Sistemi stellari multipli, 4 stelle per un pianeta

quatro stelle per un pianeta
Sistemi stellari multipli, 4 stelle per un pianeta
Rappresentazione artistica del sistema ARI 30. La stella primaria è una nana rossa. Art by Karen Teramura, UH IfA.

Lo studio, pubblicato su Astronomical Journal, cerca di capire la correlazione tra la presenza di pianeti molto massicci e sistemi stellari multipli. ARI30, a 136 anni luce da noi, nella costellazione dell’Ariete, è il secondo sistema stellare quadruplo ad oggi conosciuto, ma l’ipotesi che non siano una rarità aumenta con l’avanzamento tecnologico

Che il nostro sistema solare sia una specie di rarità resa meno tale solo dal gran numero di stelle che esistono nell’universo, lo si evince mano mano che gruppi di astronomi rilevano sempre nuove realtà, che ci sarebbe quasi da chiedersi (ma poi in fondo è quella la domanda) come possono comporsi e trovare un equilibrio.

E’ questo di fatto il quesito che si sono posti i ricercatori autori di una recente ricerca, pubblicata su Astronomical Journal, che si è avvalsa del Palomar Observatory utilizzando due nuove tecnologie adattive ottiche che compensano gli effetti di sfocatura dell’atmosfera terrestre: il sistema di ottica adattiva Robo-AO robotico, sviluppato sotto la guida di Christoph Baranec della University of Hawaii presso l’Istituto di Manoa per Astronomia, e l’estrema sistema di ottica adattiva PALM-3000, sviluppato da un team di Caltech e Jet Propulsion Laboratory della NASA (JPL), che comprendeva anche Baranec.

L’obiettivo era approfondire le conoscenze sulle influenze di più stelle su pianeti extrasolari: e per farlo hanno preso in esame un pianeta in un sistema a quattro stelle, il secondo ad oggi conosciuto.

Il sistema, denominato 30 Ari, si trova a 136 anni luce di distanza nella costellazione dell’Ariete. Il pianeta del sistema è un gigante gassoso 10 volte la massa di Giove, che orbita intorno alla sua stella primaria, una piccola nana rossa, ogni 335 giorni, quasi un anno terrestre. Il sistema era già conosciuto ma si riteneva composto di tre stelle: «Circa il 4% delle stelle simili al nostro sole si trovano in sistemi quadrupli, un dato maggiore delle stime precedenti, che è stato reso possibile grazie al miglioramento delle tecniche di osservazione» ha detto il co-autore Andrei Tokovinin del Cerro Tololo Inter-American Observatory in Cile.

La quarta stella appena scoperta, la cui distanza dal pianeta è 23 volte la distanza Terra-Sole, non sembra aver influenzato l’orbita del pianeta. E perché questo non sia successo al momento non è chiaro, tanto che il team di ricercatori ha in programma ulteriori osservazioni per capire meglio l’orbita della stella appena scoperta e le sue complicate dinamiche “familiari”.

Ma al di là degli aspetti scientifici indubbiamente prioritaria, cosa si vedrebbe nel cielo del pianeta gassoso ci potrebbe regalarci un pizzico di più di quel fascino già ineguagliabile che il nostro cielo ci dona ogni qualvolta la notte, senza nubi e in montagna, mettendo in mostra i miliardi di stelle della Via Lattea. Sicuramente ci apparirebbe bizzarro: un sole, due stelle tanto vicine e brillanti da essere visibili anche di giorno, e una di queste stelle che di notte, o al telescopio, si mostra per quello che è, un sistema binario, due stelle che orbitano una con l’altra.

Superata la fascinazione di come potrebbe apparire ai nostri occhi il sistema Ari 30, resta l’obiettivo scientifico che l’autore principale Lewis Roberts del NASA-JPL e i suoi colleghi cercano di ottenere, comprendere gli effetti che più stelle possono avere sulla formazione e lo sviluppo dei pianeti. I risultati suggeriscono che i compagni stellari possano influenzare il destino dei pianeti cambiando le loro orbite e spingendoli a crescere.

Ad esempio si spiegherebbe perché Giove caldi (hot Jupiter) possano avere orbite strette rispetto alla stella primaria, perché influenzati gravitazionalmente da compagni stellari:

«Questo risultato rafforza il collegamento tra sistemi stellari multipli e la presenza di pianeti massicci»

ha concluso Roberts.

Francesco Rea

media.inaf.it