompetente, inefficace, e senza sogni di gloria nè eroi; che abbandona i suoi soldati a se stessi (i militarismi del passato li glorificavano, onorando i reduci e assistendo i mutilati) e – tra l’altro – si rivela militarmente di scarsissima qualità, nonostante la spesa senza precedenti.

Per non parlare degli effetti delle «esternalizzazioni» a ditte di mercenari privati (altri «serii datori di lavoro»), con l’intorbidamento della catena di comando; o delle 16 agenzie di spionaggio con compiti militari segreti e oscuri, in cui la CIA è diventata l’armata privata presidenziale.

Non c’è nessuna futura Normandia, nè Jivo Jima, che richieda mezzi da sbarco atomici. Non c’è nessun avversario strategico, anche lontanamente pensabile, che giustifichi l’allestimento di enormi mezzi da sbarco a propulsione atomica, nè la nuclearizzazione di tutte le immani flotte USA; non è che la necessità interna di far funzionare un’economia e una società che si sono identificati col il sistema militare industriale, al punto da sentire minacciata la loro sopravvivenza dalla pace.

E’ per questo che – come ha notato il sito belga Dedefensa – i candidati presidenziali, democratici o repubblicani senza distinzione, devono canterellare «Bomb, bomb, bomb Iran» come McCain, o promettere la «obliterazione dell’Iran» come Hillary Clinton (improbabile guerrafondaia, solo dieci anni fa), o almeno – come Obama – se parlano di un relativo disimpegno in Iraq, devono subito aggiungere che sarà per concentrare lo sforzo bellico in Afghanistan. E se Obama cala nei sondaggi, e perchè lo si sospetta poco incline alle guerre.

«Una posizione chiaramente anti-guerra è divenuta non solo impossibile nel sistema americanista; è divenuta impensabile… l’opposizione è ristretta alla discussione su ‘quale’ guerra condurre di preferenza. I neocon, con la loro isteria guerriera, più che influenzare e manipolare la potenza USA, hanno espresso un cambiamento fondamentale della psicologia di questa potenza» (2). Un cambiamento in cui «il bellicismo è divenuto il fondamento della politica USA, la sua espressione; un comportamento in sè, una politica in sè, al di là delle necessità imperialiste, strategiche e persino difensive. Ormai è un bisogno psicologico». E ancora: «Per il sistema, la guerra è il solo modo di battersi per ciò che considera la propria sopravvivenza».

Beninteso, la guerra è contro «un Nemico esterno assolutamente inafferabile per definizione, perchè il vero nemico si trova nel sistema stesso, nella sua decadenza destrutturante. La guerra è divenuta, per la psicologia americanista, un atto di sopravvivenza come la respirazione per un corpo umano».

Se queste espressioni sembrano esagerate, esse trovano agghiacciante conferma nel documento appena reso noto dal ministro Robert Gates, «US National Defense Strategy». In esso, la priorità assoluta per il futuro delle forze armate USA è indicata nella «lunga guerra» contro l’estremismo, a preferenze delle «sfide convenzionali» poste da Russia e Cina (3). Il lato tragico è che Gates ha posto questa priorità – la lotta senza fine contro il Nemico più inafferrabile – per uno scopo paradossalmente contrario: cercare di ridurre l’immane spesa del Pentagono per l’armamento bellico convenzionale.

Le armi da terza guerra mondiale Stato-contro-Stato si accaparrano già la parte del leone nell’enorme ed oscuro bilancio, ha spiegato Gates, mentre non ci sono «interessi politici che premono per le nuove esigenze» di guerra simmetrica e controguerriglia. Come abbiamo visto, i senatori favoriscono l’armamento eccessivo, con l’occhio ai loro collegi elettorali e alle attività militari-industriali che danno posti di lavoro; le industrie della difesa hanno interesse a vendere armi come i mezzi da sbarco a propulsione atomica, o F-16 e B-2 perchè quelle rendono profitti; insomma nel bellicismo da società per azioni le necessità strategiche passano in secondo e terzo piano; si fanno guerre per aumentare le vendite dei super-gadget letali e i fatturati, benchè oggi l’enorme potenza USA sia al disotto dei suoi compiti in Afghanistan ed Iraq, dove si combatte una guerra irregolare.

«Il pericolo non è che la modernizzazione sarà sacrificata per finanziare le capacità di reazione asimmetrica, ma che in futuro continueremo a trascurare proprio queste capacità», ha detto. Gates, che potrebbe essere ministro della Difesa anche con il prossimo presidente (chiunque sia), ha più volte criticato «la militarizzazione strisciante della politica estera», ed è tutto dire per un ministro della guerra.

Sta cercando disperatamente di restituire ad una misura in qualche modo razionale il proliferare del Pentagono, che in questi ultimi anni ha assunto sempre più compiti un tempo riservati ad enti civili. Ma anche lui è ridotto a scegliere «quale» guerra fare prima; anche lui deve rassicurare promettendo ciò che agghiaccerebbe un popolo normale, «la lunga guerra».

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1) Karl Grossman, «Nuclear-powered amphibious assault ships?», Counterpunch, 30 luglio 2009.
2) «Bourbiers pour un came», Dedefensa, 28 luglio 2008.
3) «New US defense strategy centers on long war», AFP, 31 luglio 2008.

fonte: http://www.effedieffe.com/content/view/4075/164/