Scienza e guerra

Il Giornale Online
di Niccolo Loret

Da questo momento non collaborerò più con alcun’istituzione americana. Alcuni di noi hanno vissuto il 1939 (Daniel Amit, 21 Marzo 2003)

Con questa secca e-mail del 21 Marzo 2003 (giorno seguente all’inizio dell’invasione statunitense dell’Iraq), il professor Daniel Amit rifiutava di valutare un articolo per la rivista scientifica Physical Review E. Questa decisione non conseguiva da una reazione dettata dall’emotività, ma da un ragionamento critico sul ruolo della scienza nei tempi del neo-liberismo che Amit ha elaborato lungo tutta la sua vita. Dal botta e risposta seguito al rifiuto di Amit è nata in tutto il mondo una intensa discussione sul rapporto tra scienza e guerra, scienza e potere, sui legami tra scienza e tecnologia e sulla definizione stessa di attività scientifica. Un’idea di quali siano le diverse posizioni in questa accesa disputa ideologica si può avere passando in rassegna l’intero carteggio tra Daniel Amit e Martin Blume, caporedattore dell’American Physical Society. Dalla replica di Blume infatti si legge:

Consideriamo la scienza un’impresa internazionale e facciamo del nostro meglio per mettere da parte i disaccordi politici, nell’interesse della promozione della scienza stessa […] Crediamo che sia essenziale che tutte le parti in causa facciano ogni sforzo per separare le differenze sociali e politiche dalla loro partecipazione alla ricerca e alle pubblicazioni scientifiche. Il conseguimento della conoscenza scientifica necessita di trascendere da tali questioni.

A prima vista una tale risposta sembrerebbe quasi ovvia, Blume considera la scienza come una sorta di bene comune (tanto per utilizzare un termine oggi molto in voga) da difendere a tutti i costi, una sorta di perfetta idea iperuranica quasi astratta dal mondo che l’ha generata. Come se la scienza non fosse parte di un processo storico umano. Come se gli scienziati non fossero parte integrante di un sistema in cui anche le guerre e la centralità dell’apparato militare derivano dal meccanismo economico-sociale che ne è alla base. Di segno opposto la risposta di Amit:

Vorrei poter condividere i nobili sentimenti da Lei espressi, così come il Suo ottimismo nel ruolo futuro della scienza e della comunità scientifica. Francamente, e con molta tristezza e dolore, dopo 40 anni di attività e di collaborazione, trovo pochissimi motivi per tale ottimismo. Quelloche stiamo guardando oggi, credo sia il culmine di 10-15 anni di crescente imbarbarimento della cultura americana nei riguardi del mondo, coronato dai successi della scienza e della tecnologia come arma importante di distruzione totale […] No, il tipo americano di scienza non ha scampo. Personalmente, non posso continuare a essere parte della stessa comunità a cui appartiene la scienza americana. Purtroppo, appartengo a una cultura di simile deviazione spirituale (Israele) la quale sembra essere ugualmente incorreggibile […] Eserciterò tale minuscolo atto di disobbedienza per poter guardare dritto negli occhi dei miei nipoti e dei miei allievi e poter affermare che sapevo.

Il rifiuto a collaborare con l’American Society è dunque visto come un atto di coerenza. La coerenza di una persona in cui l’attivista pacifista e lo scienziato non sono due entità scisse tra loro, ma compongono un individuo che, al contrario di molti suoi colleghi scienziati, non si nascondeva dietro la foglia di fico della scienza pura. Daniel Amit al contrario prendeva le proprie decisioni in base a dei valori, una morale e un’etica che non si rassegnava a considerare dei meri lemmi dei sillogismi cartesiani.

Nel suo tentativo di responsabilizzare gli scienziati sul loro ruolo nella società, Daniel Amit aveva anche ipotizzato di poter estendere l’idea del giuramento di Ippocrate alle discipline scientifiche. Una proposta che può risultare un po’ naive, ma che deve essere presa come uno stimolo alla riflessione sul ruolo che ricercatori e ricercatrici ricoprono nella vita politica. Quello della responsabilità personale degli scienziati, però, non è il problema centrale, ma solamente un piccolo dettaglio di un’analisi molto più complessa. La pressione dei movimenti degli anni ’60 e ’70, verso la rilevanza sociale della ricerca e contro le torri d’avorio, come tante idee buone è stata cooptata dalle forze egemoni del mercato, imponendo la corsa all’applicazione tecnologica.

La maggior parte dei finanziamenti vengono assegnati a progetti che giovano a un’idea sbagliata o discutibile di sviluppo economico, che promuove il virtuale, il superfluo, il militare, a spese del sociale e della conservazione ecologica. Il mondo della ricerca collabora, grosso modo, spinto dalla facilità di ottenere finanziamenti, e dall’esposizione mediatica accoppiata all’odierno processo di produzione e commercializzazione. La tecnologia a questo punto ha sostituito il concetto della rilevanza sociale dell’attività scientifica. Negli ultimi decenni l’amalgama scienza-tecnologia significa sempre meno scienza e più tecnologia. Il principale problema odierno, secondo Daniel Amit, quindi, non è la collaborazione della scienza con i militari, da sempre attuata, almeno dai tempi della gloriosa scienza ellenistica. Il problema è piuttosto l’integrazione della scienza con questo sistema, la sua crescente identificazione con esso, così come la sua acquiescenza nell’essere usata come la già citata foglia di fico.

Se il professor Amit non si fosse suicidato quest’articolo l’avrebbe scritto lui. Oggi, invece, ci dobbiamo accontentare del fatto che di lui sia rimasta solamente un’idea. Come le figure di Von Braun, Oppenheimer, Teller e Von Neumann hanno ispirato la figura dello scienziato pazzo tanto in voga in film e fumetti anni ’60, l’idea che Daniel Amit lascia dietro di sé incarna perfettamente l’immagine dello scienziato di fine XX secolo. Uno scienziato i cui sforzi di non partecipare al consolidamento di un sistema, in cui la scienza è divenuta un elemento accessorio del vigente modello di sviluppo economico, risuonano con quelli di chi, immerso interamente nel vortice di odio e violenza del conflitto israelo-palestinese, tenti in tutti i modi di restare umano.

Nota dell’autore

L’autore di questo articolo ha liberamente saccheggiato il pamphlet “Scienza & Guerra” del fu collettivo ResistenzaFisica, contenente saggi dello stesso Amit, Baracca, Bernardini e Greco. Un grazie infine a Luce Prignano per i suoi preziosi consigli.

Sull’autore

Niccolò Loret è dottorando presso il gruppo di fisica teorica del Dipartimento di Fisica dell’Università Sapienza di Roma.

Immagine: Martin Blume, caporedattore delle riviste di fisica afferenti all'American Physical Society all'epoca della lettera di Daniel Amit.
Fonte: http://www.accastampato.it/2011/11/scienza-e-guerra/