Scoperto supervulcano in mezzo alle Alpi. Ottimo per prevenire nuove eruzioni

Il Giornale Online27 Settembre 2009

L’Italia (ri)posa su braci ardenti. Non è una metafora storico-politica, ma la conclusione letterale a cui si giunge tenendo conto degli innumerevoli crateri vulcanici che costellano il nostro territorio. Montagne di fuoco ancora attive, sopite o spente da ere paleozoiche hanno contribuito a formare il Dna geologico dello Stivale.

Sulle Alpi Occidentali, in Valsesia, circa 290 milioni di anni fa era attivo un supervulcano, che in seguito collassò su se stesso, sprofondando su una superficie con un diametro vicino ai 15 km. La sensazionale scoperta è stata fatta da un gruppo di scienziati composto da ricercatori italiani e americani, guidato dal geologo James Quick, dell’Università di Dallas, e da Silvano Sinigoi, dell’Università di Trieste.

La notizia è stata diffusa dalla rivista Geology, mentre in Italia in questi giorni è uscito un articolo sul Corriere della Sera. Nell’intervista pubblicata sul quotidiano nazionale, il Prof. Silvano Sinigoi ha spiegato: “Di supervulcani, cioè di apparati vulcanici di grandi dimensioni, che nel passato hanno prodotto eruzioni notevoli, con la formazione di caldere del diametro di svariati chilometri, ce ne sono diversi in tutto il mondo. Averne trovato e descritto uno nelle Alpi Occidentali è sicuramente una grande soddisfazione”.

La scoperta permette di osservare e studiare, a pochi km dalle verticali himaljane del Massiccio del Monte Rosa, le parti più nascoste e profonde del vulcano, come i serbatori magmatici e i canali di alimentazione. I movimenti che hanno generato questa porzione di arco alpino hanno infatti rivoltato la crosta terrestre, facendo emergere la struttura geologica che un tempo stava sotto il vulcano.

“La possibilità di guardare e analizzare strati di crosta terrestre che in epoche passate erano immerse a 25 km di profondità” conclude Sinigoi “permette di affermare che il supervulcano fossile della Valsesia è finora unico al mondo”.

L’ultima, inaspettata, scoperta in tema di crateri si colloca ai piedi delle Alpi, in Valsesia, nell’area tra Varallo e Borgo Sesia. Un gigante di fuoco in grado di eruttare centinaia di migliaia di chilometri cubici di cenere e lava, creando crateri enormi (caldere), del diametro di decine di chilometri.

La potenza di fuoco del supervulcano della Valsesia pare fosse tale da oscurare l’atmosfera e alterare il clima globale. Nulla da temere se avete organizzato un’imminente castagnata sulle pendici del Monte Rosa: l’esuberante attività del vulcano risale a circa duecentonovanta milioni di anni fa.

Un inusuale sollevamento della crosta terrestre in Valsesia ha rivelato per la prima volta il “sistema idraulico” che alimentava il cratere: 25 chilometri di piste e sentieri che dalla superficie penetravano in profondità all’interno della Terra, costituendo i canali su cui si muoveva il magma incandescente.

La notizia è stata diffusa nei giorni scorsi dalla rivista internazionale Geology, che ha pubblicato i risultati della ricerca condotta dal team di James Quick, dell’università di Dallas e Silvano Sinigoi, dell’Università di Trieste.
E’ una delle scoperte geologiche più importanti degli ultimi anni, sostengono gli esperti, perché permette di interpretare correttamente i segnali che un vulcano ancora attivo invia, sia in termini di definizione dello stato attuale sia di previsione di una eventuale eruzione.

«Ci sarà un’altra esplosione di un supervulcano nel futuro – ha detto Quick a Science Daily -. Non sappiamo dove, né quando. Ma forse il supervulcano della Valsesia ci aiuterà a scoprirlo».

Dove sono i supervulcani?

Ad oggi, si conoscono circa una decina di supervulcani sparsi per il mondo. Ma anche in Italia, i Campi Flegrei ne sono un esempio. Ma anche Yellowstone, Mazama, Long Valley Caldera, Valle Grande (Usa), Vilama (SudAmerica), Toba (Sumatra), Aso (Giappone), Aniakchak (Alaska), Taupo (Nuova Zelanda), Warning (Australia).

Vulcani nascosti d’Italia

Oltre alle quattro montagne di fuoco in attività, in Italia ci sono numerosi altri vulcani nascosti. Alcuni hanno cessato la loro attività e sono diventati specchi d’acqua come i laghi di Bolsena, Vico, Bracciano, Albano e Nemi attorno a Roma, altri sono montagne dalle attività minerarie uniche come il monte Amiata in Maremma, altri ancora sono oggi colline dalle forme inusulai come i monti Berici e i colli Euganei nella pianura veneta, il monte Epomeo a Ischia, i monti di Roccamonfina nel basso Lazio, il Monte Vulture in Basilicata. Altri ancora sono completamente invisibili all’occhio umano perchè risiedono a centinaia di metri sotto il mar Tirreno: in particolare il Marsili, situato al largo di Stromboli è alto 3mila metri e il suo cratere è a 500 metri di profondità dal livello del mare. E poi ancora Lamentini, Palinuro, Alcione, Eolo, Enarete, Sisifo tutti sotttomarini e geologicamente attivi.

La notizia è rimbalzata sulle pagine italiane solo adesso, ma la scoperta frutto delle ricerche condotte dal gruppo guidato da Silvano Sinigoi, professore di petrografia dell’Ateneo triestino, e da James Quick, prorettore all’Università di Dallas, nasce da un lungo percorso iniziato decenni prima. «La zona di Ivrea-Verbano -spiega James Quick- è una località famosa per i geologi di tutto il mondo, perchè qui durante la collisione alpina è stata esposta la parte più profonda della crosta terrestre».

«Solo recentemente però – replica Sinigoi -, i ricercatori hanno spostato la propria attenzione sulle rocce vulcaniche qui presenti, portando alla luce l’unicità di questo enorme gigante. Si tratta dell’unico vulcano conosciuto al mondo che permetta di studiare dal vero un processo finora soltanto ipotizzato: il sistema magmatico. L’eccezionale caratteristica di questo vulcano è che la sua caldera (cavità la cui formazione è legata ai fenomeni vulcanici) permette l’analisi del sistema magmatica fino a 25 km di profondità e di aver esposta la ”colonna” di roccia sottostante. Ciò permetterà di studiare da dove nasce il magma che ha alimentato il sistema vulcanico, e i meccanismi di trasferimento del magma verso la superficie, fino all’eruzione».

Una scoperta che consentirà una migliore previsione e studio dei fenomeni vulcanici. Si tratta dell’unico posto al mondo in cui rocce così profonde sono esposte in superficie. Inoltre, questa è quasi continua, ovvero alla superficie è esposta gran parte dell’intera sequenza da 25 a 0 chilometri.

Si tratta di una mega-breccia i cui enormi blocchi risultano essere frammenti delle formazioni vulcaniche preesistenti all’esplosione della caldera, da cui pareti sono stati strappati durante la deflagrazione. Per le enormi dimensioni, sono segno di un’esplosione di grande potenza, come il totale collasso della caldera, fenomeno per il quale è stato recentemente coniato il nome di ”supervulcano”.

Negli Usa ci sono ben due supervulcani attivi, Yellowstone e Long Valley. I gruppi di monitoraggio di entrambi era gestito da Quick in persona.Risultato principale della ricerca è l’aver dimostrato che le rocce magmatiche affioranti ad Ovest della Val Sesia sono in stretta relazione con le rocce vulcaniche legate alla caldera. Scopo di coloro che studiano i vulcani è riconoscere i segni premonitori che possono indicare un’imminente eruzione, in modo da eseguire piani di evacuazione solo nell’incombenza di un reale pericolo.

Fonte: http://www.blogtecnico.com/cultura/ambiente/scoperto-supervulcano-in-mezzo-alle-alpi-ottimo-per-prevenire-nuove-eruzioni