Riflessioni su medicinale omeopatico e patologia

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1. Introduzione:

L’omeopatia rappresenta un metodo terapeutico dotato di una propria ed autonoma struttura metodologica e pratica. Sappiamo altresì come l’interesse della comunità medica omeopatica nei confronti dell’ampliamento delle proprie conoscenze e prospettive si riveli costantemente presente e prolifico.

Esistono svariati argomenti di discussione all’interno della comunità medica: uno di questi è come il medicinale omeopatico possa essere in grado di esercitare un’azione biologica sul corpo umano.

Una delle tesi maggiormente orientate a sfavore del medicinale omeopatico, se non addirittura attualmente la più sostenuta tra i medici, è quella che dichiara come un’azione terapeutica non possa essere esplicata vista l’impossibilità di ritrovare la sostanza di partenza nel preparato opportunamente diluito e dinamizzato – se non in dosi infinitesimali. Tuttavia, l’esistenza della sostanza “molecolare” non è l’unica possibilità che può permettere un’azione biologica, poiché esistono anche altre possibilità, ed anzi la ricerca attualmente si sta orientando con interesse sempre crescente verso alcune di esse.

2. Dinamica del vivente:

La materia vivente, in termini termodinamici, è stata descritta nel complesso come una “struttura dissipativa”. Essendo per definizione una struttura dissipativa un sistema aperto, ergo non isolato dal punto di vista termodinamico, essa mantiene il proprio stato di non-equilibrio termodinamico per mezzo di una dissipazione continua di energia verso l’esterno. L’energia è ottenuta ed utilizzata per mezzo dei processi metabolici, la somma dei quali mantiene il sistema in uno stato di ordine che lo allontana dalla tendenza all’entropia. La dissipazione di energia sempre presente infatti produce un ordine: un sistema ordinato, d’altra parte, possiede valori di entropia molto bassi e quindi tende continuamente ad una maggiore entropia.

A titolo esemplificativo, pur trattandosi di un sistema non vivente, si può pensare classicamente all’acqua in ebollizione: lo stato del sistema è lontanissimo dall’ordine ed è mantenuto a spese di un continuo flusso di energia dall’esterno. Più correttamente, si deve inquadrare il concetto non tanto in termini energetici quanto configurazionali.

3. Natura chimica e biofisica:

Ogni “stato” di un sistema biologico, sia fisiologico che disfunzionale, è ottenuto tramite la regolazione dei suoi processi vitali. Questa regolazione si ottiene per mezzo di “vibrazioni coerenti” di strutture dissipative presenti nell’organismo stesso ed in grado di mantenere grazie alla dissipazione di energia sotto forma di entropia. Tali strutture sono costituite soprattutto dall’acqua, oltre che da macromolecole organiche.

Una molecola eccitata dalle fluttuazioni quantistiche e stocastiche del vuoto, con cui è sempre in dialogo, se isolata produce vibrazioni casuali; quando la densità aumenta, il sistema incorre in una transizione di fase e in quel momento l’oscillazione di tutte le molecole che sono capaci di risuonare allo stesso modo si fanno sincronizzate (i.e. sono coerenti). Questo modello prevede quindi l’instaurarsi di vibrazioni coerenti, a patto però che il sistema sia aperto e quindi possa dissipare una quantità di energia detta “calore latente della transizione” sotto forma di entropia e calore. Se questo flusso di energia non è per qualche motivo permesso, il sistema rimane incoerente (questo solo a titolo teorico, perché nessun sistema è isolato).

E’ stato sostenuto come, per mezzo delle “vibrazioni coerenti” raggiunte dalle biomolecole, più molecole entrano in risonanza vibrando in modo coerente ed aprendo un valido “canale di dissipazione”. Proprio questo canale di dissipazione è ciò che permette la continuazione di quel flusso di energia che a sua volta permette all’organismo di permanere in uno stato di “squilibrio termodinamico” che va a costituire un funzionale “equilibrio biologico”.

Le molecole di acqua, in particolare, sono state descritte come dipoli elettrici, che in presenza di altre molecole si possono costituire in strutture regolari che vanno a costituire la cosiddetta “memoria dell’acqua”. In pratica, un campo elettromagnetico di entità superiore ad una soglia critica è in grado di esercitare un cambiamento nell’acqua permettendo ai dipoli di orientarsi e passare da un regime di “incoerenza” ad uno cosiddetto “coerente”, in cui i dipoli oscillano in fase tra loro. Si vanno quindi a costituire i cosiddetti “domini di coerenza”, i quali possono facilmente rilasciare elettroni, in virtù di un riorientamento della propria nuvola di elettroni secondo una matrice di frequenze organizzate e coerenti, nonché immagazzinare grandi quantità di energia. Se apposta in un campo elettromagnetico caratteristico, pertanto, l’acqua si organizza in domini di coerenza immagazzinando una mole fondamentale di “informazioni”.

L’acqua può essere rappresentata sotto forma di un campo ondulatorio che induce un fascio di elettroni liberi che dà luogo ad un dipolo oscillante e trasversale al loro movimento, accoppiandosi alla radiazione elettromagnetica e vibrando coerentemente con essa. Sulla base di questi enunciati, si parla a volte di “medicina della risonanza” intendendo la possibilità di curare l’organismo attraverso l’utilizzo di appropriate onde elettromagnetiche capaci di veicolare una corretta “informazione”, principalmente attraverso l’acqua contenuta nei tessuti.

Le informazioni, veicolate sia dalla cellula/tessuto/organo che dal preparato omeopatico, si trovano principalmente nell’acqua. Secondo la cosiddetta “memoria dell’acqua”, i segnali elettromagnetici in essa presenti sembrano riconducibili alla presenza o meno di una sua memoria caratteristica, oltre ad essere stato dimostrato come alcune sequenze di DNA possono indurre dei segnali elettromagnetici di bassa frequenza in soluzioni acquose altamente diluite, che poi mantengono “memoria” delle caratteristiche del DNA stesso.

Le emissioni elettromagnetiche scambiano “informazioni” tra elementi omogenei, in un sistema aperto e tramite ognuna delle svariate attività cellulari.

Un meccanismo patologico pone la cellula (intesa come sistema aperto) in uno stato non-vantaggioso con la persistenza in condizioni non ottimali, raggiungendo un equilibrio compromesso. Esso, se non correttamente “re-informato”, avrà nel lungo termine effetti deleteri per l’intero organismo, che è una struttura che risuona con ogni parte di se stessa.

4. Che cos’è la “patologia”:

La patologia si può definire come il meccanismo che porta il sistema biologico costituito dal corpo umano ad un equilibrio non ottimale, che costringe la cellula ad un dispendio energetico eccedente il proprio potenziale intrinseco. In modo simile all’acqua che bolle, è possibile che l’organismo umano – costituito da cellule che necessariamente interagiscono e comunicano segnali l’una con l’altra nonché con il sistema in toto – raggiunga un equilibrio non vantaggioso: oltre a ciò, in un tentativo estremo di semplificazione, è come se si parlasse di “acqua in ebollizione” senza l’ausilio di una fonte esterna di energia. E’ chiaro pertanto che si tratta di un equilibrio che va ad esaurire necessariamente ogni risorsa e che però necessariamente è costretto ad automantenersi.

L’attuazione dello stato patologico è conseguente ad uno stimolo iniziale, che può essere di varia natura. E’ necessario sottolineare due concetti: la distinzione tra patologia acuta e cronica e le possibilità di guarigione, intesa come il ritorno del sistema vivente al suo stato di equilibrio ottimale.

La patologia acuta è una condizione caratterizzata tipicamente da esordio acuto, breve durata e sintomatologia intensa. Questi sintomi acuti spesso sono essi stessi meccanismi in grado di veicolare processi di guarigione e nella maggior parte dei casi non andrebbero limitati. Nella patologia cronica, al contrario, il sintomo diviene l’espressione propria della patologia, indice della cronicizzazione di uno stato di dis-equilibrio dell’organismo.

Non sempre quindi il sistema può possedere mezzi propri ed autonomi per una risoluzione dello stato patologico, in particolare se lo stimolo lesivo è stato di entità tale da determinare lo shift del sistema nel suo insieme ad equilibri non ottimali, che persistono nel tempo.

Nello stato di patologia il network cellulare si può adattare ad uno stato disfunzionale in cui il dispendio energetico eccessivo inficia le capacità fisiologiche e vitali della cellula stessa. Possono esistere processi patologici cui il sistema in quanto tale riesce a reagire – come fossero “oscillatori” capaci di perturbare l’equilibrio ma non di determinarne un passaggio ad uno stato di dis-equilibrio costante e persistente (che invece caratterizza la patologia cronica).

I motivi capaci di trasportare l’equilibrio del sistema vivente a livelli non ottimali per la “vita” stessa possono essere svariati: in senso generale, essi comprendono qualsiasi tipo di “stress” inflitto all’organismo, in modo equivalente se inflitto dall’esterno oppure sviluppato dall’interno. Il risultato si rivela analogo, ossia in entrambi i casi è la reazione dell’organismo in quanto tale che “crea” e “guida” la patologia e la propria risoluzione ovvero approfondimento, nel momento in cui lo stimolo risulta di entità superiore alla capacità di sopportazione di quell’organismo.

Probabilmente non è possibile l’elaborazione di un metodo di cura in grado di permettere una guarigione che perduri “per sempre”. Infatti, una guarigione ragionevolmente piena e capace di riportare l’equilibrio del sistema a livelli suoi propri di benessere (quindi, allo stato di “salute”) è possibile, tuttavia, dal momento che la patologia si può leggere come risposta ad un evento stressante, e che questo stesso evento si rivela inevitabile quanto imprevedibile, non è possibile l’esistenza di un organismo privo di reazioni.

5. La terapia del “simile”:

La patologia si identifica quindi in una dis-regolazione, in cui viene “nascosta” e non più trasportata l’”informazione” corretta. Il medicinale omeopatico si prefigge lo scopo di reinserire proprio questa informazione apparentemente “perduta”, veicolando quest’ultima piuttosto che una determinata “materia” intesa in senso “molecolare”: non è possibile quindi opporsi alla pratica omeopatica solo sull’assunto della mancanza di “materia” all’interno del medicinale stesso, poiché si parla spesso di un livello organizzativo differente.

Uno stimolo stressogeno, potenzialmente causa dell’innescarsi del processo patologico, crea un dispendio di energia per l’organismo: ciò si può ripercuotere sulle proprietà elettromagnetiche del sistema cellulare, che a loro volta andranno a interferire con la frequenza di vibrazione del sistema stesso o con la sua capacità di risonanza, in particolare con la struttura dell’acqua. Su queste vibrazioni va quindi a “dialogare” il medicinale omeopatico, ristabilendo la corretta “coerenza” del sistema.

Il medicinale omeopatico può essere in grado di mimare uno “stress” imposto dall’esterno, il quale costringe l’organismo ad una reazione: in questo modo il medicinale impone una sorta di “patologia artificiale”. Ragionando in termini di frequenze e proprietà elettromagnetiche, veicolate in modo particolare (ma non solo) dall’acqua, la “patologia da curare” si può interpretare come un equilibrio non-funzionale raggiunto dall’organismo a seguito di uno stress di intensità sufficiente a determinare (in quella persona) un cambio nella frequenza di oscillazione, traslata su un ritmo non proprio e quindi necessariamente non fisiologico – ma necessario al mantenimento della “vita”, sia pure se di qualità inferiore. Allo stesso modo, la “patologia artificiale” è data dall’inserimento nel sistema di un’”informazione vibrazione” capace di ristabilire la corretta coerenza andando a risuonare con il sistema poiché in grado di superare la soglia minima necessaria. Se la patologia cronica crea un adattamento metabolico a condizioni di eccessivo dispendio energetico, non compatibili a lungo termine con la sopravvivenza stessa, il medicinale omeopatico risulta in grado di riattivare un sistema regolatore – proprio del sistema ma non più funzionante in quanto potenzialmente downregolato – per mezzo di un messaggio non-molecolare.

Questo “stress esterno” sembrerebbe modulare in questo modo proprietà cellulari, tra le quali  ad esempio stress ossidativo, profilo epigenetico, vie di trasduzione del segnale, modulazione di infiammazione, sistema immunitario ed altro ancora.

Il medicinale omeopatico va ad operare con un processo di cura che si rivela essere efficace e protratto a lungo nel tempo. Esso agisce infatti sull’equilibrio generale, riportandolo a “risuonare” ad un livello appropriato per la funzione biologica ed a ritrovare un equilibrio “vantaggioso” e dinamico: questo è ciò che si può definire “cura”.

Hahnemann, nell’Organon dell’arte di guarire, sosteneva come l’omeopatia fosse in grado di fornire una cura “in maniera rapida, dolce e duratura; ovvero togliere e distruggere tutta la malattia per la via più breve, più sicura e di minor pregiudizio, basandosi su principi di facile comprensione”. Oggi è possibile sostenere questi punti sulla base non della sola osservazione clinica in sé quanto con meccanismi fisici dotati di una propria base concettuale. Anche il fatto di presupporre come la cura omeopatica rappresenti la via “più sicura e di minor pregiudizio” si rivela essere un concetto importante, sulla base del fatto che non si permette di imporre “forzature” dall’esterno, come ad esempio agisce il farmaco allopatico. Quest’ultimo, infatti, il più delle volte va a sopprimere o vicariare funzioni proprie dell’organismo umano senza permettere il riequilibrio di potenzialità che ancora sono proprie dell’organismo stesso, pur se apparentemente “inattive” o “inefficaci” . Questa apparente inefficacia-in atto non necessariamente deve riflettere una inefficacia-in potenza, che spesso con metodi cosiddetti “dolci” potrebbe essere ripristinata.

L’azione omeopatica si può leggere quindi come la “più sicura e di minor pregiudizio” per il fatto che non si fonda su basi impositive all’organismo umano, bensì si fa veicolo di un’”informazione” che consente all’organismo stesso di ripristinare uno stato ottimale di equilibrio fisico-chimico (basato su un concetto di “risonanza” che è permessa da un dialogo tra campi elettromagnetici) che già gli era proprio. Postulando l’ipotesi del farmaco omeopatico che agisce in un certo senso come stressor per il sistema tutto, esso andrà quindi a modulare un equilibrio energetico.

E’ possibile inoltre studiare l’attivazione di vie cellulari caratteristiche di alcune condizioni. Nel caso particolare dello “stress”, ad esempio, sono ben conosciute molte delle vie attivate, dipendenti a loro volta dall’attivazione di particolari enzimi o dall’attivazione/inibizione di particolari ormoni, che in generale si possono ricondurre ad un’alterazione dell’espressione genica. E’ quindi possibile valutare, ad esempio, l’impatto del medicamento proprio sulla base della modificazione dell’espressione genica della cellula e in Letteratura esistono già evidenze di questo tipo.

L’azione del medicinale omeopatico, come Hahnemann aveva osservato, appare inoltre immediata e profonda, poiché la riattivazione delle frequenze “corrette” avviene in modo diffuso nell’organismo – motivo per cui l’azione si pone come “costituzionale” e “sistemica” e non “sintomatica”. Un’ipotesi è che la succussione, passaggio fondamentale nella farmacoprassia omeopatica, sia in grado di far raggiungere alla soluzione la frequenza (o energia) maggiore o uguale alla minima necessaria per permettere l’entrata del sistema in risonanza con essa. I rimedi omeopatici pertanto sembrano agire modulando funzioni organiche per mezzo di effetti elettromagnetici. Ogni rimedio potrebbe possedere una specificità di vibrazione, ragionevolmente determinata proprio dalla sostanza di partenza, così come ogni individuo sembrerebbe necessitare di frequenze diverse sulle quali risuonare in uno stato di benessere, ponendo la medicina omeopatica come individualizzata ed “unicista”. E’ chiaro come uno stato di “salute assoluta” non sembri possibile, se non forse in frazioni di tempo inqualificabili, e come detto benessere si debba interpretare come una sorta di “limite che tende a”, non quindi come uno stato fisso e (pre)determinabile.

Il medicinale omeopatico può essere visto allora come la somministrazione di una vibrazione coerente al sistema aperto costituito dall’organismo stesso. Nel momento in cui esso “risuoni” in modo patologico, ad un equilibrio quindi del tutto sfavorevole al proprio benessere, questa vibrazione introdotta può essere in grado di riattivare proprio quella vibrazione coerente che nell’organismo malato è carente o assente.

La forza vitale si potrebbe descrivere allora come quello “stato configurazionale” che caratterizza l’individuo in un certo istante ed il quale è proprio ciò che viene modulato dalle informazioni elettromagnetiche veicolate dal medicinale omeopatico.

Pensando a come possa questa “informazione” essere contenuta nel medicinale omeopatico, un’ipotesi attualmente emergente è ad esempio quella che si sta focalizzando nel ricercare nanoparticelle all’interno del preparato stesso. Esistono ipotesi per cui le nanoparticelle potrebbero essere il mezzo “fisico” capace, grazie alle proprietà caratteristiche, di causare e quindi poter potenzialmente spiegare l’azione del farmaco omeopatico. Secondo alcuni Autori è possibile che nanoparticelle si formino spontaneamente durante la preparazione del farmaco omeopatico per mezzo delle triturazioni e succussioni caratteristiche  e necessariamente utilizzate per la preparazione del farmaco stesso. Lo studio in questo campo si trova attualmente in evoluzione e sono attese evidenze scientifiche.

6. Conclusione:

E’ possibile oggi iniziare a fornire delle basi concrete a sostegno della qualità, oggettività ed efficacia profonda della cura omeopatica. Non è possibile detrarre l’utilizzo dell’omeopatia solo sulla base di un concetto “meccanico” e “di materiale”, poiché le conoscenze scientifiche al riguardo, sia pure con la necessità di ulteriori approfondimenti, dimostrano come si debba ragionare sempre anche ad altri livelli.

Inoltre, la pratica seria e rigorosa della metodologia omeopatica (in riferimento in particolare all’omeopatia unicista) pone ogni persona, in particolare il Medico che la pratica, a contatto con un’idea di “persona come sistema complesso”. Il Medico si fa carico della persona nel suo complesso, facendo del tutto sua la concezione hahnemanniana del fatto che “compito altissimo e unico del Medico è di rendere sani uomini malati, ciò che si dice guarire“. Guarire pertanto si differenzia in modo deciso dal “nascondere i problemi” o dal “sopprimere i sintomi”, volendo invece ricondurre l’intero organismo ad uno stato generale di equilibrio il più ottimale possibile. Da tutto ciò si desume come la riflessione sulla liceità ed efficacia di utilizzo del medicinale omeopatico si possa considerare uno degli emblemi di una ben più ampia scelta esistenziale “dolce” e “consapevole”, fondata sul rispetto della “Vita” stessa.

(Dr.ssa Andreoli Beatrice)