Il mistero dell’energia oscura dietro la costante di Hubble

Il mistero dell’energia oscura dietro la costante di Hubble
Cortesia NASA - costante di Hubble
Cortesia NASA

Le ultime misurazioni del tasso di espansione dell’Universo, che accelera per effetto dell’energia oscura, mostrano discrepanze che mettono in crisi gli attuali modelli cosmologici. Se non emergeranno errori dalle nuove analisi dei dati occorrerà rivedere uno o più elementi della teoria, riabilitando la costante cosmologica introdotta da Einstein nella teoria della relatività generale, e poi rimossa, oppure ipotizzando che l’energia oscura abbia caratteristiche ancora più strane di quanto si pensa.

Il nostro universo si sta espandendo, e in ogni istante le galassie si allontanano l’una dall’altra più velocemente di quanto non facessero un istante prima. Gli scienziati sono a conoscenza di questa accelerazione dalla fine degli anni novanta, ma la natura dell’energia oscura che la determina rimane un mistero.

Ora, l’ultima misura della rapidità dell’espansione del cosmo infittisce ulteriormente la trama: l’universo sembra gonfiarsi più velocemente di quanto dovrebbe, anche tenendo conto dell’espansione accelerata causata dall’energia oscura. Gli scienziati sono giunti a questa conclusione dopo aver confrontato la nuova misurazione del tasso di espansione cosmica, noto come costante di Hubble, con il valore della stessa costante previsto sulla base dei dati riguardanti l’universo primordiale. Lo sconcertante conflitto, che era emerso in dati precedenti e che è stato confermato nel nuovo calcolo, implica che una o entrambe le misurazioni siano viziate da errori, oppure che l’energia oscura o qualche altro aspetto della natura agiscano in modo diverso da quanto ritenuto finora.

“Il dato di fondo è che l’universo sembra espandersi con una rapidità più elevata dell’otto per cento rispetto a quanto avveniva nella sua infanzia e rispetto alla sua evoluzione attesa”, spiega Adam Riess dello Space Telescope Science Institute di Baltimore, nel Maryland, che ha guidato lo studio. “Dobbiamo prendere questo dato maledettamente sul serio”. Riess e colleghi hanno descritto le loro scoperte, basate su osservazioni ottenute col telescopio spaziale Hubble, in un articolo sottoposto all’“Astrophysical Journal” e già pubblicato su ArXiv.

Un’increspatura di energia oscura

Una delle possibilità più interessanti è che l’energia oscura sia ancora più strana di quanto previsto dalle teorie oggi più in voga. La maggior parte delle osservazioni supporta l’idea che l’energia oscura si comporti come una “costante cosmologica”, un termine inserito da Albert Einstein nelle sue equazioni della relatività generale e successivamente rimosso. Questo tipo di energia oscura potrebbe derivare dallo spazio vuoto, che, secondo la meccanica quantistica, non è vuoto affatto, ma è invece pieno di coppie di particelle “virtuali” e rispettive antiparticelle che incessantemente compaiono e scompaiono. Queste particelle virtuali sarebbero dotate di un’energia, che a sua volta potrebbe esercitare una sorta di gravità negativa che spinge ogni cosa verso l’universo esterno.

La discrepanza sulla costante di Hubble, però, suggerisce che l’energia oscura potrebbe effettivamente cambiare nel tempo e nello spazio, causando potenzialmente un’accelerazione crescente del cosmo, invece di essere una forza costante verso l’esterno.

Una teoria chiamata quintessenza propone questo tipo di energia oscura postulando che essa non emerge dal vuoto dello spazio, ma da un campo che pervade lo spaziotempo e può assumere valori diversi in punti differenti.

Variabili Cefeidi nella galassia NGC 300 fotografate dai telescopi dello European Southern Observatory (ESO) (Cortesia ESO)
Variabili Cefeidi nella galassia NGC 300 fotografate dai telescopi dello European Southern Observatory (ESO) (Cortesia ESO)

Una spiegazione alternativa per la discrepanza è che esista un’ulteriore particella fondamentale oltre a quelle che conosciamo. In particolare, una nuova specie di neutrino, particella quasi priva di massa che si presenta in tre diverse varietà, potrebbe spiegare la divergenza nelle misurazioni della costante di Hubble. Se esistesse anche un altro tipo di neutrino, allora una quantità maggiore di energia totale dell’universo avrebbe preso la forma di una radiazione, invece che quella di materia. (I neutrini, poiché non sono quasi privi di massa, viaggiano a velocità prossime a quella della luce e quindi sono considerati come radiazione in questo calcolo). Mentre la materia si aggrega per effetto della gravità, un budget di radiazione più elevato avrebbe permesso all’universo di espandersi più rapidamente di quanto sarebbe stato altrimenti.

Queste sono solo due delle possibili implicazioni delle misurazioni. Un’altra opzione, per esempio, è che l’universo non sia piatto, come si ritiene, ma leggermente curvo. Se i fisici teorici sono eccitati da queste e altre ipotesi, gli scienziati impegnati negli esperimenti ritengono necessario in primo luogo cercare nelle misure gli errori che possano spiegare la divergenza . “Quello che non capiamo ha a che fare con la cosmologia oppure con i dati?”, si chiede Charles Bennett, ricercatore della Johns Hopkins University, non coinvolto nello studio, che ha lavorato sulla misurazione della costante di Hubble a partire dall’universo primordiale. “Uno delle due possibilità è molto più eccitante, ma credo che l’altra sia più probabile”.

Una scala per le distanze

Riess e il suo gruppo hanno calcolato quanto velocemente si espande l’universo confrontando le distanze di diverse galassie con il loro redshift, che misura di quanto la lunghezza d’onda della loro luce è stata dilatata dall’espansione dell’universo. Il calcolo delle distanze era un’impresa difficile che richiedeva una tecnica chiamata “costruzione di una scala delle distanze”. In primo luogo, con metodi affidabili hanno misurato le distanze delle galassie vicine, poi hanno utilizzato queste misure per calibrare le misurazioni delle stelle variabili all’interno delle galassie. Queste stelle, chiamate Cefeidi, si accendono e si spengono periodicamente e possono così servire come unità di misura cosmiche. Infine, i ricercatori hanno utilizzato le Cefeidi, che sono visibili solo nel cosmo relativamente vicino, per calibrare le misure di una classe speciale di esplosioni di supernova chiamata Tipo 1a. Queste supernove, esplodendo, producono una luminosità nota che permette agli astronomi di dedurre le loro distanze. Una volta ottenute misurazioni affidabili delle supernove vicine, i ricercatori le hanno potute confrontare con supernovae più lontane dello stesso tipo per ottenere stime molto accurate delle loro distanze.

Questa è essenzialmente la stessa tecnica che Riess e colleghi hanno utilizzato negli anni novanta per ottenere la prima prova dell’espansione accelerata dell’universo, una scoperta che è valsa a lui e ad altri due ricercatori il Premio Nobel per la fisica. Nel 2011 il gruppo ha condottoto una misura aggiornata della costante di Hubble sulla base di otto galassie contenenti sia Cefeidi sia supernovae di Tipo 1a, ma il nuovo articolo ne ha aggiunte altre dieci. “Per ciascuna di quelle dieci galassie, abbiamo fatto circa 12 differenti osservazioni su un arco temporale di circa 100 giorni: è stata un’impresa”, ha spiegato Samantha L. Hoffmann, della Texas A&M University, che ha analizzato gran parte dei dati. La misura più recente stabilisce che il tasso di espansione dell’universo è 73,02, più o meno 1,79, chilometri al secondo per megaparsec (circa 3 milioni di anni luce): ciò significa che, per ogni megaparsec di allontanamento, lo spazio si sta espandendo di circa 73 chilometri al secondo più velocemente.

Guardando indietro nel tempo

La misurazione della costante di Hubble dall’universo primordiale, d’altra parte, proviene da osservazioni del fondo cosmico a microonde, la radiazione che è rimasta dal big bang e che pervade l’intero cielo. Per arrivare alla costante di Hubble, i ricercatori hanno studiato la struttura del fondo cosmico e hanno estrapolato i valori delle epoche moderne, in base alle più note leggi cosmologiche. Le migliori osservazioni finora del fondo cosmico a microonde sono state effettuate dal satellite Planck dell’Agenzia Spaziale Europea, i cui dati stimano il tasso di espansione dell’universo in 67,3, più o meno 0,7, chilometri al secondo per megaparsec.

“In precedenza, tra le due misure si evidenziavano alcune incongruenze”, dice Dan Scolnic dell’Università di Chicago, membro del gruppo di Riess. “Ora sia il nostro gruppo sia il gruppo di Planck hanno rianalizzato i dati e quegli indizi sono diventati qualcosa di più: è un campanello d’allarme che la faccenda potrebbe essere più grossa, e riguardare la più grande incongruenza presente oggi nella cosmologia”.

Il satellite Planck dell'Agenzia spaziale europea e sullo sfondo la mappa del fondo cosmico a microonde prodotta con i suoi dati (Cortesia ESA)
Il satellite Planck dell’Agenzia spaziale europea e sullo sfondo la mappa del fondo cosmico a microonde prodotta con i suoi dati (Cortesia ESA)

L’ultimo risultato è anche in buon accordo con le altre misurazioni della costante di Hubble basate su simili misurazioni della scala delle distanze, come per esempio quelle di uno studio del 2012 condotto da Wendy Freedman dell’Università di Chicago. È interessante il fatto che hanno aumentato la dimensione del loro campione e che il risultato è sostanzialmente invariato”, dice Freedman. “Essere a questo punto è frutto di uno spettacolare progresso, ma una misurazione definitiva a questo livello richiede metodi indipendenti; in ultima analisi, è davvero troppo presto per dire come si risolverà la faccenda”. Freedman sta guidando un progetto per eseguire lo stesso calcolo utilizzando un altro tipo di riferimento per le distanze cosmiche, le stelle variabili di RR Lyrae, invece delle Cefeidi.

Anche su fronte del fondo cosmico a microonde, i ricercatori continuano ad analizzare i dati e a cercare spiegazioni di ciò che potrebbe essere andato storto. Bennett, che ha guidato una missione di mappatura del fondo cosmico, chiamata Wilkinson Microwave Anisotropy Probe (WMAP), precedente a quella dell’esperimento Planck, sostiene che esistono discrepanze anche all’interno dei dati del fondo cosmico, per esempio tra ciò che i satelliti misurano guardando il cielo su piccola scala o su grande scala. “Prima di saltare alle conclusioni su questioni cosmologiche, mi piacerebbe prima di tutto capire queste cose”, spiega Bennett. Nel complesso, egli è entusiasta dei progressi fatti finora.

“Abbiamo passato anni e anni con un’incertezza sul valore della costante di Hubble di un fattore o due, e ora stiamo parlando di ridurla entro il due per cento”, conclude Bennett. “I termini che stiamo confrontando hanno una precisione notevole, e questo è un testamento per molte persone in questo campo di studi. Il messaggio è che non è finita: dobbiamo continuare a guardare avanti”.

Clara Moskowitz

(La versione originale di questo articolo è apparsa su scientificamerican.com l’11 aprile 2016. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)

lescienze.it