Oltre le nuvole

Oltre le nuvole

Interpretazione clipeologica di un passo appartenente alla Prima lettera ai Tessalonicesi

Prima lettera ai Tessalonicesi

Nella Prima lettera ai Tessalonicesi 4, 15-7, si legge:

Vi diciamo questo nella parola del Signore, che noi i viventi, i rimasti sino alla venuta del Signore, non precederemo coloro che si sono addormentati: il Signore stesso, con grido, voce di Arcangelo e tromba di Dio, scenderà dal cielo e prima risorgeranno i morti in Cristo, poi i viventi, i rimasti verremo rapiti insieme con loro, nelle nubi, ad incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre con il Signore. 1

Il passo in esame è tratto da una delle quattordici lettere attribuite in età antica a Paolo (Shaul) di Tarso, il cosiddetto apostolo dei Gentili. 2 La critica riconosce come autentiche solo sette di questo corpus di epistole, tra cui la Prima lettera ai Tessalonicesi che è considerata risalente agli anni cinquanta del I secolo ed è perciò, insieme con gli altri scritti assegnati a Paolo, documento molto antico del Cristianesimo. 3

Nel brano Paolo asserisce espressamente di riferire un breve discorso del Signore. Prima di addentrarsi nel tema oggetto di questo breve articolo, è necessario inquadrare l’excerptum sotto il profilo dottrinale, poiché gli aspetti teologici risultano, in qualche modo, collegati all’interpretazione che intendo proporre. All’uopo riporto le osservazioni dello storico del Cristianesimo ed esegeta biblico, Mauro Pesce: “Il Signore di cui parla tre volte in questi versetti è certamente Gesù, non Dio. La parola greca kùrios “signore”, è usata nella traduzione in greco della Bibbia ebraica detta dei Settanta per designare Dio, ma Paolo adopera il termine chiaramente per Gesù, che, dopo la resurrezione è vivo ed è signore del mondo. È il Signore (Gesù) che ritornerà alla fine del mondo imminente (v. 15), è con il Signore (Gesù) che i credenti staranno quando saranno rapiti sulle nuvole alla fine. Paolo attribuisce a Gesù un insegnamento sulla fine del mondo che consta di diversi elementi di straordinaria importanza. In primo luogo, la fine avverrà abbastanza presto, durante la vita stessa delle persone che sono vive, mentre Paolo parla.

Alcuni di quelli che hanno creduto in Gesù sono già morti (si sono addormentati), ma la maggior parte degli altri è ancora viva, come Paolo stesso ed i Tessalonicesi cui scrive questa lettera (v. 15). Il Signore Gesù verrà, mentre essi sono ancora in vita e cioè tra non molto. Paolo attende una fine imminente: dice in modo esplicito che questa imminenza è stata annunciata da Gesù stesso… Alcune frasi attribuite a Gesù nei canonici sembrano tradire l’imbarazzo di fronte al fatto che egli aveva predetto una fine imminente di questo mondo che poi non era occorsa. Per questo sia il Vangelo di Matteo sia il Vangelo di Marco sembrano voler giustificare Gesù, asserendo che neanche lui poteva sapere il giorno della fine, perché solo Dio lo conosce: “Quanto poi a quel giorno o a quell’ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre.”( Eu. Marc. 13, 32; Eu. Matth. 24, 36).

Col tempo la chiesa primitiva dimenticò l’attesa di una fine prossima e, quando fu costituito il Nuovo Testamento, queste frasi della Prima lettera ai Tessalonicesi furono lette alla luce di altre affermazioni canoniche, per le quali la fine di questo mondo è ormai collocata in un futuro lontano. In secondo luogo, Gesù aveva descritto anche la scena della fine: si sarebbero uditi un comando, la voce di un arcangelo ed il suono di una tromba (v. 16)… A quel punto sarebbe apparso Gesù nel cielo sopra le nuvole. Paolo ci testimonia di una fase della trasmissione delle parole di Gesù in cui non si cercava di correggere ancora l’attesa di una fine imminente. Quindi è altamente probabile che egli ci trasmetta una visione delle concezioni di Gesù più attendibile di quella dei sinottici.” 4

L’interpretazione del passo che mi accingo ad esporre è di tipo clipeologico, ossia credo che, sulla base di una serie di riscontri e di osservazioni, nel brano si possa evidenziare il riferimento a presenze aliene nel passato. Anche se sia l’Antico sia il Nuovo Testamento sono già stati letti in un’ottica paleoastronautica da insigni studiosi, non mi consta che alcune affermazioni paoline siano mai state colte sotto questa particolare angolazione. 5Dunque questo breve contributo potrà costituire un completamento del lavoro biblico-clipeologico che è stato compiuto e si sta compiendo. Inoltre forse getterà un raggio di luce su capitoli e versetti della Bibbia, che sono già stati oggetto di un’esegesi siffatta. Sono conscio che un taglio di questo tipo applicato al testo sacro suscita ora l’indignazione di teologi ed esegeti che vedono profanato il tempio della religione da loro professata (Cristianesimo nelle sue varie confessioni, Ebraismo, Islam), ora il sorriso sprezzante di storici ed archeologi ortodossi, le cui acquisizioni hanno fatto progredire notevolmente gli studi biblici, ma che sono confinati nella splendida ma isolata torre eburnea della scienza (?) ufficiale. Con la consapevolezza di battere un sentiero erto e malagevole, ma con la convinzione che, prima o dopo, si aprirà una breccia nel muro della cultura (?) dominante, comincio la mia ricerca al confine tra analisi linguistica, cenni teologici e disamina clipeologica.

Pongo dunque sotto la lente d’ingrandimento alcuni vocaboli e sintagmi del brano, per collocarli in contesti da cui emergerà una valenza presumibilmente paleo-ufologica.

Quanto a “Signore” (kurios), sottoscrivo la spiegazione dell’insigne professor Mauro Pesce (cfr supra): qui il termine indica non Dio, ma il Messia, considerato da Paolo inferiore al Padre. L’apostolo lo concepisce come un essere superiore, sovrumano, che non identifica con il Creatore. 6

“Coloro che si sono addormentati” (tous koimethéntas) è un’espressione che induce a riflettere: al Cristianesimo primitivo è fondamentalmente estranea una fede nella sopravvivenza dell’anima dopo la morte. Il verbo greco koimao non lascia dubbi, poiché esso significa all’attivo “adagiare”, “porre a giacere”, “addormentare”; al medio “adagiarsi”, “riposare”, “dormire”. Paolo, che lo usa qui nella diatesi media, concepisce la morte come un sonno da cui i trapassati si ridesteranno il giorno non molto lontano in cui Gesù tornerà sulla terra. L’autore non si sofferma sullo stato delle anime dei defunti, semplicemente perché ignora il concetto di anima che risale al pensiero di Agostino d’ispirazione platonica. La visione paolina è, in un certo senso, materialista e rivela una forma mentis analoga a quella dei passi evangelici evocanti il Regno dei cieli, che non è, a dispetto della communis opinio, il Paradiso, ma un dominio tutto terreno in cui, secondo le attese escatologiche degli Ebrei seguaci del Messia, sarebbe trionfata la giustizia, nel segno di un restaurato Regno di David. 7

“Con grido, con voce di Arcangelo, con suono di tromba” (en keleusmati, en phoné Arkhangelou kai en salpingi) sono sintagmi apocalittici, cioè locuzioni che delineano lo scenario che accompagna la fine del mondo, secondo gli stilemi della letteratura apocalittica ebraica. Ingredienti simili arricchiti di teatrali scenografie si rintracciano all’interno di Rivelazione, l’ultimo libro del Nuovo Testamento, erroneamente dai più attribuito a Giovanni. 8

“Scenderà dal cielo” (katabesetai ap’ouranou) è una frase che può rivelare degli aspetti clipeologici: un enunciato come questo, a mio parere, in origine, valorizzato nella sua dimensione oggettiva, viene letto da teologi, fedeli e fruitori poco provveduti, oscurandone la dimensione realistica per esaltarne, in modo arbitrario, una presunta componente spirituale. Penso, infatti, che il cielo menzionato dall’autore sia proprio il cielo concreto, non una realtà metafisica. Paolo descrive l’azione di un essere che materialmente verrà giù dall’alto, come se viaggiasse in un mezzo spaziale in procinto di atterrare. La mentalità ebraica e quella romana, di cui l’uomo di Tarso, era compenetrato, era pragmatica e lo induceva a dipingere scenari realistici, alquanto lontani dalle speculazioni astratte della filosofia greca. Tali scenari solleticavano la sensibilità un po’ grossolana dei suoi uditori, gente incapace di comprendere concetti complessi, sottigliezze teologiche e più proclive ad apprezzare situazioni corpose, tangibili. Era gente avvezza ai riti ellenistici incentrati su rituali a volte cruenti, abituata a pensare a dèi che s’immolavano per l’umanità, che versavano il loro sangue per redimerla. Sangue, sacrificio, teofagia… erano queste le cose che i seguaci di Paolo comprendevano e non le sottili distinzioni tra realtà sensibile e realtà trascendente, tra materia e spirito, tra al di qua ed al di là. Anche il mondo ultraterreno era concepito per lo più come il perfezionamento e la trasfigurazione del mondo terreno e non come il totalmente altro.

“I viventi, i rimasti verremo rapiti insieme con loro” (oi zontes, oi perileipomenoi ama sun autois arpaghesometha). Di questo enunciato colpisce la forma verbale “verremo rapiti”, tesa a denotare un trasferimento improvviso, come se Paolo volesse descrivere una situazione in cui i discepoli del Messia, sia quelli miracolosamente risorti sia quelli vivi, infine sono prelevati dall’”Uomo delle stelle” e portati lontano dalla Terra nel pianeta da cui proviene Cristo, un pianeta in cui regnano l’amore, la giustizia, l’armonia, la pace. Il verbo greco “arpazo” ha una valenza icastica, poiché significa “rapire, strappare a forza, prendere in fretta, impadronirsi, ghermire”. Si adatterebbe al racconto di un rapimento operato da alieni, se il contesto non indicasse qualcosa di differente. Insomma, mutatis mutandis, l’apostolo, una sorta di contattista o contattato ante-litteram, preannuncia una condizione perfetta per chi ha creduto nel Signore.

Arriviamo ora alla parola-chiave del breve ma pregnante passo: nubi, (nephelai). È notorio che i ricercatori nell’ambito della paleoastronautica hanno visto nelle “nuvole” descritte specialmente in alcuni libri dell’Antico Testamento, come l’ Esodo, delle metafore per indicare astronavi, dischi volanti. Del resto la raffigurazione di queste nuvole in non pochi casi sembra addirsi a mezzi tecnologici. 9 Il termine “nephele”, che vale oltre a nuvola, anche nebbia deriva da nephos, sostantivo dal significato affine, da collegare al sanscrito nabhah, al latino nubes, al tedesco Nebel, nebbia. Oltre alle lingue indoeuropee questa stessa radice si potrebbe trovare nelle parole ebraiche nafal (caduta) e Nefilim?

Su questi misteriosi Nefilim si è discusso molto. Chi furono? Erano dei giganti? Erano figli di Dio o degli dei? Erano una razza ibrida, risultato dell’incrocio tra extraterrestri e donne umane? L’ostacolo principale per una soddisfacente identificazione dei Nefilim è una corretta traduzione di questa parola: “nafal” vale, con ogni probabilità, “caduta” e, conseguentemente, “Nefilim” “caduti”. Di solito “Nefilim” viene traslato con “Giganti”, resa un po’ impropria, anche se giustificata da confronti con altre tradizioni e da note descrittive. 10

Olivet, autore di una traduzione mistica del primo libro appartenente alla Torah, di Genesi VI 4, propone tale versione: “In quel tempo, i Nefilim, gli eletti tra gli uomini, i Nobili, esistevano sulla terra; erano prodotti dalla riunione delle effusioni spirituali e delle forme sensibili, dopo che gli esseri emanati da Lui-gli-dei ebbero fecondato le produzioni corporali dell’universale Adam: erano quegli illustri Ghiborim, quegli eroi, quegli iperborei famosi, i cui nomi sono stati celebri nella profondità dei tempi”. 11 In Olivet il valore di “caduti” è sostituito da quello di “nobili”, inoltre è palese il riferimento ad una loro eccezionalità considerata in modo positivo, agli antipodi con quella del Libro di Enoch, che li chiama “bastardi”. Reputo che la traduzione di Nefilim con “coloro che sono stati gettati sulla terra” 12 sia la più credibile e sarei propenso a credere che il termine contenga un nucleo semantico adombrante qualcosa di divino, di celeste, forse relativo alle nuvole, intese in senso lato, nell’ambito forse di una convergenza semantica con i lessemi indoeuropei. 13 Il nesso tra una dimensione soprannaturale e la nebbia è evidente anche nel Nifelheim che, nella mitologia germanica, è il mondo delle brume, la terra dell’oscurità e del freddo. 14

Come si vede, circoscrivere il valore del termine Nephilim non è semplice: “n-ph-l” equivale a cadere, ma la “caduta” si può intendere in senso sia letterale sia traslato: così questi misteriosi personaggi potrebbero essere dei “nobili decaduti, declassati”, una stirpe atlantidea in conflitto con le élites dominanti, dei ribelli al potere centrale, forse partiti dal mitico continente per incivilire le rozze popolazioni di terre lontane. 15 Del resto è palese nella Bibbia la loro condizione di appartenenti ad una razza reietta, contro la quale YHWH, il Dio degli eserciti, istigò gli Ebrei affinché fosse sterminata. Infatti forse essi furono annientati intorno al X secolo a. C. 16

Secondo la tradizione cabalistica, contenuta nello Zohar, esistono cinque classi appartenenti alla moltitudine mista (Erev Av): gli Amalekiti, capi molto potenti; i Nephilim, ossia coloro che caddero in fornicazione con le donne; i Ghiborim, i forti; i Rafaim, i deboli; gli Anaqim, i Giganti. Secondo la cabala, quindi, Nephilim e Anaqim-Giganti, sono due gruppi differenti, ma tutti questi lignaggi sono promiscui. Forse si deve pensare che ciascuna progenie discendeva da incroci tra diversi popoli oppure da un connubio tra visitatori cosmici ed esseri umani? 17

Alla fine di questo excursus sui Nephilim, credo che, pur dovendo rinunciare, allo stato attuale degli studi ad una loro inequivocabile, certa identificazione, sia lecito ritenerli una stirpe allotria rispetto alle genti medio-orientali: o Atlantidei o un popolo meticcio o ibridi umano-alieni o extraterrestri. Inaspettatamente, a mio parere, è proprio Paolo a fornirci un indizio sulla loro possibile natura, mediante le stranissime parole della I Lettera ai Corinti. Leggiamole: “L’uomo, invece, non deve coprirsi la testa, perché è immagine e gloria di Dio, mentre la donna è gloria dell’uomo né fu creato l’uomo per la donna, bensì la donna per l’uomo. Quindi la donna deve portare sulla testa il segno della sua dipendenza per via degli angeli”. 18

Le prescrizioni del “falso discepolo di Gesù”, 19 oltre a brillare per misoginia, una misoginia che ha già stimolato molteplici indagini antropologiche, contiene un’eco, per quanto debolissima, di una conoscenza che giunse sino a Paolo da un passato immemorabile: mi riferisco alla tradizione secondo cui furono le donne terrestri ad incrociarsi con i Ben Elohim, i figli degli “dèi”, pertanto sono le donne ad essere responsabili di aver trasmesso i geni di una razza famosa ma maledetta. È giusto quindi che esse siano sottomesse agli uomini.

Infatti dice il Genesi: “I figli di Dio (ossia degli dèi, gli Elohim), vedendo che le figlie degli uomini erano adatte, si presero in moglie tutte quelle che piacevano loro… In quel tempo vi erano i giganti (i Nephilim), sulla terra e anche dopo, quando i figli di Dio (degli dèi) si univano alle figlie degli uomini, le quali generavano loro dei figli. Sono essi quegli eroi famosi fin dai tempi antichi”. 20

Adesso tutto quadra: Paolo sa che le donne cedettero alle profferte amorose dei Ben elohim. È inevitabile che portino per sempre il segno, lo stigma, dell’ancestrale peccato. Ciò spiega anche l’inferiorità del sesso femminile rispetto agli uomini.

Si potrebbe obiettare che l’apostolo cita gli “angeli” e non i “Ben Elohim” né i “Nephilim”: ora, il vocabolo greco “angeloi” si riferisce pressappoco all’ebraico “malachim”, traducibile sia con “re” sia con “messaggeri” sia con “potenti”, derivando da una radice ***mlk, che presenta uno spettro piuttosto ampio di significati concernenti la regalità ed il divino. 21 Angeloi è vocabolo polivalente ed un po’ impreciso cui Paolo ricorre per indicare degli esseri intermedi tra gli uomini e Dio, quindi anche i celebri Ben Elohim. Del resto gli angeli nella Bibbia sono descritti come figure potenti, talora pericolose, ma in carne ed ossa: essi, infatti, mangiano e bevono, come gli uomini.

Solo piuttosto tardi, dal VI secolo a.C. in poi, specialmente per influsso della religione di Zarathustra, i messaggeri divini cominciarono ad assumere quei tratti iconografici e teologici divenuti quasi stereotipi: ali, aureola che circonfonde il volto, natura spirituale. Queste sono le creature celesti della religione cristiana e dell’Islam. Nel Cristianesimo tuttavia continuò per molti secoli ad essere percepito il loro lato oscuro, se è vero che la venerazione degli intermediari tra Dio e gli uomini, ancora nell’VIII secolo, era proibita. 22

Bisogna anche soffermarsi sul sintagma “per via degli angeli”: si tratta di un vero e proprio complemento di causa, che si potrebbe rendere con “a cagione degli angeli”. Infatti nel testo greco si legge: dià tous angelous, dove la preposizione dià con l’accusativo introduce spesso un’espansione con valore causale. Di fronte a tali fondamenti grammaticali, appare grottesca la traduzione che talora si propone di questi versetti ed ancora più grottesca la spiegazione. Le riporto: “Quindi la donna deve portare sul capo il segno della potestà per riguardo agli angeli (?)”; il segno della potestà, l’autorità che l’uomo ha su di lei. Per riguardo agli angeli: probabilmente a quelli che assistono alle assemblee liturgiche (?) ”.

La locuzione “per via degli angeli” tradisce una visione non del tutto positiva di questi esseri, come se Paolo alludesse ad una loro corresponsabilità: l’aver concupito le donne, dando origine ad una stirpe ibrida. Diversamente, il complemento di causa insieme con i versetti in esame, non troverebbero una spiegazione plausibile.

“Nell’aria” (eis aera) è un’altra espressione per cui vale quanto già congetturato circa la frase “scenderà dal cielo”: denota soprattutto qualcosa di tangibile e non una dimensione metafisica.

Quindi Paolo attende che il Signore discenda dal cielo e lo rapisca insieme con chi ha creduto in Lui, per portarlo, su nuvole-astronavi, nell’aria, nello spazio cosmico da cui Cristo proveniva. 23 È questa, a mio giudizio, la situazione vagheggiata dall’autore: è uno scenario prolettico dell’Ufologia contemporanea, che potrà pure essere considerato blasfemo o oggetto di scherno, ma che trova il suo pendant negli studi del filologo russo V. Zaitsev. L’ accademico ha, infatti, interpretato i Vangeli canonici in termini paleoastronautici sino a formulare l’ipotesi, suffragata da qualche riscontro testuale e da osservazioni di varia natura, secondo cui Gesù era un extraterrestre. Per quanto mi consta, sono due gli autori a sostenere un’origine aliena del Messia: il già menzionato Zaitsev e Faber Kaiser. 24

Alla luce delle considerazioni di questo breve saggio, forse la loro congettura potrebbe trovare qualche altro indizio a sostegno.

Infine Paolo, che presumibilmente fu un mistificatore o, per lo meno, un discepolo non molto leale del Maestro, nella lettera manifesta una speranza, un desiderio di rivedere colui che – stando al suo dubbio, contraddittorio racconto – l’aveva fulminato sulla via di Damasco. Egli esprime una fervida attesa di ricongiungersi al Signore, per sempre, in una dimensione perfetta, luminosa, in uno spazio lontano dalle brutture della terra, simile ad una patria perduta e rimpianta, oltre le nuvole.

Zret

Diritti Riservati

NOTE:
1 Tessalonicesi 4, 15-7
2 Su Paolo, vedi R. Calimani, Paolo, l’ebreo che fondò il cristianesimo, Milano, 1999, con la ricca bibliografia ivi inclusa, nonché M. Pincherle, Paolo, il falso discepolo di Gesù, Diegaro di Cesena, 2000.
3 Sulle Lettere di Paolo e sull’epistola in esame, vedi Le parole dimenticate di Gesù, a cura di M. Pesce, Milano, 2004, pp. 500-502 con l’esauriente bibliografia ivi contenuta.
4 Id., ibid.
5 Vedi R. Pinotti, Angeli, dei, astronavi, extraterrestri nel passato, Milano, 1991, 1994, 1996 con la bibliografia ivi elencata.
6 Non è questa la sede per un dibattito cristologico: mi preme, però, ricordare che Gesù diventò Dio solo con il concilio di Nicea del 325 d.C. L’autore della Lettera agli Ebrei è incerto sulla sua natura: infatti, in 2, 5, riprendendo il salmo 8,5 ss., riconosce che il Figlio dell’uomo è di poco inferiore agli angeli, mentre nel capitolo precedente (1, 5) afferma il contrario. Nei primi secoli divamparono le controversie: Gesù era un uomo o un essere sovrumano ma inferiore agli angeli o superiore? Era un eone? Era Dio? Alla fine, con il concilio di Nicea del 325 d.C., non senza contrasti spesso veementi e con il parere contrario di numerosi dissenzienti, poi a torto definiti “eretici”, prevalse quest’ultima interpretazione: un caso emblematico di evemerismo, ossia di divinizzazione di un mortale.
7 Cfr D. Donnini, Nuove ipotesi su Gesù, Diegaro di Cesena; Id. Cristo, una vicenda storica da riscoprire, Diegaro di Cesena; Id., Gesù e i manoscritti del Mar Morto, Roma, 2006.
8 Vedi Zret, Il 666 è un numero d’uomo, 2006.
9 Cfr. in particolare le opere di M. Agrest, P. Kolosimo, Z. Sitchin e di E. Von Daniken… Si consulti anche la bibliografia inclusa in R. Pinotti, op.cit. Le “nuvole” sono spesso menzionate nella Bibbia: vedi Isaia, 19, 1; 60, 8; Atti, 1, 9.
10 Vedi A. Marcianò, I rettili nel mito greco ed i Rettiliani nell’Ufologia, 2005.
11 A. F. d’Olivet, La lingua ebraica restituita, Milano, 2002.
12 E’ la traduzione proposta da Z. Sitchin, Il pianeta degli dei, Casale Monferrato, 1998, p. 163. Il semitista rileva che Nefilim deriva dalla radice semitica ***nfl, che vale “essere gettato giù”.
13 La correlazione tra lingue semitiche ed indogermaniche implica una matrice comune. D’altronde tale legame è dimostrato anche da una parentela culturale e genetica. Non sembri perciò azzardato un confronto tra l’ebraico e lingue indoeuropee, tenendo conto che probabilmente il sumero, l’egizio, il sanscrito, il cinese sono gli idiomi più antichi da cui derivarono poi tutti gli altri.
14 Vedi A.S. Mercatante, Dizionario universale dei miti e delle leggende, Milano, 2001, s.v. inerente.
15 Vedi Geko (pseudonimo), La civiltà dei Nefilim, 2005; Strabone (pseudonimo), UFO ubbia e fomento ossessivo, 2004. Sui Giganti nella Bibbia e nei libri apocrifi, cfr. R. Pinotti, op.cit., cap. VI.
16 II Re; I Cronache.
17 Lo Zohar (Splendore) è uno dei testi fondamentali della cabala e risale al XII sec. Il termine ebraico qabalah, proveniente dalla radice semitica ***kbl (“ricevere”), attestata già in accadico, designa la tradizione orale comprendente le dottrine mistiche ed esoteriche dell’Ebraismo. Vedi R. Tresoldi, Enciclopedia dell’esoterismo, Milano, 2002, s.v. inerente.
18 I Corinti, 11, 7-11.
19 Mutuo una definizione di M. Pincherle, quanto mai calzante.
20 Genesi, 6, 1-4.
21 “Melek”, in ebraico vale “re”; “malachim”, “messaggeri”, inviati”. La stessa base si trova in Moloch, l’abominevole dio cartaginese n onore del quale si sacrificavano i bambini. Ricorda A. F. d’Olivet, op.cit., p 15, che il termine ebraico
22 U.R.Heinemann, Così non sia, Milano, 1993, ricorda che gli angeli appartengono alla tradizione pagana e zoroastriana. Nel 745 il sinodo presieduto da papa Zaccaria accettò i nomi di Gabriele, Raffaele e Michele, mentre vietò gli altri nomi. Il concilio proibì la venerazione degli angeli. Nell’Antico Testamento, si possono individuare i seguenti gruppi di angeli: cherubini, serafini, erelim, chajot ed offanim. I cattolici, invece, li suddivisero nelle seguenti gerarchie: serafini, cherubini, troni, dominazioni, virtù, potestà, principati, arcangeli, angeli. Sugli angeli, oltre al testo della profondissima teologa tedesca, cfr A. S. Mercatante, op.cit., s.v. inerente nonché P. Giovetti, Angeli, Roma, Id., Le vie dell’Arcangelo, Roma.
23 Si noti la somiglianza di queste circostanze con l’atteggiamento di alcuni contattisti.
24 Vedi Zret, Mille ed una ipotesi su Gesù, 2005 nonché R. Pinotti, op.cit., pp. 157-164.
25 Vedi M. Pincherle, op.cit.