Settimana mondiale dell'acqua

Il Giornale Online

20/8/2008 – Con 58 vasche da bagno al giorno per ogni cittadino, la Gran Bretagna è la sesta maggiore importatrice di acqua al mondo. Acqua che arriva con i pomodori, il caffè e le camicie…

Una grande flotta di navi cisterna fa la spola dal Canada, un mega acquedotto sottomarino arriva dai paesi scandinavi, migliaia di Tir importano miliardi di bottiglie di acqua. Questo è quello che ti aspetteresti, invece…

No, la Gran Bretagna non importa cascate d'acqua dai paesi che ne sono piĂš ricchi al mondo e soprattutto non lo fa con cisterne, condotte e bottiglie: importa virtualmente acqua importando prodotti per la cui produzione sono richiesti grandi quantitativi di acqua. Molto spesso da paesi che di acqua ne hanno ben poca.

E così, se 150 litri d’acqua al giorno è la quantità d’acqua che una persona in Gran Bretagna consuma per bere e per l’utenza domestica, il consumo virtuale, quello cioè nascosto nel cibo, nell’abbigliamento e in altri beni è 30 volte superiore ed equivale a 58 vasche da bagno piene d’acqua ogni giorno: ben 4500 litri!

Nel dossier “UK Water Footprint: the impact of the UK’s food and fibre consumption on global water resources” lanciato oggi dal WWF, in occasione della Settimana mondiale dell’acqua in corso a Stoccolma, Stuart Orr, esperto di impronta ecologica dell’acqua del WWF afferma che la Gran Bretagna è la sesta maggiore importatrice di acqua virtuale al mondo (gli altri cinque maggiori importatori idrici di acqua virtuale sono Brasile, Messico, Giappone, Cina e Italia. Tanto per avere un ordine di grandezza e di proporzione in Italia si consumano 215 litri di acqua reale al giorno a testa e in Gran Bretagna 150 litri, contro i 2,5 litri che rappresentano la stima del fabbisogno per le esigenze di vita. Ma se si conteggia anche l’acqua virtuale la cifra aumenta per entrambi i paesi mediamente di trenta volte.

“Lo studio ci dimostra che solo il 38% dell’acqua usata dai cittadini britannici proviene dai fiumi, dai laghi e dal sottosuolo del Regno Unito – commenta Michele Candotti, Direttore generale del WWF Italia – Il resto è importato e si nasconde nei beni primari e di largo consumo che il paese compra dall’estero. Il paradosso è che moltissimi di questi prodotti provengono da aree del mondo in cui le risorse idriche sono già sotto stress o lo diventeranno presto”. Lo stesso si potrebbe mettere in luce per l'Italia e per molti altri paesi, sviluppati o meno, la Gran Bretagna è un paese preso ad esempio.

Per coltivare un pomodoro importato dal Marocco servono 13 litri d’acqua, in una tazzina di caffè se ne nascondono 140, in una camicia di cotone del Pakistan o dell’Uzbekistan 2.700, provenienti dal fiume Indo o da altri corsi d’acqua che alimentano il Lago di Aral nell’Asia Centrale. Gli eccessivi prelievi per l’irrigazione dei campi di cotone hanno significato per il Lago di Aral una perdita d’acqua dell’80% negli ultimi 40 anni, con conseguenti danni alle comunità locali (l'azzeramento della pesca e dei commerci per nave nell'Aral) e alla biodiversità (il delfino d’acqua dolce presente nell’Indo corre il serio rischio di estinguersi).

Volendo restare in Europa si può fare il caso della Spagna: comprare arance spagnole significa farlo in un paese dove, all’inizio di quest’anno, l’acqua potabile è stata importata via nave dalla Francia.

Leggi il bell'articolo sul sito del Guardian (in inglese)

“Non è intuitivo pensare che ci voglia più acqua per nutrirsi e vestirsi, di quanta non sia necessaria per dissetarsi o lavarsi. – prosegue Candotti – Eppure in ciò che mangiamo, negli abiti che indossiamo sono contenuti incredibili quantità di prezioso oro blu. Per questo è necessario che governi e aziende private identifichino presto le regioni del Pianeta a rischio di stress idrico e adottino soluzioni adeguate per un uso sostenibile dell’acqua”.

Il WWF UK incoraggia alcune delle maggiori aziende britanniche, come Marks and Spencer, a calcolare la propria impronta ecologica dei consumi d’acqua. Un calcolo che stabilisca quanta acqua viene consumata sia per i processi produttivi che per lo stoccaggio e l’approvvigionamento. Questo include l’acqua prelevata dai fiumi britannici e quella dei fiumi dove le materie prime crescono o sono lavorate.

La scarsitĂ  d'acqua è uno dei problemi piĂš gravi con cui l'umanitĂ  dovrĂ  molto presto imbattersi: in molte aree del mondo, infatti, il prelievo di acqua è di molto maggiore della ricostituzione delle riserve, per cui centinaia di laghi sono scomparsi, i fiumi si riducono a rigagnoli, le falde vanno esaurendosi. Come se non bastasse aumenta a dismisura il consumo d'acqua (e di terra) delle cittĂ  – si pensi alla Cina o all'India – a scapito delle campagne. Il risultato è che da alcuni anni a questa parte la produzione di cereali è in costante calo e molti paesi da esportatori sono diventati importatori di grano e mais: che, lo abbiamo visto, equivale a importare acqua.

“Nonostante sia preoccupante l'ampia diffusione della scarsitĂ  delle risorse idriche, esistono le tecnologie per aumentare l'efficienza degli utilizzi dell'acqua e per guadagnare quindi tempo nella stabilizzazione numerica della popolazione. le piĂš importanti tra queste tecnologie sono quelle relative agli usi irrigui ad alta resa e del riciclo dell'acqua nelle industrie e nelle cittĂ ” (Lester R.Brown Piano B 3.0. Mobilitarsi per salvare la civiltĂ , consultabile anche online, da non perdere).

In India e Pakistan il WWF sta lavorando con gli agricoltori che coltivano piante con grossi fabbisogni idrici quali il riso, il cotone e la canna da zucchero per mettere a punto pratiche agricole che riducano la necessità d’acqua pur mantenendo elevati livelli di produzione. Per la canna da zucchero, ad esempio, si è raggiunta una riduzione dell’uso di acqua del 40% con un aumento della produzione di un terzo.

Il dossier (in inglese) PDF >>

Per saperne di più sui consumi d’acqua: http://www.waterfootprint.org/

Fonte http://www.wwf.it/client/ricerca.aspx?root=17714&parent=1979&content=1