PROGETTO di STUDIO degli EFFETTI di SEQUENZE di CAMPI MAGNETICI ed ELETTRICI su NEOPLASIE

Il Giornale Online
Università degli Studi di Siena – I.M.O.
Centro Interuniversitario interdipartimentale
Per lo studio delle interazioni biofisiche e biochimiche tra molecole e organismi

La sperimentazione in atto, autorizzata dal comitato Bioetico Senese, avente come scopo l’applicazione di Sequenze di Campi Magnetici ed Elettrici (SQME) a pazienti neoplastici terminali per la riduzione del dolore con riduzione dell’uso di farmaci specifici, ha evidenziato alcune specifiche risposte che fanno intravedere nuove possibili azioni dirette sul tumore. Una di queste risposte è costituita dall’aumento locale della temperatura che può raggiungere valori fino a quattro gradi centigradi nella zona interessata dalla malattia.

In prima ipotesi questo aumento di temperatura potrebbe riferirsi a una vasodilatazione a livello della zona trattata collegabile a una alterata concentrazione di sostanze ad attività vasodilatatrice e vasocostrittrice che normalmente provvedono alla regolazione del tono vascolare e quindi del flusso ematico nella zona interessata, oppure alla liberazione di eventuali pirogeni elaborati dai linfociti.

Nelle prime esperienze cliniche condotte su un gruppo di pazienti con neoplasie metastatizzate non rispondenti ad alcun trattamento tradizionale (chemioterapia e/o radioterapia), con l’applicazione di specifiche SQME utilizzando una apparecchiatura appositamente realizzata, si è potuto constatare, oltre all’aumento della temperatura localizzata, una ridistribuzione delle sottopopolazioni linfocitarie nel circolo generale e un miglioramento della qualità della vita con diminuzione netta di richiesta farmacologica antidolorifica quando in atto. Questi risultati hanno generato un interesse particolare verso l’approfondimento del fenomeno delle variazioni nelle sottopopolazioni linfocitarie sia per l’entità delle modifiche e sia per la molteplicità delle azioni che un simile comportamento può promuovere.

A conferma dell’importanza dello studio di queste variazioni basta ricordare la complessità del ruolo esplicato dalle famiglie linfocitarie nella modulazione della risposta infiammatoria, nei processi di riparazione delle lesioni e nella sorveglianza immunologica antineoplastica e più generale antiparassitaria, antibatterica e antivirale. Queste attività sono da riferire ad una serie di caratteristiche funzionali che il singolo linfocita acquisisce, durante la sua vita, in base alla comparsa sulla propria membrana cellulare di recettori specifici e caratterizzanti i compiti di ciascuna sottopopolazione.

In modo molto schematico i linfociti possono essere distinti in due grandi popolazioni, la prima deputata all’elaborazione dell’immunità umorale, cioè alla formazione di anticorpi specifici contro agenti estranei (linfociti B ) e la seconda, implicata nell’immunità propria dei tessuti, che svolge un ruolo importante nella sorveglianza immunologica antineoplastica in particolare (linfociti T). Questa seconda popolazione cellulare può essere distinta, oltre che sulla base della presenza sulla sua superficie di recettori specifici, anche dal fatto che è in grado di liberare alcuni mediatori, le citochine, che regolano la risposta biologica dell’intero sistema immunitario. Alcune citochine meritano una particolare attenzione: tra queste il TNF-a, gli Interferoni, l’Interleuchina 6, perché hanno la capacità di influire sulla proliferazione e sulla maturazione cellulare, esercitando un effetto tossico sia sul tessuto estraneo (neoplasia ?) ma anche, in parte, sull’ospite. Il dosaggio di queste linfochine può essere considerato indicativo dell’intervento specifico di una sottopopolazione linfocitaria responsabile del fenomeno osservato.

Nel corso delle esperienze condotte con le SQME si è messo in evidenza come la ridistribuzione delle popolazioni linfocitarie avveniva in un intervallo di tempo compreso tra i 15 e i 60 minuti di esposizione e come queste variazioni si accompagnavano, nella maggior parte dei casi (76), a una diminuzione del TNF-a. Questo può in prima istanza essere correlato ad uno dei meccanismi attraverso cui il paziente, di solito, riferisce un miglioramento della qualità della vita, valutata attraverso il diminuito fabbisogno di farmaci analgesici ed il miglioramento di altri parametri di malattia organica come la febbre; in alcuni di questi pazienti aumenta l’appetito, e contemporaneamente si è constatato un rallentamento della progressione della malattia neoplastica verso l’ exitus.

Tra i fattori di progressione delle neoplasie un ruolo sempre più incisivo è attribuito alla elaborazione da parte della cellula proliferante di fattori angiogenetici di crescita e di fattori adesivi che permettono alla cellule maligne non solo di impiantarsi nell’ambito di un organo, ma anche di crescere a spese del tessuto normale da cui prendono origine e di colonizzare a distanza insediandosi sotto forma di metastasi, che caratterizzano molti tumori maligni a decorso accelerato.

I fattori di crescita che sono stati isolati e dosati, soprattutto in modelli sperimentali di neoplasie nell’animale, sono molteplici: si ricorda ad esempio il Fattore di Crescita di Derivazione Piastrinica (PDGF), quello Insulinico (IGF), il Fattore di Crescita Fibroblastico (TGF-b). Questi fattori hanno rapporti con l’attivazione di altri sistemi biologici, distinti da quello immunitario: tra questi ricordiamo il sistema fibrinolitico, quello coagulativo ed i sistemi vasoattivi.

Proprio i rapporti che esistono tra la liberazione del TGF-b e il PAI-1, che è in grado di inibire l’attivatore tessutale della fibrinolisi (tPA), sembrano particolarmente interessanti, perché avvengono a livello del circolo capillare di tutti i tessuti. In particolare il tPA viene liberato dall’endotelio dei vasi, in risposta alla stimolazione microvascolare (da parte dello stiramento della parete o dalle catecolamine), e viene di solito bloccato in circolo dal suo inibitore naturale principale, il PAI-1, anch’esso elaborato e liberato dalla parete dei vasi. Il rilascio di PAI-1 è legato inoltre alla concentrazione locale di TGF-b.

Allo scopo di mettere in evidenza la possibile interferenza delle SQME utilizzate sul microcircolo del tessuto neoplastico e/o dell’ambiente in cui proliferano le cellule maligne si è scelto di dosare il tPA e l’Endotelina come indici di attività prima e dopo l’applicazione delle SQME. In un primo ristrettissimo gruppo di pazienti, uno portatore di rabdomiosarcoma con metastasi epatiche diffuse e altri due con neoplasie della mammella con metastasi epatiche multiple e cerebrali, dopo 60 minuti di trattamento è stata rilevata una diminuzione maggiore del 50% della concentrazione di endotelina e di tPA.

In alcuni altri soggetti le variazioni sono state meno evidenti forse legate alla particolare situazione, essendo questi pazienti portatori di neoplasie, molto diverse tra di loro sia dal punto di vista dell’origine che dello stadio di evoluzione, sotto trattamento farmacologico antitumorale con farmaci molto tossici in grado di influire in maniera pesante sulla risposta immunitaria, in particolare sui globuli bianchi e sui linfociti, e per ciò stesso capaci di condizionare in modo deciso la catena di eventi fisiopatologici a valle della mobilitazione linfocitaria indotta in modo diretto o indiretto dalle SQME.

Per approfondire e chiarire meglio queste importanti constatazioni è necessario estendere lo studio, completandolo con altri indici di coinvolgimento e con altri possibili protagonisti, appartenenti alla famiglia dei fattori di crescita come il TGF-b, al sistema fibrinolitico come il PA1 (indice affidabile del potenziale fibrinolitico endogeno), alla famiglia dei vasoattivi come l’endotelina (vasocostrittore) ed il nitrossido (vasodilatatore), sostanze queste ultime ambedue elaborate dall’endotelio attivato, alla famiglia delle citochine come il TNF-a.

By Francesco Piantelli – Aurelio Vittoria.

fonte:www.mednat.org