Multifrattali per capire come nascono le stelle

frattale
Mappe di nubi sintetiche ottenute per mezzo di simulazioni numeriche ed utilizzate per confronto con le caratteristiche morfologiche delle mappe osservate con Herschel.
Crediti: Elia et al.

In un articolo da poco apparso su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, Davide Elia dell’Inaf descrive i risultati dell’analisi multifrattale svolta sulle nubi molecolari in una porzione di piano galattico corrispondente alla Via Lattea esterna. I risultati mostrano come, grazie alla geometria frattale, sia possibile caratterizzare la struttura delle nubi interstellari, riscontrando sostanziali differenze tra regione e regione, con implicazioni dirette sulla formazione stellare.

Dove nascono le stelle? Sembrerà strano, ma la formazione di nuove stelle avviene all’interno delle nebulose più fredde e oscure presenti nelle galassie: le nubi molecolari. La gravità agisce su queste nubi convertendone una parte in nuove stelle, ma rimane ad oggi poco chiaro quale sia la correlazione tra la loro forma, la quantità di stelle che viene generata e la rapidità di questo processo.

Nel modellare l’aspetto delle nubi molecolari, insieme alla gravità, gioca un ruolo fondamentale la turbolenza del gas che le costituisce, per effetto del trasferimento di energia da grandi strutture verso scale sempre più piccole, un processo che ha, in principio, la caratteristica di presentare strutture simili qualunque sia la scala osservata.

La forma delle nubi insterstellari si presenta dunque estremamente complessa, frastagliata, e per descrivere strutture di questo tipo non è sufficiente la geometria euclidea. Ecco allora che viene in nostro aiuto la geometria frattale, che ci consente di trattare morfologie di questo tipo.

Davide Elia, dell’Istituto di Astofisica e Planetologia Spaziale di Roma dell’Inaf, non è nuovo a questo tipo di analisi, avendo già coordinato uno studio pubblicato su Astrophysical Journal – ne abbiamo parlato qui su Media Inaf – nel quale i ricercatori avevano analizzato le proprietà frattali delle nubi interstellari utilizzando le mappe ottenute nel lontano infrarosso dal satellite Herschel dell’Esa, nell’ambito del programma osservativo Hi-GAL.

L’Insieme di Mandelbrot, il frattale più famoso

È in questo solco che si inserisce questo nuovo studio. La sola dimensione frattale spesso non basta a caratterizzare i frattali naturali, che non vengono prodotti da una sequenza ben determinata, come avviene invece per i frattali deterministici (tanto per intenderci, quelle costruzioni matematiche cui appartengono le figure frattali che spesso adornano poster e screensaver), ma piuttosto da processi complessi in cui intervengono parametri casuali, o si sovrappongono strutture con dimensioni frattali differenti.

«Possiamo dire che una singola dimensione frattale non ci soddisfaceva più», ha detto Davide Elia a Media Inaf. «In svariati casi, nubi molto diverse alla vista possono avere la stessa dimensione frattale globale. Si presentano, cioè, casi di “degenerazione” che l’analisi multifrattale ci permette di dipanare e differenziare in modo più completo».

Ecco perché è stata introdotta, a partire dagli anni ’80, l’analisi multifrattale, un insieme di tecniche per lo studio di oggetti complessi, basate sul concetto di “dimensione frattale generalizzata”, oggi largamente impiegate in medicina, nelle scienze della Terra e persino nello studio degli andamenti dei mercati finanziari. «L’analisi multifrattale nasce dalla fisica dei sistemi non lineari ed ha un’impressionante varietà di impiego nelle più svariate discipline scientifiche» aggiunge Elia, «sarebbe davvero stato un peccato non testarla sulle osservazioni di Herschel, che costituiscono una vera miniera d’oro per lo studio a larga scala della struttura delle nubi molecolari fredde».

Utilizzando tale approccio il team guidato da Elia ha calcolato le caratteristiche multifrattali delle mappe ottenute mediante simulazioni numeriche di turbolenza interstellare, confrontandole con quelle delle mappe della survey Hi-GAL. Questo per cercare da un lato di comprendere quali modelli si avvicinino maggiormente ai dati osservativi, dall’altro di scartare come poco realistici quelli che più se ne discostano.

Analizzati sotto questa luce, alcuni modelli hanno denotato un comportamento completamente differente da quello delle osservazioni, mentre altri risultano quanto meno comparabili. Le differenze residue anche in questi casi, tuttavia, evidenziano la necessità di affinare ulteriormente i modelli teorici, in modo che le strutture che essi generano possano assumere caratteristiche morfologiche via via più simili a quelle effettivamente osservate nelle nubi interstellari.

Andamento della dimensione frattale generalizzata, calcolata in funzione di un parametro q compreso tra -10 e +10 per le sei aree di cielo analizzate in questo lavoro alle cinque lunghezze d’onda Hi-GAL (blu: 70 micron, celeste: 160 micron, verde: 250 micron, giallo: 350 micron, rosso: 500 micron), con l’aggiunta delle mappe di densità di superficie da esse derivate (magenta).
Crediti: Elia et. alt.

In definitiva, il concetto di dimensione frattale generalizzata non consiste altro che un ampio ventaglio di numeri per caratterizzare la struttura delle nubi interstellari, mai così ben rivelate nella loro componente più fredda (e in così gran numero) come nelle mappe Herschel. I ricercatori hanno riscontrato sostanziali differenze tra regione e regione, e soprattutto tra zone attive e quiescenti dal punto di vista della formazione stellare. Un primo passo sulla strada per un confronto diretto e quantitativo tra osservazioni e simulazioni numeriche, come ulteriore criterio per validare le seconde e imporre limiti osservativi ai modelli che verranno sviluppati in futuro.

Grazie all’analisi multifrattale sono state analizzate sei mappe della survey Hi-GAL, ciascuna in cinque differenti lunghezze d’onda, tra 70 e 500 micron, tratte da un’area del piano galattico appartenente alla parte esterna della Via Lattea, già studiata in passato e, come tale, già ben nota dal punto di vista delle sue caratteristiche. Tre di queste mappe corrispondono ad una regione di formazione stellare relativamente vicina ed abbastanza attiva, mentre altre tre corrispondono ad una regione più lontana e con una minor attività di formazione stellare.

Mappe a 250 micron delle sei zone di cielo analizzate. Il posizionamento e la spaziatura delle immagini rispecchiano esattamente la disposizione dei sei campi nel cielo, tra longitudine galattica 226.5° e 215.5° (crescente verso sinistra) e latitudine galattica tra -1° e 0°. Crediti: Elia et alt.

Il nuovo studio ha rilevato una netta differenza delle caratteristiche multifrattali sia – sistematicamente – al variare della lunghezza d’onda, sia – da mappa a mappa – a seconda della presenza di sorgenti compatte brillanti, corrispondenti a siti nei quali è in corso la formazione stellare, e della loro disposizione. Questo consente di operare un confronto tra differenti morfologie basato non su un solo parametro, la dimensione frattale, ma su un insieme molto più variegato di dimensioni frattali generalizzate, che permette di valutare differenze tra le diverse mappe in modo molto più fine e dettagliato.

«La multidisciplinarità è un aspetto non trascurabile di questo lavoro», conclude Elia «potrebbe in futuro consentirci di mettere a frutto anche in altri ambiti le tecniche da noi utilizzate».

Francesca Aloisio

media.inaf.it