Non chiamatela la grande Piramide di Cheope

grande Piramide di Cheope

Le prove contro la teoria ufficiale superano quelle a favore

Quando un navigatore curioso, con le migliori intenzioni, si dedica alla lettura in rete per comprendere come gli Egizi della IV Dinastia abbiano eretto la Grande Piramide, si imbatte inevitabilmente in una miriade di siti, ufficiali e non ufficiali, e deve districarsi tra tante ipotesi, alcune ardite, altre ridicole.

Se è fortunato, può scaricare il seguente studio: l’opera di Maragioglio (egittologo) e Rinaldi (ingegnere civile) dal titolo “L’architettura delle piramidi Menfite”(1), che nel 1965 dedicarono un intero volume alla Piramide di Cheope (Parte IV del loro lavoro di ricerca). Nella loro “nota preliminare”, scrivono testualmente: “Precisiamo innanzitutto che consideriamo questa piramide unicamente come tomba del re Cheope (Hwfw), secondo sovrano della IV dinastia. Non terremo quindi in alcun conto le deduzioni ed illazioni di Piazzi Smyth, dei fratelli Edgar, dell’abate Moreux e di altri che seguono le stesse linee di pensiero”. Ora, è vero che Smyth, Egar e Moreux non sono il massimo della credibilità, ma, capite bene che con una simile introduzione, tutto il lavoro di Rinaldi e Maragioglio nasce ingabbiato nei confini dell’egittologia classica.

All’inizio del libro c’è un accenno al trasporto dei monoliti della camera del re e della regina, che cito testualmente:
“Il problema della costruzione delle piramidi, e cioè dei mezzi e degli artifici usati per la loro erezione, è posto nella sua interezza da questo imponente monumento. Infatti fu necessario sollevare a grande e altezza blocchi di pietra di volume anche maggiore di 1 metro cubo e quindi pesanti oltre 2500 k g. Per non parlare dei travi di granito della cripta e delle camere di scarico e dei travi a contrasto della copertura della «camera della regina» e dell’ultima camera di scarico: alcuni di questi travi non pesano meno di 25.000 k g. e si trovano a più di 70 metri dal piede dell’edificio. Il problema, però, potrà essere discusso solo dopo aver studiato tutte le piramidi e quindi ci riserviamo di affrontarlo in una « Questione di ordine generale » alla fine dell’opera”.

Scorrendo le pagine fino a fine opera, pag. 185, troviamo il capitoletto “Questione di ordine generale”: con entusiasmo leggo tutto il paragrafo e scopro che parla dell’areazione delle camere interne. Cerco un altro paragrafo, ma purtroppo questo è l’ultimo: segue la bibliografia. Quindi nessun accenno al colossale problema di movimentazione in quota dei monoliti da decine di tonnellate.

In quasi 100 pagine di ricerca, troviamo accuratissime descrizioni geometriche corredate da dettagliate planimetrie e disegni (ben dodici tavole) ed indicazioni storiche, numeri, misure, nomi, etc. ma nessun disegno tecnico corredato da indicazioni di fisica e meccanica, nessun calcolo vettoriale, nessuna dimostrazione di tipo scientifico, etc.

All’interno di questa opera prestigiosa e punto di riferimento per molti studiosi del settore, si riassumono centinaia di informazioni sulla grande piramide, partendo sempre dall’assioma principale, fattore comune di tutte le ipotesi ufficiali ed accademicamente accettate: “Le piramidi di Giza sono state realizzate dagli Egizi della IV Dinastia”.

Ci si sarebbe aspettato un approccio multidisciplinare, grazie al contributo dell’ingegnere e architetto Rinaldi, purtroppo però, l’impostazione teorica del lavoro, è più simile ad un libro di storia/architettura che ad un libro di costruzioni/tecnologia. Questo esempio è importante per capire come, senza un approccio libero dall’assioma fondamentale, anche un prestigioso ingegnere (egittologo) e ricercatore di fama mondiale come Rinaldi, non possa giungere ad altre conclusioni se non quelle ufficiali.
Tornando al navigatore curioso di cui sopra, non esiste un sito autorevole che gli indichi con chiarezza tutte le tecniche di costruzione ufficialmente ritenute valide e quelle ritenute degne di approfondimento, quindi è facile imbattersi in informazioni a volte fuorvianti.

Che si parli di rampe a spirale, di rampe frontali, di malte cementizie, di rampe interne, etc., tutte le ipotesi si concentrano a spiegare come gli Egizi abbiamo portato in quota e posato la maggior parte dei 2.300.000 blocchi che costituiscono la Grande Piramide, ovvero quelli con peso contenuto sotto le 4 tonnellate (98% dei blocchi). A titolo di esempio, si riporta un disegno dove si evincono le proporzioni e le % dei blocchi:

Fig.2 (dal Libro “Nel Cantiere della Grande Piramide” M.V. Fiorini): il 10% dei blocchi ha un peso superiore alla tonnellata (per intenderci il peso di una Fiat Panda nuova a benzina); mentre solo il 2% supera le 4 tonnellate con picchi di 70 tonnellate. Il terzo blocco (in basso) rende l’idea della grandezza dei blocchi che costituiscono la Camera del Re: notate il disegno dell’uomo vicino al blocco per capire di cosa stiamo parlando.

In effetti, con i blocchi da 1-3 m^3 e da 1-3 tonnellate di peso, è possibile formulare diverse ipotesi plausibili, anche se alcune poco verosimili, a mio avviso. Il vero problema si pone quando andiamo ad analizzare “il cuore” della Grande Piramide: la cosiddetta “camera del Re”, costituita da monoliti in granito rosa di Assuan dal peso di decine di tonnellate. I blocchi che costituiscono il cosiddetto “Zed”, pesano circa 70 tonnellate secondo le stime più attendibili(2) e sono posizionati a circa 50 metri di altezza dalla base della piramide. Le immagini seguenti, danno indicazione sulle dimensioni e sul posizionamento del complesso “Zed”:

Un lettore che osserva per la prima volta le immagini sopra riportate, è subito colpito dalla complessità del sistema di camere e gallerie che si trovano all’interno della piramide a vari livelli. Una complessità che stupisce ancora di più se si pensa che si tratta di un edificio gigantesco, che risulterebbe già ultra-complesso se realizzato solo con blocchi da 1m^3; ci si domanda subito perché mai una civiltà appena uscita dal neolitico come quella Egizia della IV Dinastia, si sia complicata la vita con delle megastrutture monolitiche da decine di tonnellate a geometria complessa. La risposta ufficiale (camere sepolcrali) non convince, a mio avviso. Il metodo di analisi che trovo più utile in questi casi, consiste nel partire da dati reali che possano costituire una base di lavoro valida. Su questo argomento, è importante partire da esperienze certe e storicamente provate di trasporto di monoliti nelle antiche civiltà occidentali: esempi perfetti sono gli Obelischi Egizi che troviamo sia a Roma, sia in Egitto e che sappiamo di certo essere stati trasportati ad esempio dai Romani lungo il Nilo e poi nel Mar mediterraneo fino a Roma.
Nel mio articolo “Grande Piramide e Colosseo a confronto” (academia.edu) ho evidenziato le differenze di capacità tecnologica che separano l’Impero Romano da quello Egizio della IV Dinastia. Tenendo ben presente queste differenze, analizziamo la seguente tabella per quanto riguarda gli Obelischi che si trovano principalmente a Roma, con particolare attenzione alla pendenza del percorso di trasporto:

In questo caso, ho utilizzato una semplificazione di calcolo: avrei dovuto suddividere il percorso di trasporto di ogni obelisco, in una spezzata e calcolare la pendenza dei singoli tratti ed alla fine ottenere un valore medio, ma, essendo impossibile risalire al percorso di trasporto a distanza di 2000 anni, è sufficiente utilizzare l’altezza sul mare tra il punto di partenza ed il punto di arrivo, quindi tra la città che ospitava l’Obelisco ed il fiume Nilo (con il percorso più breve). L’ordine di grandezza dell’errore è irrilevante, perché l’obiettivo è dimostrare che il trasporto si svolgeva su terreno pianeggiante.

Dalla tabella, infatti, si evince che il percorso degli Obelischi dalla loro posizione originale fino al fiume Nilo, è un percorso con pendenze inferiori all’1 %, quindi pianura (se fosse stato anche il doppio, o il triplo, staremmo sempre discutendo di trasporto in pianura). Gli obelischi proseguivano sul Nilo e poi con le grandi navi romane appositamente costruite per il traporto degli Obelischi, lungo il Mediterraneo, fino al porto di Ostia. La pendenza tra Ostia e Roma è di circa lo 0,21%, quindi di nuovo pianura. Per quanto riguarda gli Obelischi ritrovati in Egitto, essi si ergono su città che distano pochi km dal fiume Nilo, e principalmente in tre città: Luxor, Heliopolis e Tebe (Karnak). Le pendenze da affrontare per il trasporto dal fiume al luogo di erezione sono tutte al di sotto del 1%, praticamente pianure.

Come fecero i Romani in epoca successiva e con tecnologie più avanzate, possiamo con ogni probabilità dire che anche gli Egizi affrontarono il trasporto degli Obelischi dalle cave di Assuan lungo il fiume Nilo e poi dalle sponde del fiume Nilo fino ai luoghi di erezione, sostanzialmente in pianura.
Ricapitolando, abbiamo i seguenti percorsi:
– Assuan – Nilo: percorso in pianura o addirittura a favore di pendenza
– Heliopolis – Nilo: pianura (andata per gli Egizi e ritorno per i Romani)
– Luxor – Nilo: pianura (andata per gli Egizi e ritorno per i Romani)
– Karnak – Nilo: pianura (andata per gli Egizi e ritorno per i Romani)
– Nilo – Mediterraneo: percorso a pendenza zero
– Ostia – Roma: pianura

Sia gli Egizi, sia i Romani, trovarono nella forma allungata degli Obelischi il vantaggio che gli consentiva di moltiplicare i punti di ancoraggio per facilitarne il tiro e la movimentazione. Se anche volessimo ipotizzare che gli Egizi delle Dinastie successive alla IV (dalla XII in poi) avessero movimentato gli Obelischi anche su pendenze maggiori, è indubbio che lo avrebbero fatto in condizioni di lavoro molto diverse da quelle del cantiere della Grande Piramide. Non abbiamo informazioni certe e sufficienti per spiegare come gli Egizi movimentassero gli enormi monoliti, ma abbiamo alcuni dipinti di epoca più recente che ci vengono in aiuto, come quello seguente:

Obelisco Vaticano(3): fu spostato al centro della piazza San Pietro (appena 200 metri di ‘cammino’),dove è posizionato oggi, sotto Sisto V , dopo incredibili lavori (che coinvolsero 400 carri trainati da quadrighe e migliaia di operai e facchini) coordinati all’architetto Domenico Fontana in tredici mesi dal settembre 1585 al settembre 1586. Venne eretta una colossale torre di legno, tenuta da corde e cerchi di ferro, che faceva da gabbia all’obelisco, mentre altre funi, tirate con argani e verricelli, sollevavano e muovevano l’imponente monolite dalla sua antica collocazione.

Considerando che la scoperta dell’acciaio è del XX secolo, possiamo dire che le operazioni di spostamento dell’obelisco Vaticano furono fatte sostanzialmente utilizzando la stessa tecnologia degli Egizi e dei Romani dell’età del Ferro. Con l’ausilio di 400 carri trainati da quadriglie e migliaia di operai, in uno spazio aperto vasto, gli ingegneri rinascimentali impiegarono più di un anno per spostare l’obelisco di appena 200 metri in pianura: questi sono gli ordini di grandezza in gioco quando si parla di monoliti che pesano decine di tonnellate. Dati reali, non speculazioni da scrivania (spesso fatte da letterati esperti di archeologia e storia, senza competenze di cantieristica).

Il più antico Obelisco(4) si trova ad Eliopoli (al-Maṭariyyah) e appartenne a Zenwósre I, dinastia XII del Faraone Amenemhat I, 1991 – 1962 a.C.. Quindi la storia degli Obelischi monolitici in Egitto nasce ufficialmente a fine età del Bronzo, inizio età del Ferro. All’epoca della V Dinastia abbiamo notizie di un “obelisco tozzo” fatto in muratura: l’obelisco di Abusir(5) databile intorno al 2400 a.C.

Risulta subito chiara una prima grande anomalia: la IV Dinastia ancora una volta (come dimostrato nell’articolo “L’anomalia della settima meraviglia” academia.edu) rappresenta un’anomalia storico-tecnologica in quanto sarebbe stata in grado di realizzare opere ingegneristiche al di sopra delle proprie capacità tecnologiche ufficiali ed in largo anticipo rispetto alle Dinastie successive.

Ed oggi, nel 2017, come le trasportiamo noi, uomini ultratecnologici, tonnellate di peso su rampe inclinate? Nelle cave e nei cantieri edili, si usano mega-grù che sollevano, non trainano (né ovviamente trascinano).Un’esperienza personale però, ci da lo spunto per una riflessione che potrà aiutarci. L’analisi comparativa che segue, nasce da una fortuita coincidenza: qualche settimana fa ho utilizzato la linea ferroviaria a cremagliera che porta da Torino alla basilica di Superga, denominata “La Tranvia a Dentiera Sassi-Superga”; si tratta di una linea tranviaria inizialmente mossa con motore esterno e funi, trasformata nel 1934 in tranvia a dentiera con trazione a rotaia centrale ed oggi, nel 2017, completamente ripristinata, offre ai visitatori un viaggio d’altri tempi sulle carrozze originarie. Proprio questo aspetto, mi ha consentito di notare alcuni dettagli molto importanti durante il viaggio.

Il percorso si sviluppa per 3.100 metri tra la stazione di Sassi (sita a Torino in piazza Modena, a 225 metri s.l.m.) e la stazione di Superga (a 650 metri s.l.m.). Il dislivello totale di 425 metri è superato con una pendenza media del 13,5%, con punte massime del 21% nel tratto finale tra Pian Gambino e la Stazione di Superga.
Il “convoglio” è formato solo da due carrozze: una motrice ed un vagone, di seguito riporto alcune foto:

Il treno è dotato di un motore elettrico a corrente continua con tensione di lavoro di 600 V (tipico di quei tempi). La mia fortuna è stata essere alle spalle del macchinista ed accorgermi che, ben in vista, vi erano in cabina un voltmetro ed un amperometro:

Cabina di comando

 

cheope
Voltmetro e Amperometro

I valori letti al momento in cui ho scattato la foto sono i seguenti:
– Tensione V= 580 Volt
– Corrente A= 600 Ampere
La potenza P erogata dal motore è nota ed è il prodotto tra tensione e corrente:
– Potenza P = V * A = 580 * 600 = 348 kW = 473 cv
Anche se l’unità di misura della potenza del S.I. è il Watt, in questa analisi è più utile esprimere la potenza in cavalli vapore (cv): stiamo quindi parlando di circa 473 cavalli.

Grande Piramide
Tachimetro

E’ ora importante capire quante tonnellate sta trasportando il motore elettrico, a quale pendenza ed a quale velocità. Per la pendenza ho utilizzato un metodo “empirico” moderno: inclinometro App su Android; ho quindi lanciato l’App ed ho appoggiato il cellulare sul pavimento della carrozza, mentre per la velocità mi è bastato allungare lo sguardo al tachimetro del macchinista.
Per quanto riguarda il peso, la situazione è stata un po’ più complicata.

Vagone unico (senza motrice)

Dalla seconda foto si può notare la tara del vagone unico: 9,4 tonnellate.
Il problema è sorto con la motrice, perché non riportava alcuna scritta; ho dovuto quindi “interrogare” i macchinisti ed il capo treno che si sono con gentilezza messi a disposizione indicandomi il peso della motrice in almeno 11 tonnellate. Al momento della mia misurazione ho contato nella carrozza motrice 38 persone ed altrettante circa nel vagone. (approssimativamente, perché in fase di ingresso alla stazione Sassi, hanno prima riempito il vagone e poi la motrice dove sono salito io) per un totale di circa 80 persone.

Riepilogando, abbiamo:
– Inclinazione: 12,8°
– Peso totale trasportato: 27.000 kg (sommando 9.400 kg vagone, + 11.200 kg motrice + 6.400 kg passeggeri, stimando un peso medio passeggero di 80 kg)
– Velocità: 16 km/h (costante per quasi tutto il tragitto)
Con questi dati a disposizione, possiamo riassumere l’analisi nella seguente frase: per trasportare su rotaie un peso di circa 27 tonnellate lungo una rampa inclinata di circa 13° è necessaria una potenza motrice di circa 470 cavalli vapore per imprimere al carico una velocità costante di circa 16 km/h.

E’ necessario ora analizzare la definizione di cavallo vapore: la potenza necessaria per sollevare un peso di 75 kg alla velocità di un metro al secondo (ovvero 3,6 km/h). Notiamo subito che il nostro “esperimento” è stato condotto alla velocità di 16 km/h, quindi bisogna rapportare il numero di cavalli vapore per rispondere alla seguente domanda: quante tonnellate sarebbero stati in grado di trasportare 470 cavalli, se il convoglio avesse viaggiato a 3,6 km/h anziché 16 km/h?

A questo livello di approssimazione, possiamo utilizzare una semplice proporzione partendo dal fatto che se 470 cavalli riescono a spostare 27 tonnellate a 16 km/h, se diminuisco la velocità a 3,6 km/h possono trasportare più peso e precisamente il rapporto 16/3,6 che equivale a 4,44; pertanto ottengo il seguente valore: circa 120 tonnellate (questo ragionamento è supportato dal fatto che è sperimentalmente dimostrato che a minore velocità, un cavallo riesce a trainare più peso(6)).

Intuitivamente, si capisce che se il macchinista avesse dovuto trasportare circa 4 volte il peso che stava trasportando (120 tonnellate al posto delle 27 tonnellate), lo avrebbe potuto virtualmente fare solo diminuendo la velocità (essendo la potenza il rapporto tra il numero di giri del motore e la coppia motrice, a parità di potenza, diminuendo il numero di giri motore, quindi velocità del treno, deve aumentare la coppia motrice e quindi la capacità di trasportare più peso).

La nostra frase quindi si trasforma nella seguente: per trasportare su rotaie un peso circa 120 tonnellate lungo una rampa inclinata di circa 13° è necessaria una potenza motrice di circa 470 cavalli vapore per imprimere al carico una velocità costante di circa 3,6 km/h. La velocità di 3,6 km/h ci è molto utile perché è convenzionalmente accettata come la velocità di cammino di un uomo.

Il prossimo passaggio fondamentale è la trasformazione del valore di potenza da “cavalli vapore” a “uomini vapore”6: per rispondere a questa domanda consideriamo gli esseri umani dalle prestazioni più elevate, ovvero gli atleti di alto livello. I livelli più alti di potenza vengono raggiunti dai ciclisti. La potenza dell’atleta è calcolata moltiplicando la coppia (ovvero la forza applicata sui pedali moltiplicata per la lunghezza della pedivella) per la velocità angolare (numeri di giri motore, tornando a quanto sopra esposto). Il test viene effettuato su speciali biciclette da laboratorio, dette cicloergometri, dotate di sensori. I risultati sono sorprendenti: alcuni campioni riescono a sviluppare potenze massime di circa 1800 W, ovvero quasi 2,5 CV! Dobbiamo dunque credere che uno di questi atleti straordinari sia più potente di una pariglia di cavalli da tiro? In realtà non è così. Valori di potenza così elevati possono essere raggiunti dall’uomo solo per pochi secondi, mentre il valore di 745 W approssima la potenza media che un cavallo può fornire durante tutta una giornata di lavoro di 10 ore. Il valore massimo per questi animali è in realtà di circa 15 HP, ovvero oltre 11 000 W, ma può essere mantenuto per periodi molto brevi.

Pertanto il rapporto tra cavallo-vapore ed uomo-vapore è di 1 a 6 (11.000 W / 1800 W); la nostra frase quindi diventa: per trasportare su rotaie un peso circa 120 tonnellate lungo una rampa inclinata di circa 13° è necessaria una potenza motrice di circa 2.840 uomini (473 x 6) per imprimere al carico una velocità costante di circa 3,6 km/h. A questo punto, l’ultimo passo è rapportare i risultati ottenuti con motrice + vagone, al generico monolite di granito rosa che costituisce la camera del Re che pesa circa 70 tonnellate, invece che 120 tonnellate. Con una semplice proporzione, otteniamo la frase finale: per trasportare su rotaie un peso circa 70 tonnellate lungo una rampa inclinata di circa 13° è necessaria una potenza motrice di circa 1.650 uomini per imprimere al carico una velocità costante di circa 3,6 km/h.

Questi sono i dati, al netto di alcune imprecisioni ed approssimazioni (ad esempio errori di misurazione, rendimento del motore elettrico, la coppia motrice realmente erogabile dal motore per il trasporto, etc.). Come per gli altri miei articoli, è importante capire le grandezze in gioco e l’ordine di grandezza dell’analisi: è infatti fondamentale capire la meccanica e la fisica del fenomeno ed individuarne un ordine di grandezza credibile e verosimile. Successivamente, andrebbero fatte prove di laboratorio in scala 1:1, ma occorrerebbero cospicui fondi, attualmente bloccati per altri scopi (ad esempio trovare altre mummie in giro per l’Egitto e studiarle nei minimi particolari). Ai più attenti non sarà di certo sfuggito un particolare di non poco conto: l’analisi suddetta è svolta per “trasporto su rotaie”, ma è noto che all’epoca della IV Dinastia, gli Egizi non conoscessero la ruota, né tutte le sue sfumature tecnologiche. Tutti gli studi ufficiali infatti parlano di “traino” su slitte. Se immaginassimo quindi di bloccare le ruote del convoglio e di trascinarlo

Simone Scotto di Carlo

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